Uno dei club più prestigiosi del mondo, con la sua affascinante maglia bianconera sbiadita, la sua Stella Solitaria che illumina il firmamento sopra Rio de Janeiro, la sua pletora di campioni, non ha mai vinto la Coppa Libertadores, e visto il successo del Fluminenese nel 2023 è l’unica big brasiliana ad aver mancato, sino a oggi il bersaglio. La finale che giocherà il prossimo 30 novembre a Buenos Aires potrebbe colmare questa lacuna, inserendo nel ricco puzzle della storia del club di Rio l’ultimo pezzo, quello più prestigioso.
Il Botafogo ha avuto l’onore di mettere in campo alcuni dei massimi giocatori della storia del football brasiliano e mondiale, e abbiamo provato per voi a costruire la sua formazione ideale degli ultimi decenni.
Portiere: Manga
Guardiano della porta durante gli anni di gloria di Mané e compagni, Haílton Corrêa de Arruda detto Manga viene tuttora ritenuto dai suoi tifosi il migliore in assoluto, nel ruolo. Solidissimo, affidabile e colonna della squadra per oltre un decennio, ruba il posto da titolare all’ottimo Sebastião Wágner de Souza e Silva, che ha difeso la porta della Stella Solitaria per molti anni, portando a casa diversi trofei nazionali, ma senza mai guadagnarsi la maglia verdeoro.
In nazionale ha invece giocato, anche se con fortune alterne, un’altra bandiera del club di Rio, ovvero Jefferson de Oliveira Galvão. Molto più essenziale e pulito della maggioranza dei portieri del suo paese, ha fatto proprio della sicurezza e della freddezza i suoi punti di forza. Per lui, si contano oltre 300 presenze in maglia bianconera, e il posto in rosa gli spetta pertanto di diritto.
Laterale destro: Josimar
Noi europei lo ricordiamo dominare la fascia destra, con il suo passo felpato e la sua corsa leggera, durante i mondiali di Messico 1986, quando è uno dei migliori della nazionale verdeoro e mette a segno alcuni gol pesanti, non ultimo il capolavoro balistico confezionato contro l’Irlanda del Nord. Josimar è stato però anche e soprattutto una stella del Botafogo, e per quasi una decade: tecnicamente superbo come tutti i migliori laterali brasiliani, è stato titolare anche del Brasile campione del suo continente nel 1989. Breve e meno felice l’avventura con la maglia del Siviglia.
Quello di Oswaldo Sampaio Júnior, noto come Paulistinha, è il secondo nome imprescindibile se si parla di laterali destri del Botafogo. Dirimpettaio del fenomeno Nilton Santos, è stato un titolare inamovibile negli anni d’oro della storia del club, con in quale ha vinto sei trofei statali e un campionato nazionale. La concorrenza proibitiva di Djalma Santos e Carlos Alberto gli ha impedito di vestire la maglia verdeoro.
Difensore centrale: Waltencir
Ancora oggi terzo giocatore di sempre per numero di apparizioni in maglia bianconera, lo statuario Waltencir è ritenuto uno dei migliori centrali della storia del calcio verdeoro. Con il Botafogo, grazie alle superiori abilità nel gioco aereo, favorite dai 190 cm con cui sovrastava gli avversari, è stato un giocatore chiave per undici anni, fino al tragico episodio che ha chiuso la sua carriera nel 1976, durante una partita, quando si ruppe l’osso del collo, a soli 31 anni, dopo uno scontro fortuito con Nivaldo (che a causa della morte del compagno impazzì e fu ricoverato in un sanatorio).
La prima riserva della bandiera Waltencir potrebbe essere Sebastião Leônidas, che approda a Rio nel 1966 e diventa il perno della difesa bianconera che fan man bassa di trofei a fine anni ’60. Anche nel suo caso, la concorrenza di altissimo profilo gli impedisce di imporsi come uomo di punta in nazionale.
Difensore centrale: Wilson Gottardo
In Italia Wilson Gottardo è un carneade, ma in Brasile è reputato uno dei migliori centrali della sua epoca: possente e tecnico, ha guidato la rinascita del club a fine anni ’80, diventando uno dei giocatori più amati dalla colorita tifoseria della Stella Solitaria, anche perché ha deciso la finale del campionato nazionale del 1995. Mauro Galvão, che spesso ha affiancato proprio Gottardo, è un altro nome chiave della rosa: centrale elegante e tecnicamente eccelso, perno della difesa verdeoro nella seconda metà degli anni ’80, a Rio ha giocato per tre anni, contribuendo alla conquista di alcuni titoli statali.
Dopo una breve esperienza europea, tornerà in patria per vincere ancora tutto con le maglie del Gremio e del Vasco da Gama. Djalma Dias, altro zingaro del pallone, in Brasile viene annoverato tra i primi centrali degli anni ’70, e ha lasciato un traccia significativa anche nella Rio bianconera, vestendo la maglia del Botafogo per quattro stagioni. Meno fortunata, anche nel suo caso, l’avventura in nazionale: nonostante collezioni 21 presenze, non è titolare nei tornei maggiori.
