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Spettri di don Andrés Iniesta: la straordinaria stagione di Pedri

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Nell’estate del 2021, il Barcellona si apprestava a congedare con tutti gli onori del caso il suo dio pagano (Messi), e con lui una lunga epopea gloriosa che era e rimane una cometa nel panorama secolare, fatto di luci e ombre, della squadra delle Ramblas.

Tre anni prima di Messi, peraltro, aveva salutato l’Europa Andrés Iniesta, forse il giocatore che in assoluto aveva costruito con Lionel la relazione di empatia più intensa e duratura, e ancora prima, nel 2017, la impareggiabile MSN aveva ammainato la bandiera (come se tutto questo non bastasse, nel 2020 pure il Pistolero aveva sposato la causa “operaia” della Madrid del Cholo).

In sintesi, per il Barcellona un’epoca volgeva al tramonto, peraltro dopo ripetute e sonore scoppole, e i fan della squadra, imbronciati, si preparavano a una lunga stagione fatta di mediocrità, delusioni, gioco scialbo e risultati deludenti. Dato che chi scrive era e rimane un fan della squadra della capitale catalana, poter ammirare, nel corso della balbettante stagione 2020/2021, le gesta di un centrocampista le cui movenze evocavano, con le dovute proporzioni, proprio quelle del sublime Don Andrés, fu una specie di balsamo, un granello d’oro di speranza lanciato dentro il pozzo nero del futuro.

Il centrocampista aveva un nome che era tutto un programma (Pedro González López), un nome più adatto a un personaggio di Tex Willer che a un calciatore, e sin dal debutto aveva lasciato intuire doti non comuni, proprio in quelle specifiche tecniche in cui il genietto di Iniesta aveva saputo fare la differenza: Pedri, poco più robusto dell’illustre predecessore, lo ricordava per la capacità di controllare il pallone in spazi ristretti e a velocità non comuni, ma anche e soprattutto per l’intelligenza con cui si muoveva sul rettangolo di gioco e per la capacità di leggere in anticipo, come una sorta di meteorologo della trama della partita, gli sviluppi dell’azione. Il paragone precoce è sempre figlio illegittimo dalla nostalgia, chiaramente: Pedri, tra 2020 e 2021, era poco più di un bambino, e si stava letteralmente facendo le ossa, peraltro nel contesto di un Barcellona bolso e canuto che non sapeva più far sentire la propria voce in Europa.

Proprio perché sapevo di essermi crogiolato nel sentimento più comune tra i reduci di un’epoca trionfale, nell’estate del 2021 mi ero approcciato con molta prudenza all’avventura europea del piccolo Pedri, temendo, in cuor mio, che sul palcoscenico dei grandi il nuovo talento emergente della Masia si sarebbe rivelato un giocatore normale, se non addirittura un bluff. Come sappiamo tutti, invece, Euro 21 è il grande proemio della carriera del genietto delle Canarie: disinvolto come il più navigato dei centrocampisti, Pedri è forse il giocatore più importante della Spagna che raggiunge le semifinali, corre come se indossasse la maglia di Gattuso e al tempo stesso disegna calcio in ogni zona del campo (ricordo i cronisti italiani durante Italia-Spagna: questo ha diciotto anni e ne dimostra dieci in più), con una maturità che mi lascia interdetto e che però mi strappa anche più di un sorriso.

L’eliminazione subita dalla sua Spagna ai rigori, contro l’Italia di Mancini, non toglie una virgola a un europeo che per un diciottenne ha quasi del miracoloso: Pedri sembra letteralmente instancabile (Flick di recente ha dichiarato che le condizioni fisiche del centrocampista migliorano quando gioca di più, in una sorta di effetto paradosso che sembra stridere anche con la sua mole fisica relativamente minuta) e nonostante questo possiede la lucidità superiore dei cervelli più evoluti.

Sembra fare troppo e invece fa tutto ciò che può (il talento fa quello che vuole, il genio quello che può, diceva Carmelo Bene) e la corona di miglior giovane del torneo, cui si associa l’inserimento nella squadra ideale del torneo, sono solo la prima, piccola/grande soddisfazione e rivincita contro la mia nostalgia: una parte di me continua a scuotere la testa, perché non vuole credere al miracolo, mentre un’altra comincia a sussurrare che sì, forse, e si ripete più volte forse, non è escluso che si possa assistere all’ascesa quasi impercettibile ma inesorabile di qualcuno degno di stare nella stessa frase di Don Andrés Iniesta.

