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Rino Tommasi, una voce lontana

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È difficile, praticamente impossibile, che le persone di spessore, quelle che hanno impastato la propria attività con qualcosa che abbia acceso la fantasia popolare, muoiano una volta sola. I grandissimi non lo fanno mai, senza nemmeno nascondersi, gli altri, i grandi, lo fanno più volte. Quando smettono di fare, poi quando smettono di essere o di dire, poi ancora quando la loro eco ingiallisce e, infine quando smettono di vivere. Allora se ne vanno, lasciandoci solo qualche goffo rimedio.

Rino Tommasi se ne è andato oggi, a 90 anni e il rimedio che abbiamo tra le mani e le orecchie, goffo per la sua vita ma impagabile per l’esistenza di tutti noi, sono i suoi scritti e soprattutto la sua voce, una sorta di penna sonora che aveva pochi eguali. Uno di questi è stato proprio il suo socio a bordo campo, il suo alter ego poetico appollaiato come lui in piccionaia con vista Wimbledon o Roland Garros a contare le volée di Borg o a cantare gli aneddoti imperdibili sulla cognata di Connors.

Gianni Clerici, altra penna sublime e altra voce indimenticabile, per nostra fortuna, ne ha condiviso le gesta regalandoci la gioia di assistere in tv, per molti ma troppo pochi anni, a due eventi in contemporanea. Una partita di tennis, magari di eccelso livello, e il commento dello stesso, sicuramente eccelso, tra due autentici funamboli della parola, forgiatori di neologismi dissacranti, romanziere depistatore l’uno, Gianni, poeta insospettabile dei numeri l’altro, Rino.

Roma, 11/05/2011 Foro Italico, Internazionali BNL d’ Italia 2012.
Gianni Clerici e Rino Tommasi.

Tommasi era già noto al pubblico mediatico avendo commentato, oltre che organizzato con successo, le gare di pugilato e una delle sue allocuzioni più ricorrenti, «secondo il mio personalissimo cartellino» a indicare il foglietto su cui l’arbitro di boxe indica colpi e punteggio, è entrato nel gergo corrente nei più svariati ambiti, anche non sportivi. E se dobbiamo a qualcosa o a qualcuno il fatto di aver avuto poi la buona sorte di assistere al formarsi di quella straordinaria coppia di telecronisti tennistici, sono tre i fattori in questione.

Il primo, ovvio, è il fatto che i due colleghi siano già amici e si stimino, il secondo è che Tommasi si stanca del pugilato verso gli anni settanta del secolo scorso e comincia a interessarsi di telecomunicazione e del nuovo mercato di emittenti libere. Il terzo elemento, il più interessante, è un vecchio debito che tutti noi abbiamo con una vecchia trasmissione radiofonica degli anni ’60, “Alto gradimento” di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.

È da lì, anche se non subito, che parte la consapevolezza che per i programmi di intrattenimento due voci che si alternano, si stuzzicano e si stimolano funzionano molto meglio che la narrazione singola. E se poi queste voci e queste menti sono intelligenti, affiatate, vivaci, ironiche e scanzonate il successo è assicurato in tutti i campi. Anche nello sport. Anzi, che cosa mai più dell’evento sportivo in diretta necessita di un commento a braccio in cui, oltre al vecchio detto per cui ‘quattro occhi vedono meglio di due’, il contraltare diventa valore aggiunto. Nel tennis, poi…! Chi scrive ha iniziato a vederlo in bianco e nero, Nicola Pietrangeli contro Manolo Santana, e il commento era immancabilmente di Guido Oddo. Aplomb inappuntabile, accento piemontese sfumatissimo, eleganza discreta, da the e biscotti. Ma restare svegli, che impresa..!

Poi è arrivato Galeazzi er bisteccone e, se non si addormentava lui durante la prima gara del pomeriggio alle 14 e faceva sforzi immani, sembrava sempre di assistere al rush finale di una gara di canottaggio. Con tutto il rispetto di pionieri e predecessori, o delle seconde voci del calcio che ti descrivono ciò che hai appena visto, come fossi davanti alla radio!, con tutto il rispetto di tutto ciò, l’entrata in scena di Rino Tommasi, con la sua faccia da croupier e gli occhi che roteano come le stelle dello special dei vecchi juke box, il farfallino da aggiustare prima del gong, l’entrata in scena di questo funambolo delle statistiche in presa diretta, ha fatto saltare banco, ring, seggiolone dell’arbitro, rete del net e tutto il resto. Perfino il pizzo intravisto durante la più famosa battuta di servizio, credo fosse una seconda palla, di Steffi Graf, futura signora Agassi.

Il vero colpo di genio di Rino è stato volere Clerici come altra voce, perché parlare di “seconda” sarebbe irrispettoso per entrambi. Quel giorno, almeno in Italia, è nato un nuovo sport: il tennis alla tv. Ma come, non c’era anche prima? No, non c’era, punto. Adesso diventava un cicaleccio pertinente, una divagazione attenta, una descrizione precisa che sconfinava in tutt’altro, che mandava il tennis nell’orbita dell’imperdibile. Tommasi, i cui numeri snocciolati non erano comunque freddi e ribollivano di arguzia, aveva bisogno che Clerici glieli rendesse profondi, poeticamente tridimensionali, mentre Gianni usava la razionalità di Rino come zavorra per i suoi voli, pindarici e non.

Tutti e due, e chiedo scusa se nemmeno oggi riesco a scinderli, a planare sulla terra rossa, delicati come una smorzata beffarda, distesi sull’erba a rincorrere con gli occhi e i gerundi lungolinea e rovesci incrociati o accovacciati sul cemento a spiare, furbetti svergognati, servizi e smash dandosi di gomito come due liceali. Tutti e due, perfino oggi che dovrei scinderli, a parlare dal lontano qui accanto, con penne asciugate, microfoni staccati e fogli volati in corridoio. Perché i grandi muoiono diverse volte, ma i grandissimi mai.

Tre libri di Rino Tommasi

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