Laterale sinistro: Nilton Santos
Servono poche parole per giustificare la titolarità dell’Enciclopedia Nilton Santos: quando l’ho visto in campo, mi ha ricordato il Kaiser Franz in versione laterale sinistro, per la superiore dotazione tecnica e intellettiva, abbinata alle doti del difensore classico che solo raramente deve ricorrere alle maniere forti, avendogli la natura regalato un tempismo e un intuito fuori dal comune. Con 732 presenze e una vita spesa in maglia bianconera a collezionare titoli, Nilton – come sappiamo – è stato anche il superbo stantuffo sinistro del Brasile, con cui ha portato a casa la Coppa America del 1949 e poi, soprattutto, due mondiali, il primo da grandissimo protagonista e il secondo nelle vesti di grande vecchio saggio della squadra. Non manca chi lo reputa, legittimamente, il miglior laterale sinistro della storia, accanto a Paolo Maldini e al connazionale Roberto Carlos.
Al suo cospetto, il tombeur de femme Marinho Chagas appare come una figura sbiadita e minore, ma ingiustamente: fromboliere e uomo gol notevole per il ruolo, Chagas esaltava quello che oggi è lo stadio Olimpico Nilton Santos e il Maracanà con le sue scorribande palla al piede, che lo hanno reso una delle figure chiave della squadra negli anni ’70. Titolare del Brasile ai mondiali di Germania, laddove alterna colpi tecnicamente superbi a scivoloni e distrazioni difensive, fu protagonista di una vita complicata, a dispetto del sorriso che esibiva in ogni fotografia, a causa di due passioni che erano diventate per lui due vere e proprie ossessioni, l’alcol e le donne. Rimane, nonostante tutto, uno dei grandi della storia del club.
Come lui, va inserito in rosa Rildo, colui che ha raccolto il testimone di Nilton, dimostrandosi un ottimo giocatore e guadagnandosi ripetutamente la convocazione in nazionale nel corso degli anni ’60, pur non giocando mai un mondiale da titolare fisso.
Centrocampista centrale: Carlos Roberto
Icona bianconera, Carlos Roberto ha giocato nel Botafogo per quasi un decennio, collezionando 447 presenze e 15 reti. Centrocampista di sostanza, fisicamente molto forte ma dotato anche della qualità che ci si attende da un mediano verdeoro, ha fatto parte anche dalle meravigliosa squadra allestita in vista di Messico 1970, pur non diventandone mai titolare in ragione della compresenza di giocatori forse ancora più bravi di lui. Ricardo Rogério de Brito, che anche in Italia ricordiamo tutti come Alemão, ha giocato a Rio nei primi anni di carriera, diventando il perno difensivo del centrocampo, da giocatore tutto corsa, sostanza e carisma, prima di fare le valigie per l’Europa, per vestire con successo anche le maglie dell’Atlético di Madrid, dell’Atalanta e soprattutto del Napoli, accanto a Maradona.
Centrocampista centrale: Didì
Il Principe Etiope rimane ancora oggi il più grande regista puro della storia del calcio verdeoro, e si è conquistato l’amore imperituro di tutta Rio de Janeiro prima con la maglia del Fluminense e quindi con quella del Botafogo. Il suo calcio cerebrale, elegante e tutto intelligenza, abbinato a una capacità di controllo del pallone e dei tempi di gioco degna di Andrea Pirlo, ha innescato il dribbling luciferino di Garrincha e le altre superbe armi offensive del grande Botafogo degli anni ’60. Superfluo e quasi ridondante ricordare che Didì, in nazionale, ha fatto qualcosa di più di scrivere la storia: ha portato il calcio brasiliano nella modernità, disputando tre mondiali eccellenti e risultando, nel 1958, il numero uno del torneo tra i centrocampisti.
Tra Didì e Gérson, altra leggenda verdeoro, è solo questione di gusti, e suona davvero come un’insolenza escludere il fenomenale pelado dalla formazione titolare, anche perché Gérson è il perno del Botafogo che rinasce a fine anni ’60, vincendo di tutto in patria. Se ho optato per Didì tra i titolari è solo perché sono stato costretto a farlo, ma di fatto i titolari sono due.
Se si parla di idolatria, Mílton da Cunha Mendonça è quasi in grado di dare del filo da torcere al Principe e a Gérson: eccellente mezzala dallo spiccato senso del gol, uomo di maggior talento, forse, del Botafogo degli anni ’70, ha vinto meno di altri grandi protagonisti della storia bianconera, ma ha regalato all’esigente pubblico carioca un calcio che era un florilegio di invenzioni, colpi di suola, tocchi morbidi che hanno il sapore dello sberleffo.