Le stagioni successive corroborano le mie sensazioni, ma pare che manchi ancora l’ultimo salto di qualità. Pedri conosce istintivamente i tempi di gioco e della partita e sembra avere una calamita al posto del piede, ma non è ancora stella di primissima grandezza; oddio, a onor del vero bisogna riconoscere che nella Liga vinta nel 2022/2023 ricopre il ruolo di deuteragonista del grande vecchio Lewandowski e del miracoloso Ter Stegen, e bisogna anche ricordare che quando affronta le grandi d’Europa (Inter e Bayern) Pedri non solo non si nasconde ma anzi prende in mano la bacchetta del direttore d’orchestra. Epperò ci sono ancora alcuni punti deboli nel suo gioco, che includono una civettuola e pericolosa tendenza a specchiarsi, così come ci sono prestazioni da dimenticare (su tutte, quelle contro il Manchester United in Europa League).

Il 2023/2024 assomiglia a un calvario, perché le magate di Pedrito diventano una rarità a causa dei suoi ripetuti problemi fisici, e la stagione si chiude con 34 presenze, 4 reti e 5 assist, ma soprattutto con la sensazione sgradevole che il salto di qualità non sia riuscito: troppe le pause, troppi i guai che lo relegano in tribuna, poche le occasioni in cui si prende imperiosamente la squadra sulle spalle.

Mi ricorda molto Andres Iniesta. Se parliamo di talento puro, Pedri è il miglior prospetto al mondo. È un giocatore meraviglioso. Non ho visto molti talenti come lui.

Xavi Hernández

Euro 2024 è per il genietto un’esperienza agrodolce: Pedri incanta il pubblico nel corso delle prime partite, non ultima quella splendida disputata contro gli azzurri, ma si infortuna per l’ennesima volta, in questo caso contro la Germania, e il suo sostituto Olmo è ancora più determinante di lui, almeno nelle sortite offensive, essendo un attaccante aggiunto che sente la porta come le punte di professione.

Dopo quattro stagioni, e nonostante ventidue anni ancora da compiere, Pedri sembra essere un talento fuori scala cui però manca la famosa lira per completare il milione, e annoverarlo tra i primissimi centrocampisti del mondo, dopo l’estate del 2024, può sembrare una leggera forzatura: il talento non si discute, il muscolo più importante per il suo stile di gioco (quello che sta in mezzo alle orecchie) neppure, ma per ambire a iscriversi nel circolo dei De Bruyne serve qualcosa di più. E anche un fan come il sottoscritto, che da tempo ha intravisto nelle sue movenze e nei suoi reiterati e sublimi gesti tecnici gli spettri di Don Andrés (per citare Jacques Derrida che vedeva gli spettri di Marx), si è fatto venire qualche dubbio sulla possibilità di catalogare il giocatore canarino come un fuoriclasse di caratura mondiale.

La stagione in corso, a prescindere dal suo esito ancora incerto, ha invece sgomberato il mio cervello da ogni dubbio, e quindi mi sento di affermare oggi che Pedri, quando fa il gesto degli occhiali, sta probabilmente cercando un centrocampista che sia meglio di lui, nel corso di questa stagione – ma la sua ricerca è destinata a fallire, perché sinora nessuno ha giocato il calcio sublime, cerebrale e anche di una concretezza tremenda del genietto.

Pedri de mi vida

Ci sono alcune istantanee che avvicinano la spiegazione della sua grandezza: contro l’Atletico di Madrid, in una partita anche sfortunata, Pedri ha dettato i tempi della manovra per novanta minuti, e, come il suo predecessore, l’ha fatto soprattutto facendo ricorso alle sue doti di illusionista, alla sua capacità di trasformare il tempo in qualcosa di soggettivo (si osservi la prima azione del video linkato pochi paragrafi sotto: Pedri con un semplice tocco di esterno destro elude l’intervento di un giocatore molto più prestante di lui, in una giocata che è purezza cristallina, e quindi, intuendo di non poterne saltare un altro, si gira su se stesso e gli ruba il tempo, potendo liberare così un compagno).

