Immagine di copertina: Fabio Capello e Zlatan Ibrahimovic alla Juventus
Venti anni fa, un tempo significativo quanto basta. E anche difficilmente catalogabile. Troppo lungo per essere cronaca, troppo breve per essere già storia. Forse uno dei tornei più anomali nella storia del calcio italiano, di certo uno di quelli che non sono passati senza fare rumore. Per la prima volta nel dopoguerra un titolo prima conferito viene poi revocato a seguito delle vicende legate a Calciopoli. Ma non è questo il tema. Il campionato 2004-2005 passerà in ogni caso agli annali come “non assegnato”. Era successo soltanto un’altra volta, quando nell’edizione 1926-27, la prima giocata su base nazionale, al Torino viene revocato lo scudetto per un episodio di corruzione rivelatosi in effetti tale. Ma quella dell’annullamento non sarà – a ben vedere – l’unica particolarità del campionato 2004-2005, centotreesimo in assoluto e settantatreesimo a girone unico.
C’è sempre una prima volta
L’edizione rappresenterà l’esordio per alcuni personaggi che, ognuno a modo proprio, avranno tutti lasciato un segno. Il campionato ha inizio l’11 settembre (una data ritenuta infausta e i fatti sembreranno avvalorare i timori dei cabalisti incalliti) ed è il primo da oltre cinquant’anni con 20 formazioni al via. Anche qui, sorvoliamo sul motivo, ci porterebbe fuori argomento. Tra le novità si registrano i ritorni in serie A, dopo diversi decenni, di Palermo, Messina e Livorno, (che faranno un ottimo percorso classificandosi tutte sul lato sinistro della classifica) oltre a quelli dell’Atalanta, del Cagliari, e della Fiorentina, quest’ultima a due anni dalla caduta in Serie C per sopraggiunto fallimento societario (altra storia su cui ci sarebbe qualcosa da dire).
È un torneo di tante “prime volte” nella stessa stagione: è, per esempio, la prima di Fabio Capello alla guida della Juventus (“Mai alla Juve”, si era fatto imprudentemente sfuggire il tecnico goriziano soltanto qualche tempo prima). È la prima volta anche di Zlatan Ibrahimovic in Serie A, il fuoriclasse svedese di origine bosniaca che all’epoca del trasferimento in Italia (costo dell’operazione 16 milioni di euro) ha 23 anni non ancora compiuti. Lo ingaggia proprio la Juventus e all’inizio non tutti gli addetti ai lavori sembrano convinti della scelta.
Lotito chi?
Si affaccia sullo scenario calcistico nazionale un imprenditore destinato a far parlare di sé per più di una ragione: Claudio Lotito. Lo conoscono in pochi, nel 2004. Il nuovo presidente della Lazio rileva la società capitolina in preda alla massa debitoria stratificata negli anni. Lo fa versando una quota irrisoria, ma lo fa. Una vicenda complicata, quella dell’avvicendamento al vertice biancoceleste. Dopo due anni di sostanziale gestione diretta di Capitalia, gruppo bancario approdato al timone della Lazio dopo l’uscita di scena di Sergio Cragnotti, travolto dalle vicende Cirio, la società biancoceleste è sull’orlo del baratro finanziario. Cragnotti non avrà fatto peggio di altri ma è una delle vittime eccellenti di una lotta per la supremazia non soltanto calcistica che in quegli anni si combatte in Italia. Le entrature personali e politiche consentono all’imprenditore romano Lotito, genero del costruttore Gianni Mezzaroma, di arrivare ad acquisire la SS. Lazio “per crediti inesigibili presso la Regione Lazio”.
Criticato da molti, apprezzato da altri, talvolta oggetto di satira per modalità caricaturali e un uso disinibito, sul filo del maccheronico, di citazioni in latino. In tanti anni di presidenza il patron della Lazio, senatore della Repubblica dal 2022, sarà riuscito dapprima a scongiurare il fallimento, poi a far navigare la squadra in acque più tranquille. Infine, sotto la sua presidenza, ancora in corso, la squadra riuscirà a vincere nel tempo tre Coppe Italia e altrettante Supercoppe italiane, impresa non riuscita ad altri imprenditori forse più facoltosi. Sarà anche la prima volta in cui avere la peggior difesa in assoluto non è motivo di retrocessione: avviene al Lecce di Zdenek Zeman (secondo attacco della serie A, ultima difesa, undicesima posizione in classifica generale).
Se Atene piange, Sparta…
Nemmeno per la Roma sarà una stagione da ricordare con piacere: il valzer di allenatori durante l’annata sarà tutt’altro che positivo. A causa di motivi familiari, il tecnico Cesare Prandelli è costretto a dimettersi a pochi giorni dall’inizio del torneo. La società chiama in panchina l’ex bomber tedesco Rudi Völler, già idolo della Curva Sud fra gli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo. La mancanza di risultati positivi spingerà a sostituire l’allenatore prima con Luigi Delneri e poi con Bruno Conti.