Ala destra: Garrincha
Più che ala destra avrei dovuto scrivere “l’ala destra”, per ragioni sin troppo ovvie. Nella storia del calcio brasiliano e mondiale Mané Garrincha è una delle eccellenze più idiosincratiche e inspiegabili agli occhi degli europei, forse perché ha ipostatizzato il concetto di futebol moleque e di malandro, come e più di altri illustri connazionali. Se Pelé imbrigliava il suo meraviglioso istinto dentro il reticolato della ragione e dell’efficienza, Garrincha giocava affidandosi solo all’istinto, con tutto ciò che ne consegue nel bene e anche nel male, e forse proprio per questo la cultura pragmatica e allergica all’eccesso di noi europei non sempre l’ha compreso e amato. Questo però non toglie una virgola alla sua grandezza: Mané ha vestito per dodici anni la maglia del Botafogo, nella sua Rio, consacrandosi prima come geniale e sghembo fenomeno locale e poi come fuoriclasse planetario, anche e soprattutto grazie ai due titoli mondiali vinti da protagonista. La sua carriera e la sua vita termineranno in modo tragico, come si conviene agli artisti maledetti.
L’unico vero rivale di Mané nel ruolo lo schieriamo trequartista, perché di fatto ha giocato a lungo anche da dieci classico, e come alternativa sulla destra, vista la sua duttilità, schieriamo Dino Da Costa. Centravanti, interno o ala, Dino è stato un giocatore chiave del grande Botafogo degli anni ’50 e un campione anche a Roma, un campione capace di vincere il titolo di capocannoniere in serie A.
Trequartista: Jairzinho
L’unico vero erede di Mané è stato Jair Ventura Filho, per tutti Jairzinho, eccezionale ala e trequartista del Botafogo degli anni ’60 e ’70, nel post Garrincha. Eccezionale in progressione palla al piede e per la capacità di puntare la porta, alla stregua di una punta pura, e per questo soprannominato l’Uragano, Jairzinho ha fatto brillare gli occhi dei suoi tifosi in 413 occasioni, impreziosite da 186 reti e da un numero infinito di grandi giocate, dribbling mortiferi e assist. Il suo mondiale messicano dovrebbe essere esposto al Louvre.
Paulo Cézar Caju è un altro pezzo di storia della Stella Solitaria: trequartista e attaccante aggiunto di classe internazionale, era amato dai tifosi soprattutto per le doti balistiche e la tendenza a inventarsi gol assurdi, ai limiti della logica, anche per puro divertimento – siamo pur sempre a Rio, nella patria del calcio bailado e dell’estetica come ragione di vita. A fine anni ’60 è tra i giocatori di maggior talento della squadra che si prende stato e Brasile, e tornerà a casa alcuni anni dopo, dopo aver vestito la maglia di altri club di primo piano, venendo inserito per quattro volte nella Bola de Prata, la squadra ideale del campionato. Felice anche la sua esperienza in nazionale, che si chiude con 58 presenze, 8 gol e un titolo mondiale vinto da panchinaro di lusso.
Ala sinistra: Mário Zagallo
Zagallo, sia nei club che in nazionale, era chiamato a bilanciare le scorribande folli dell’altra ala (Garrincha) ed era forse il più europeo dei giocatori di quella nazionale, una sorta di Lahm avanzato di 30 metri sul rettangolo di gioco. Più che altro, Zagallo era in ogni caso un giocatore sensazionale: valido nel dribbling e discreto sotto porta, svettava su compagni e avversari sul piano delle letture e anche delle doti difensive, con cui si dimostrava in grado di arginare giocatori molto più prestanti di lui.
Amarildo Tavares da Silveira, Il Ragazzo che fece innamorare prima la Milano rossonera e poi Firenze, è un altro di quei brasiliani difficili da collocare; poiché l’ho visto spesso in campo con il numero undici, lo schiero attaccante di sinistra/seconda punta, dato che un posto in formazione gli spetta di diritto. Superbo giocoliere abilissimo nell’uno contro uno, carattere fumantino, prima di vincere uno scudetto storico a Firenze ha incantato Rio de Janeiro facendo collezione di gol e di giocate pesanti, e vincendo poi anche un mondiale da titolare, dopo aver sostituito l’infortunato Pelé. In maglia bianconera, vanta 136 reti in 231 partite.
Prima punta: Quarentinha
Waldir Cardoso Lebrêgo, per tutti Quarentinha, in patria ha le stigmate della leggenda: l’uomo senza sorriso (non festeggiava praticamente mai i suoi innumerevoli gol) è stato la punta di diamante del Botafogo dei fenomeni, un sensazionale cannoniere adorato da João Saldanha, che ne fece il suo pupillo, vincitore di vari titoli di miglior marcatore e di vari trofei nazionali. Chiuso in nazionale da gente ancora più forte di lui, ha comunque il merito di mettere a referto 14 reti in 13 presenze.
Il giocatore meraviglioso e incapace di gol banali Túlio Maravilha chiude la nostra rassegna: giocatore più uso interno di altri fenomeni in rosa, vantava doti tecniche di prim’ordine e la capacità di segnare con una regolarità sorprendente, vincendo una pletora di riconoscimenti nazionali. Meno incisiva la sua avventura con la nazionale, che si chiude con diverse reti in amichevole e però anche con una Coppa America da protagonista, nel 1995 (nell’occasione, l’attaccante segna contro l’Argentina un gol decisivo, dopo aver però stoppato il pallone con la mano).