C’è una pietra d’inciampo che dal 2021, a Casale Monferrato, ricorda il sacrificio di Raffaele Jaffe, ebreo cattolico vittima della Shoah e della follia nazifascista. Sul sampietrino dorato posto di fronte allo stadio comunale “Natale Palli” si legge chiaramente: “Qui viveva Raffaele Jaffe – Nato 1877 – Arrestato 16-2-1944 – Deportato Auschwitz – Assassinato 16-8-1944”. E il fatto che una pietra di inciampo sia stata posta non di fronte all’abitazione di Jaffe, ma davanti allo stadio è un fatto unico che dimostra tutta la gratitudine di Casale Monferrato per un uomo, Jaffe appunto, che nei primi del ‘900 con la fondazione del Casale Calcio ha portato la città piemontese ai vertici del calcio italiano.

Jaffe è un personaggio di spicco della società casalese: nato ad Asti l’11 ottobre 1877 da una famiglia ebraica, si trasferisce dopo la laurea a Casale, dove inizia a lavorare come insegnante all’istituto tecnico Leardi. Leggenda narra che un pomeriggio d’autunno abbia incontrato alcuni suoi studenti che lo hanno convinto ad accompagnarli ad assistere a una partita di calcio e che per Jaffe è amore a prima vista: vedere dei ragazzi giocare a calcio si dice gli abbia provocato una gioia e un entusiasmo tale da invogliarlo a riportare il calcio nella cittadina piemontese. In realtà nel 1905 il calcio è già arrivato a Casale con la Robur che però ha avuto una breve vita, di soli due anni. Così il 18 dicembre 1909, proprio all’istituto Leardi, viene fondato il Casale Football Club con a capo, nel ruolo di presidente, proprio Raffaele Jaffe che dà alla società un’impronta moderna e decisamente innovativa. Secondo lui infatti il calcio può e deve essere uno strumento per formare i giovani e per insegnare loro disciplina, spirito di squadra e sacrificio. Va da sé che questo viene automaticamente impiegato nella pratica di tutti i giorni, nella preparazione atletica avanzata per l’epoca e nell’impiego di schemi di gioco innovativi. E questa visione si rivela presto vincente.

L’obiettivo è quello di riportare in auge il calcio e di dare del filo da torcere ai rivali di sempre della Pro Vercelli, all’epoca campioni d’Italia. Tra Vercelli e Casale infatti non scorre buon sangue e la rivalità fra le due città affonda le radici addirittura nel 1215, l’anno in cui le milizie del vescovo di Vercelli avevano distrutto Casale dopo averla assediata e incendiata. I colori scelti per la maglia sottolineano questa rivalità: Jaffe sceglie il nero, mentre la Pro Vercelli vestiva di bianco. Su ogni maglia viene inoltre fissata una stella bianca a cinque punte. Il nero come scelta dei colori non era casuale: il nero rappresenta infatti l’eleganza e la serietà della società, mentre il bianco della stella è il simbolo della purezza e della luce guida per il cammino della squadra.
L’ascesa del Casale è rapida e dopo due anni la squadra approda in Prima Categoria, che oggi sarebbe considerata a tutti gli effetti la Serie A. A quel tempo la massima serie è diversa da come la conosciamo noi oggi, in quanto vengono disputati due tornei e il Casale fa parte del girone piemontese del Torneo Settentrionale insieme a Pro Vercelli, Novara, Piemonte e Torino. La stagione 1911/1912 si chiude con la Pro Vercelli campione d’Italia e con il Casale che si classifica sesto. Gli scontri diretti vengono vinti entrambi dai campioni d’Italia. La prima stagione nella massima serie vede giocare un Casale ancora acerbo, in cui a decidere schemi e giocatori da schierare in campo è il capitano Barbesino.
La stagione seguente, 1912/1913, vede la consacrazione dei piemontesi, non tanto per il risultato in campionato (arrivano quarti, con la Pro Vercelli ancora campione d’Italia) ma per il fatto che la squadra di Jaffe si scontra contro i professionisti del Reading, squadra inglese che, giunta in Italia per una tournée, aveva affrontato e sconfitto squadre del calibro di Milan, Genoa e Pro Vercelli. Il 14 maggio 1913 i britannici arrivano a Casale Monferrato e quella superiorità sfoggiata contro le altre squadre più blasonate che tanto avevano impressionato addetti ai lavori e spettatori, viene letteralmente annullata: il Casale va in rete inaspettatamente due volte con Varese e Sarasso. La partita finisce 2-1 per i piemontesi che passano alla storia: nessuno prima di loro aveva infatti battuto una squadra inglese.

