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Robin Friday: un accenno di primavera nel grigio smeraldo della Grande Albione

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Sono ad Acton, Londra, 25 Gennaio 2025. Era da tempo che non venivo da queste parti. Tira un vento pallido in Myrture Road, freddo è vero …ma allo stesso tempo confortante. Beh, tralasciando High Street che corre fino a Notting Hill e il Museo dei Trasporti Britannici, Acton è il classico quartiere che potevano cantare i Kinks in quel meraviglioso album che si chiama “The Village Green Preservation Society” . È la Londra “bene” tanto per intenderci, dove è difficilissimo sviare verso lidi pericolosi. Quasi un accenno di luce, di primavera accompagnano la mia ricerca. Dentro di me, camminando per quelle strade, in cui io “pagherei un extra per viverci ma questo all’agenzia non lo diciamo”, mi chiedo a cosa potrebbe essere paragonato Robin Friday, ovvero “The Best player you never seen “ .Poi mi fermo e penso proprio a quel secondo di primavera anticipata . Ecco cosa potrebbe essere Friday: un accenno !

Robin Friday è stato l’incarnazione di una breve ma bruciante fiamma calcistica, un lampo di potenziale che, come un’eco triste e lontana, risuona ancora nei cuori di coloro che hanno avuto la fortuna di vederlo in azione. La sua vita, tanto più una leggenda consumata in un turbine di brillantezza e caos, spinge chiunque a domandarsi cosa avrebbe potuto essere, un rappresentante non realizzato di un’epoca buia ma profondamente seducente.

Nato a Acton nel 1952, Friday crebbe tra le ombre lunghe del dopoguerra, un tempo in cui la società londinese si attaccava con forza ai piccoli piaceri che la vita poteva ancora offrire. In un contesto così grigio, Robin brillava come un prisma di colori vividi: il suo talento calcistico era altrettanto naturale quanto lo era il suo spirito libero, indomabile e ribelle.

Ma come potremmo riassumere in un aneddoto o in un “accenno” anzi, la figura di Robin Friday?

Beh, sicuramente con il suo affronto più famoso. In un angolo dimenticato del panorama calcistico inglese, un pomeriggio di trascurabile e rara bellezza, si consumò un episodio surreale che, se non fosse stato per la penna di un narratore, sarebbe facilmente scivolato nell’oblio. Robin Friday, una figura emblematica e controversa, vestiva i colori del Reading, mentre a condividere il palcoscenico c’è il West Ham del leggendario capitano Campione del Mondo con l’Inghilterra nel 1966: Bobby Moore!

Il cielo, grigio e pesante, sembrava riflettere le pulsazioni inquietanti del pubblico. La folla, un misto di passione, Fish&Chips e frustrazione data da una sgasata Harp Strong, si affollava sugli spalti, mentre Friday, con la sua chioma scomposta e lo sguardo birichino, si preparava a scrivere un’altra pagina della sua storia. Era un talento unico, un calciatore capace di incantare e scandalizzare, tutto in un solo tocco di palla.

Ma quel giorno, non era solo il talento a far parlare di sé. A fronteggiarlo c’era Bobby Moore appunto, leggendario capitano della nazionale, acclamato non solo per le sue abilità difensive, ma anche per il suo portamento elegante e la calma inerente. Due mondi apparentemente inconciliabili si incrociarono in un frangente tanto bizzarro quanto memorabile.

In un momento di pausa, mentre gli allenatori impartivano ordini sul lato del campo, Friday, in un attimo di pura follia, si avvicinò a Moore con una smorfia che mescolava sfida e scherzo. Con il coro della folla che alimentava l’assurdità della scena, Robin decise di compiere un gesto audace e paradossale. Gli strizzò i testicoli, un atto che lasciò tutti senza parole, oscillando tra il geniale e il ridicolo. Il capitano, sorpreso, reagì con un’incredulità che fu presto seguita da una risata liberatoria. La scena, seppur surreale, divenne rapidamente un aneddoto leggendario, una di quelle storie che si narrano nelle serate di pioggia, nei bar affollati di Ealing, dove il calcio è religione e le gesta più stravaganti diventano miti.

Così, l’immagine di un Robin Friday impetuoso e di un Bobby Moore sorpreso ma divertito si è impresso in maniera indelebile nella memoria collettiva britannica; un episodio che, come un calice di vino frizzante, mescolava l’assurdo con la genialità, dimostrando che nel regno del calcio, l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo, pronto a lasciarci a bocca aperta. Con l’ironia del destino, quel gesto improbabile divenne simbolo di un’epoca, testimone di un calcio che univa talento e follia, in un abbraccio nostalgico che riecheggia ancora oggi. Per la cronaca, quel pomeriggio Moore la palla non la vide quasi mai.

In campo odio tutti gli avversari, non me ne importa niente di nessuno. La gente pensa che io sia pazzo e lunatico, e invece io, Robin Friday, sono un vincente.

Robin Friday

Nonostante una carriera professionale trascorsa principalmente tra la Reading e il Cardiff City, due squadre che difficilmente avrebbero potuto trattenere una tale miscela di estro e indisciplina, Friday non mancava mai di portare con sé un alone di leggenda. I racconti delle sue imprese in campo sono spesso caratterizzati da dribbling impossibili, goal acrobatici, e quella inconfondibile abilità di trasformare lo scontro sul campo in una vera e propria opera d’arte. Era un poeta del pallone, uno che giocava non per regolamenti o coppe, ma per l’ineffabile bellezza del gioco stesso.

Tuttavia, fuori dal campo, l’esistenza di Robin si tesseva con quella di una rockstar sregolata, un itinerario costellato dagli eccessi più vari. La sua indifferenza verso le norme sociali si rifletteva nella sua condotta spericolata, sia nella vita personale che nell’approccio al gioco. Frequenti assenze dagli allenamenti, litigi, e una vita notturna intensamente vissuta resero Friday una figura tanto affascinante quanto tragicamente destinata all’autodistruzione.

La sua morte prematura a causa di overdose nel 1990, a soli 38 anni, sancì definitivamente il suo status di culto tra gli appassionati. Robin Friday diventò il simbolo di una promessa mai pienamente sbocciata, un personaggio che oggi, in quest’era di rigore clinico e professionismo serrato, appare distante, quasi un relicto di una libertà in voga in un tempo ormai lontano. Eppure, con la stessa forza con cui la sua figura sfuma nei dettagli della memoria, cresce il mito di ciò che egli rappresentò: un’annunciazione di ciò che il gioco avrebbe potuto essere se potesse esprimere pura creatività senza vincoli.

Oggi, quando il pallido sole di Londra prova timidamente a fare capolino tra le nuvole, il pensiero di Robin Friday ispira sogni di quel calcistico canto del cigno che mai fu, una chiamata a ritrovare il gioco nella sua essenza più libera e imperfetta. Ecco perché, quando parliamo di Friday, lo collochiamo, come scrisse un tempo qualcuno, tra gli dèi degli stadi “che possiamo solo immaginare”, ricordando che, nei momenti di maggiore oscurità, talvolta è proprio un accenno di primavera a farci gioire più intensamente di tutte le sicurezze stabilite.

Tira un vento pallido su Myrture Road.

Adesso sembra aver smesso.

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