In teoria la Roma avrebbe i numeri per essere la seconda o terza forza del campionato: con Panucci, Montella, Totti e Cassano non sarebbe umanamente possibile essere una scialba comprimaria, eppure vent’anni fa la squadra giallorossa riesce nella paradossale impresa. Si salva dalla retrocessione soltanto alla penultima giornata e aggancia le competizioni Europee solo perché finalista di Coppa Italia contro l’Inter (la formazione nerazzurra si aggiudicherà il trofeo al termine del doppio confronto di finale).
Così vanno le cose
La Juventus di Fabio Capello è fin da subito dominatrice del torneo: alla seconda giornata i bianconeri balzano in testa, inseguiti per un certo periodo dal terzetto formato dal Milan campione in carica e da Lecce e Messina. La matricola siciliana è capace dapprima di violare il Meazza rossonero il 22 settembre, e successivamente di giocarsi il primo posto provvisorio in classifica nello scontro diretto al Delle Alpi alla sesta giornata. Ben presto, però, i milanesi diventano l’unica antagonista possibile della Juventus, visto anche lo stentato avvio (12 pareggi nelle prime 15 partite) dell’Inter di Roberto Mancini. I rossoneri si presentano allo scontro diretto di Torino, il 18 dicembre, con quattro punti di svantaggio: i bianconeri escono indenni e il 9 gennaio l’aritmetica li dà per campioni d’inverno.
All’inizio del girone di ritorno il Milan accusa un sensibile calo di rendimento, con due sconfitte subite contro Livorno e Bologna, consentendo alla capolista di portarsi a +8. Da quel momento, però, i bianconeri dissipano poco alla volta il vantaggio acquisito, permettendo l’aggancio dei rossoneri, che il 19 febbraio raggiungono la vetta della classifica. Si arriva così allo scontro diretto dell’8 maggio: allo Stadio Meazza di Milano un gol di David Trezeguet su uno spettacolare assist in rovesciata di Del Piero consegna tre punti di platino alla Juventus, che si aggiudicherà il tricolore con una giornata d’anticipo. Il 20 maggio i bianconeri non devono neppure scendere in campo, visto il pareggio rossonero nell’anticipo casalingo contro il Palermo. Le vicende giudiziarie legate all’inchiesta di Calciopoli vanificheranno tutto.
Toni e il professor Spalletti
Un plauso particolare va alle due squadre siciliane, Palermo e Messina, protagonisti di una lotta serratissima per l’ultimo posto a disposizione per la Coppa UEFA: avranno la meglio i rosanero palermitani, guidati da un Luca Toni in grande condizione. Dopo avere portato il Palermo in Serie A con i suoi gol, l’attaccante emiliano riuscirà con 20 gol nella stagione 2004-2005 a portare un pezzo dell’Isola in Europa. L’anno successivo sarà ceduto alla Fiorentina, squadra con la quale vincerà la classifica dei cannonieri con 31 realizzazioni.
Straordinario anche il percorso dell’Udinese allenata da Luciano Spalletti. Superando allo sprint la Sampdoria di Walter Novellino, la formazione friulana taglia il traguardo della qualificazione alla Champions League. Un quarto posto che pochissimi avrebbero pronosticato, almeno all’inizio. In coda, si verifica una lotta per la salvezza che coinvolgerà 13 squadre, tra cui Roma, Lazio e Parma. In Serie B scenderanno l’Atalanta, il Brescia e il Bologna, quest’ultimo vittima dello spareggio-salvezza proprio contro il Parma.
…e segna sempre lui
Un cenno a parte merita il capocannoniere del campionato italiano più anomalo di sempre. Per certi versi anche lui è un’anomalia. Il suo non è un nome che fa impazzire le folle internazionali ma chi lo conosce lo apprezza come centravanti e come persona, talvolta rude ma sempre sincera. Viene da Livorno e si chiama Cristiano Lucarelli. Poche sono le certezze dei livornesi: il caciucco, la rivalità con i pisani e lui, “che la butta sempre dentro”. Non vincerà quasi nulla ma in quella stagione è Lucarelli a segnare più di tutti. Non sarà un raffinato del pallone ma è molto efficace sotto porta, di testa e con entrambi i piedi. Classe 1975, Cristiano è uno che ha fatto gavetta in giro per l’Italia e sono in molti a sottovalutarne il potenziale. Tuttavia, dietro quell’andatura in apparenza goffa e un tocco talvolta ruvido si nasconde un vero trascinatore.
A 28 anni, dopo aver girato l’Italia da nord a sud, ha la possibilità di giocare nella squadra della sua città. Al termine del campionato 2003-2004, con i 29 gol del “bomber fatto in casa” il Livorno torna in serie A dopo 55 anni di assenza. L’anno successivo gli servono 24 realizzazioni per vincere la classifica dei cannonieri del torneo maggiore. Un contributo fondamentale per salvare la squadra amaranto da una retrocessione che a settembre 2004 molti davano per sicura. A ben vedere, non avrebbe nulla da invidiare a Iaquinta, a Toni o a Gilardino ma il CT della nazionale Marcello Lippi non lo considera. Un peccato: con un po’ più di fortuna e un po’ meno attenzione alla geopolitica, Cristiano Lucarelli avrebbe potuto essere campione del mondo 2006, magari al posto di uno dei tre. E questa sarebbe stata un’altra storia. Ma con lui, la classe operaia è andata in paradiso lo stesso. Almeno per una volta.