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Diego Armando Maradona, l’eroe greco del calcio mondiale

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Il sottoscritto, essendo inglese, dà avvio a un grande equivoco: un nativo delle terre di Albione che si accinge a glorificare un argentino, un vero e proprio semidio del calcio, Diego Armando Maradona. La rivalità fra Inghilterra e Argentina è storica, ma nessun campanilismo può offuscare la luce di colui che, in un campo di calcio, ha incarnato l’essenza del genio e della follia.

Maradona non è stato solo un calciatore; è stato un poeta, un artista, un titano che ha calpestato i prati verdi con il passo di un dio. La sua carriera è un poema epico che attinge a un immaginario greco, dove ogni dribbling sembrava una danza attorno a un fuoco sacro, e ogni gol una pietra miliare nella storia dello sport. In un’epoca in cui il calcio si stava commercializzando, Maradona ha rappresentato l’anima pura, l’innocenza perduta di un gioco che sta diventando sempre più strutturato.

E quando si parla di La mano de Dios, ci troviamo di fronte a un atto di audacia che riecheggia le gesta degli eroi di Omero. Questa mano, a suo modo divina, ha riscritto le regole del campo, facendo gridare al miracolo e al sacrilegio. Come gli dei dell’Olimpo, egli ha tessuto leggende tra i mortali. In quell’istante purissimo, quando il pallone superò la linea, ci ricordò che la bellezza non è mai pura, ma sempre intrisa di conflitto e di passione. La mano di Maradona ha calpestato senza pietà i confini della logica, e l’umanità si è inchinata di fronte a lui, un Achille del calcio, che ha saputo affrontare il suo Penteo in un solo gesto.

Maradona, il peccatore e il santo, il ribelle e l’eroe, ha segnato più di un semplice gol: ha segnato i cuori di milioni, unendo terre lontane in un abbraccio di passione sportiva. Il suo dribbling era un verso, ogni passaggio una rima, un inno alla bellezza e alla poesia calcistica. Con lui, il pallone diventava strumento di comunicazione tra culture diverse, un linguaggio universale che superava ogni barriera.

Quattro anni dalla sua scomparsa, lo ricordiamo non solo per i trofei o per l’impronta indelebile che ha lasciato in quel Mondiale del 1986, ma per l’eredità emotiva che ha lasciato nel cuore di chi amava il calcio come una forma d’arte. E così, mentre il mondo continua a girare, mentre i miti si sovrappongono e si disfano, l’immagine di Maradona resiste, solenne e vibrante, come un canto di Carlos Gardel: «Que te vuelva a ver, es como volver a nacer». E in effetti, ogni volta che guardiamo un incontro di calcio, troviamo un riflesso del suo straordinario genio, la promessa di rinascita di un gioco che continuerà a raccontare la sua storia.

Nella calura estiva del 22 giugno 1986, nello scenario vibrante dell’Azteca, si tenne uno degli scontri calcistici più emblematici, una partita che non solo elevò il Pibe de Oro nel firmamento dei miti, ma ne cristallizzò l’essenza stessa della sua carriera di eterno divo e controverso. Argentina e Inghilterra si affrontarono in un contesto teso e febbrile, già gravido di significati extraterritoriali a causa del recente conflitto delle Falkland (o Malvinas per chi legge dall’altra parte del mondo): un’ombra di tragedia che, seppur latente, aleggiava sugli spalti e nelle coscienze, con gli inglesi che rivendicavano la legittimità del loro endemico orgoglio patriottico.

Il palcoscenico posizionato ai piedi dell’imponente altura del sole messicano divenne il teatro dell’apoteosi e del raggiro, due facce della stessa medaglia, due manifestazioni della sublime dicotomia che Maradona impersonificò con una maestria che sfidava le norme terrene. In una danza surrealista col pallone ai piedi, egli orchestrò quello che sarebbe stato immortalato come il gol del siglo, uno scarto di pura poesia calcistica, un’esibizione di rara bellezza e genio che trascesero il gioco in una dimensione epica, un poema d’arte cinetica recitato su un manto erboso.

Ma tanto quanto il suo genio lo rese divino, il suo spirito ribelle gli concesse quell’aura diabolicamente terrena. La Mano de Dios – l’epiteto che sancì l’eterno dibattito tra mito e infamia – fu l’altro volto di Diego, il simbolo di una sfrontatezza caustica ma umana, svoltasi con la beffarda sfida agli dei della moralità sportiva. Con quel tocco clandestino, asserì la fallibilità dell’universo calcistico, ricordandoci che il divino e lo spregevole sono spesso intrecciati nel tessuto dell’esistenza.

Così, la partita assurge a paradigma della sua esistenza, una narrativa in cui Maradona fu, simultaneamente, più che un calciatore: un narratore di storie evocative, un eroe tragico nel dramma umano del calcio. Egli mostrò quanto il talento puro potesse coesistere con l’imperfetta fallibilità, senza annichilirsi a vicenda, ma anzi illuminandosi reciprocamente in un armonioso dissidio.

E così, contemplando l’abbandono del campo, l’imprimersi di quelle immagini nella storia, possiamo affermare con reverente meraviglia: Sì, ho visto Maradona. Maradona. Un nome, un’invocazione, un’epopea. In un campo di calcio, nel cielo della nostra memoria, vive per sempre.

«…la va a tocar para Diego, ahí la tiene Maradona, lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, y deja el tercero y va a tocar para Burruchaga… ¡Siempre Maradona! ¡Genio! ¡Genio! ¡Genio! ta-ta-ta-ta-ta-ta… Goooooool… Gooooool… ¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol! ¡Golaaaaaaazooooooo! ¡Diegooooooool! ¡Maradona! Es para llorar, perdónenme… Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cósmico… ¿de qué planeta viniste? ¡Para dejar en el camino a tanto inglés! ¡Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina!… Argentina 2 – Inglaterra 0… Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 – Inglaterra 0».

«…la tocca per Diego, ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale, e lascia lì il terzo e va a toccarla per Burruchaga… sempre Maradona… genio, genio, genio… c’è, c’è, c’è… goooooooooool… voglio piangere… Dio Santo, viva il calcio… golaaaaaazooo… Diegooooooool… Maradona… c’è da piangere, scusatemi… Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi… aquilone cosmico… Da che pianeta sei venuto? per lasciare lungo la strada così tanti inglesi? Perché il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina… Argentina 2, Inghilterra 0… Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona… Grazie, Dio, per il calcio, per Maradona, per queste lacrime, per questo Argentina 2, Inghilterra 0».

Víctor Hugo Morales, telecronista uruguaiano durante il Mondiale 1986

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