La stagione successiva è quella del definitivo trionfo: il Casale si trova nel girone piemontese-ligure insieme ad Alessandria, Andrea Doria, Genoa, Liguria, Piemonte, Pro Vercelli, Savonese, Torino e Vigor Torino. La tanto sospirata vittoria sulla Pro Vercelli non arriva, ma il Casale riesce ad estromettere i rivali dal girone successivo e si qualifica alla fase finale, insieme al Genoa.
Nel girone finale del torneo settentrionale ci sono anche Inter, Juventus, Vicenza e Hellas Verona e i nerostellati non solo vincono otto partite su 10 (con solo sei reti subite), ma si guadagnano la finale per lo scudetto contro la Lazio, alla ricerca del primo titolo. La partita d’andata si gioca a Casale il 5 luglio 1914: un trionfo per i nerostellati che vincono 7-1 e mettono in cassaforte lo scudetto. Il match di ritorno è una pura formalità, con il Casale che vince 2-0. Artefici di questo straordinario storico successo sono Amedeo Varese, attaccante rapido e tecnico con un fiuto incredibile per il gol e la capacità di realizzare reti pesantissime; Luigi Barbesino, centrocampista di grande intelligenza tattica, che in seguito divenne anche allenatore della squadra, e Giovanni Gallina, portiere affidabile e perno della difesa nerostellata.
Ad appena cinque anni dalla sua fondazione il Casale è così campione d’Italia. Il sogno di Jaffe il visionario, il moderno, l’uomo innamorato del calcio si è finalmente realizzato. Il risultato straordinario del club piemontese dimostra che anche una squadra di provincia, organizzata e con metodi moderni per l’epoca, guidata da una forte disciplina, può benissimo competere con le grandi squadre metropolitane. Il successo del Casale è visto come la vittoria di un modello innovativo molto diverso da un calcio ancora legato all’improvvisazione e alla tecnica individuale.

Passano solo poche settimane e il Casale deve fare i conti con la Storia perché l’Austria dichiara guerra alla Serbia in seguito all’attentato di Sarajevo del 28 giugno in cui vengono uccisi l’imperatore Francesco Ferdinando d’Asburgo e la moglie Sofia. È l’inizio della Grande Guerra che segna anche la fine del miracolo chiamato Casale e l’interruzione delle attività sportive su tutto il territorio nazionale. Non solo: alcuni giocatori vengono chiamati alle armi e la squadra perde così la propria ossatura vincente. Finita la Prima guerra mondiale, la situazione economica generale non è tra le più rosee e anche il calcio ne risente, tanto che nel 1919 Raffaele Jaffe lascia il suo tanto amato club. I nerostellati continuano comunque a giocare in Serie A fino a quando, nel 1928/1929 retrocedono in Serie B. Il Casale risale nella massima serie dove resta per tre stagioni fino al 1933/1934 quando torna definitivamente nella serie cadetta.
Nel frattempo, nel 1927 Jaffe si sposa e si converte al cattolicesimo mentre in Italia è in piena ascesa il regime fascista. Rimane sempre legato al mondo del calcio perché continua a farsi promotore dei valori del suo Casale, diventa arbitro e da personalità di spicco qual è, contribuisce alla diffusione del calcio nel Nord Italia. Nel 1938 il regime fascismo introduce le leggi razziali: agli ebrei viene sequestrato ogni bene e revocato ogni diritto; non possono più essere dipendenti delle amministrazioni civili e militari dello stato, degli enti pubblici, delle aziende statali e private.


Jaffe non può quindi più insegnare nonostante sia sposato con una donna non ebrea, nonostante si sia fatto battezzare e sia diventato cristiano. Per un uomo di cultura che ha dedicato la sua vita all’insegnamento e all’educazione, è sicuramente un’umiliazione incredibile. Le leggi razziali si fanno sempre più severe con il regime che istituisce il Tribunale della Razza e con la polizia fascista che organizza ed esegue rastrellamenti in tutte le città. Nel 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia e la Repubblica di Salò, la situazione peggiora ulteriormente. Il 16 febbraio 1944 Raffaele Jaffe viene arrestato e trasferito al campo di Fossoli, vicino a Modena. Fossoli è un campo di transito, utilizzato dai nazisti e dal governo fantoccio della Repubblica Sociale italiana per raccogliere momentaneamente prigionieri politici, ebrei e altre categorie perseguitate prima di deportarli nei lager tedeschi.
A Fossoli, Jaffe vive giorni terribili in quanto il campo è sovraffollato e privo di condizioni igieniche adeguate. Nel suo periodo di prigionia probabilmente tenta di mantenere un atteggiamento dignitoso e di aiutare moralmente i suoi compagni di prigionia, come hanno fatto molti altri intellettuali e insegnanti detenuti. Si dice inoltre che a Fossoli abbia anche conosciuto Primo Levi.
Il 2 agosto 1944 Raffaele Jaffe viene caricato su un treno diretto in Polonia, diretto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove arriva dopo un viaggio estenuante di quattro giorni, senza cibo e in condizioni disumane. Al suo arrivo, Jaffe e gli altri prigionieri vengono sottoposti come di consueto alla selezione: chi è in buona salute e in grado di lavorare da una parte; anziani, donne e bambini destinati alle camere a gas dall’altra. Raffaele Jaffe, che all’epoca ha 67 anni e non è in grado di fornire la forza lavoro di cui hanno bisogno i nazisti, è destinato subito alla camera a gas e ucciso il giorno stesso del suo arrivo ad Auschwitz.
Nonostante la sua tragica fine, il contributo di Jaffe alla storia del calcio e alla cultura sportiva italiana rimane preziosissimo e indelebile dato che il suo metodo di lavoro innovativo è il prototipo di molte metodologie moderne. Oggi, a Casale Monferrato, il nome di Jaffe è ricordato con rispetto e gratitudine. Nel 2018 il Casale decide di dedicargli un torneo giovanile, per ricordare non solo il fondatore del club, ma anche l’uomo che credeva nella forza dello sport come strumento di crescita e integrazione, come un mezzo per unire le persone e trasmettere valori positivi. La storia di Jaffe dimostra però anche di come il fanatismo e l’intolleranza possano distruggere vite e culture.