Pedri è infatti un maestro del trucco, il suo gioco si basa essenzialmente sulla capacità di ingannare l’avversario e di farlo sfruttando i tempi, leggendo le situazioni in anticipo, rallentando o accelerando l’azione a seconda delle necessità del momento. Pedri (pur facendosi valere anche sul piano della corsa e del contrasto) non possiede le doti atletiche debordanti di altre grandi mezzali, né le loro capacità di progressione, né può far leva sulla mole o sulla forza fisica, e neppure su un tiro straordinariamente potente (per quanto il suo destro sia notevolissimo): la sua bravura sta quindi tutta nell’intelligenza e nell’intuito con cui sa anticipare le intenzioni avversarie e le situazioni di gioco, oltre che in un bagaglio tecnico eccezionale, ovviamente, e in questo sta tutto il suo barcellonismo (a Barcellona i giocatori si formano in questo modo e la squadra, anche per questo, sembra giocare uno sport leggermente diverso da quello delle altre squadre).

La sensazione netta, vedendolo giocare, e che Pedri abbia quattro o cinque occhi e che veda, veda quello che succede dappertutto. La sua capacità di giocare di prima è migliorata notevolmente, e così Pedri è un maestro del passaggio interlocutorio e di alleggerimento, ma anche e soprattutto un ragazzo dotato di un intuito preternaturale, che ha una capacità davvero quasi degna di quella del suo maestro di bucare le difese con un filtrante e/o con un’apertura morbida che le anticipa e le inganna, giocando sui loro tempi di reazione (sempre nel video linkato più in basso, non si contano le aperture morbide che pescano il compagno in area avversaria). I passaggi di Pedri, anche quelli più geniali, sembrano spesso troppo facili, ma qui sta il trucco: è il centrocampista a farli sembrare tali, perché per lui sono relativamente facili, ma per gli avversari sono un inganno, un modo di restringere o dilatare i tempi (questo, alla maniera di Xavi) che risulta quasi sempre poco decifrabile e leggibile in anticipo.

Il miracolo di Pedri sta nell’equilibrio tra pura euforia estetica (basti guardare il gol messo a segno contro i Colchoneros, peraltro dopo venti metri di progressione palla al piede, perché proprio come Iniesta Pedri quando vede un pertugio ci si infila senza esitare) e la straordinaria efficacia del suo gioco, un gioco che è vezzoso sul piano stilistico ma tremendista nei numeri e negli effetti (ha messo a segno diversi gol e numerosi assist, alcuni pesantissimi) e anche capace di ricorrere alla garra, quando occorre – perché Pedri spicca sempre anche per numero di palle recuperate, e in questo sfrutta non solo risorse che sembrano inesauribili ma anche il grande lavoro di Flick, che ha esaltato le sue doti di recuperatore, schierandolo spesso davanti alla difesa.

Rispetto a Iniesta, Pedri non ha forse ancora sviluppato in toto la capacità di prendere per mano la squadra nelle situazioni complicate, anche se le sue prestazioni contro Bayern e Real dimostrano che quando il clima della contesa sale il piccolo furetto alza i giri del suo motore, ma ha tutto il tempo di farlo, e credo/spero che lo farà, consacrandosi come uno dei massimi centrocampisti (quantomeno) della sua epoca. Nonostante avesse già dimostrato qualità diverse da quelle degli altri, Pedri è diventato nel corso di questa stagione un giocatore di livello mondiale e a mio parere il più grande centrocampista di costruzione del mondo; il 2024/2025 è un’annata che lo vede camminare sulle acque, correre quasi senza toccare terra, fare a sportellate con gente molto più corazzata di lui ma soprattutto dominare i tempi della partita, sia sul piano della singola giocata sullo stretto (quando si libera di tre/quattro uomini semplicemente intuendo in anticipo le loro intenzioni) che della gestione della manovra collettiva (un cronista spagnolo, durante un incontro, ha detto “Si gioca come e quando lo decide Pedri”, e aveva ragione).

Posso chiudere così: non sappiamo dove arriverà Pedri e neppure ha molto senso chiederselo, perché lo sport come la vita è materia imponderabile e si diverte a sovvertire i nostri pronostici (magari il centrocampista non si confermerà più su questi livelli, impossibile dirlo), ma posso affermare che in questa stagione il genietto delle Canarie sta giocando il calcio dei miei sogni. E allora sì, c’era l’Iniesta de mi vida (cito il nostro amico Juri Gobbini DALLA FURIA AL TIKI TAKA – Urbone Publishing), e oggi, lo dico a bassa voce, c’è il Pedri de mi vida.

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