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Le 5 migliori squadre europee anno per anno dal 1966 al 1970

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Chiudiamo con gli anni ’60, con il dominio delle squadre latine che progressivamente cede il passo a quelle del nord Europa: il Vecchio Continente sta per diventare terra di conquista per inglesi (e scozzesi), olandesi e tedeschi, ma il nostro calcio è ancora capace di regalare sprazzi indimenticabili, mentre la Spagna, dopo un lungo dominio, inizia a faticare.

1965-1966

La Coppa dei Campioni le sfugge, ma non è pensabile vincerla ogni anno, e l’Inter in ogni caso viene eliminata solo in semifinale: ecco perché, a mio avviso, nella stagione 1965/1966 è ancora la squadra più forte in circolazione, come conferma anche il campionato vinto d’autorità davanti al redivivo Bologna.

Il Real Madrid ha salutato le sue vecchie glorie, ma non ha mollato la presa sull’Europa: dopo due semifinali molto equilibrate ha eliminato l’Inter e in finale ha prevalso sul Partizan Belgrado, la sorpresa della competizione. Guidato da campioni come Gento, ancora sulla breccia, Pirri e Amancio la squadra bianca è ancora una volta regina d’Europa e una delle formazioni di riferimento del continente.

Una certa immaturità l’ha privato della prima finale, ma il Manchester United di Best, Charlton e Law ha espresso probabilmente il miglior calcio d’Europa e pur concedendo qualcosa in termini di continuità merita di figurare tra le big, così come meritano di starci i suoi connazionali ed eterni avversari del Liverpool, campioni d’Inghilterra per la seconda volta in tre anni, sempre sotto la guida saggia del totem Shankly, e i tedeschi del Borussia Dortmund: i gialloneri sono la squadra più bella ed efficace della Bundesliga, anche se la perdono sul filo di lana, ma si riscattano in Europa, portando in Renania la Coppa delle Coppe, vinta a spese proprio del Liverpool di Callahan, Hunt e Tommy Smith, la squadra che un anno prima ha costretto l’Inter alla rimonta del secolo. Lothar Emmerich è capocannoniere sia in patria che in Coppa e si afferma come uno dei migliori giocatori tedeschi della sua generazione.

1966-1967

Al termine della stagione 1965/66, il Celtic Glasgow si prende il campionato scozzese e si presenta ai nastri di partenza della Coppa dei Campioni con l’ambizione di arrivare fino in fondo, ma non viene preso troppo sul serio delle big europee, che commettono un errore madornale: il Celtic della stagione 1966/67 è infatti la squadra più bella, efficace e vincente del continente, e a Lisbona cammina sulle macerie di una grande Inter che ha perso smalto proprio sul più bello. La qualità superiore del calcio degli scozzesi, tra i quali brilla il talento del piccolo Best di Scozia noto come Johnstone, consegna loro un primo posto che reputo indiscutibile.

L’ultima stagione di un’Inter logorata da un quadriennio ai vertici, come noto, vede sfumare ogni traguardo a un passo dalla sua conquista, ma ciò non toglie che i nerazzurri siano ancora una delle primissime squadre del mondo, forse la migliore in assoluto sul piano individuale. Una stagione che potrebbe essere trionfale si trasforma dunque in un dramma sul più bello, tra Mantova e la lezione di gioco subita dai Leoni di Lisbona scozzesi, ma regala alcuni dei momenti più alti della storia nerazzurra, su tutti il trionfo di Madrid, dove si rivede Luisito nella sua versione da serata di gala.

Il Manchester United continua a salire di colpi: la First Division di fatto non è mai in discussione, e il terzetto delle meraviglie (su tutti, un Denis Law ispirato come nella stagione del pallone d’oro) inizia a posare le prime pietre della statua che i tifosi gli dedicheranno a breve nei pressi dell’Old Trafford, ed è solo il preludio alla marcia trionfale della stagione successiva.

L’ennesima Liga vinta in carrozza, con la rinnovata squadra fresca del sesto successo in Europa, mi suggerisce di ricordare ancora una volta il Real Madrid, quello che si affida alle volate e alle invenzioni di Grosso, Amancio e del vecchio Gento, ancora in grado di primeggiare nella classifica dei marcatori in maglia bianca.

Trascinato da un Eusébio capace di 42 reti in 33 partite, il Benfica si prende d’autorità il campionato portoghese e si rilancia in ottica Coppa dei Campioni: reduce da quattro finali in pochi anni, la sua rosa comincia a soffrire il logorio del tempo, ma sente di avere ancora un colpo in canna.

1967-1968

L’anno spartiacque nella storia della cultura moderna elegge a suo sovrano il giocatore che più di ogni altro assomiglia a una rockstar (il quinto Beatle George Best, che però ammira più il maledetto Jim Morrison rispetto ai Fab Four). Il Manchester United in casa è protagonista di un lungo derby in volata con i concittadini, che perde sul filo di lana, ma in Europa si prende la rivincita con gli interessi: orchestrato da un Charlton nel pieno della maturità e da un Best ispirato come mai dalla sua personale musa e pronto a portarci per mano nelle vie tortuose del suo pazzo mondo, il Manchester, dieci anni esatti dopo la tragedia di Monaco, conquista l’Europa e lo fa in grande stile, a Wembley.

Nell’estate del 1967, un Milan reduce da un deludente ottavo posto, e che pare totalmente allo sbando, con un Rivera che sta sprecando gli anni migliori della sua carriera predicando nel deserto, ha l’intuizione di richiamare Nereo Rocco, il più grande “miracolista” della storia italiana, ed ecco quindi che arriva la resurrezione, e lo fa in maniera trionfale, del tutto inattesa. Il genio friulano mette Gianni al centro del progetto, esalta le doti di finalizzatore di Pierino Prati, regala nuova vita e motivazioni ad Hamrin, appena arrivato da Firenze, e il risultato sono un catenaccio-arte quasi senza precedenti né epigoni, uno scudetto vinto in carrozza e la Coppa delle Coppe che arriva dopo aver superato in maniera netta, nel gioco e nel punteggio, le corazzate tedesche Bayern Monaco e Amburgo.

Il 1968 è l’anno mancuniano per eccellenza: galvanizzato dalla vena realizzativa di Lee e Young, guidato dal grande campione Colin Bell, il Manchester City vince il derby contro lo United delle stelle e si affaccia tra le grandi.

L’Inghilterra sta iniziando a far sentire la sua voce anche con il Leeds United, il futuro Dirty Leeds, già finalista in Coppa delle Fiere nel 1967 e capace nel 1968 di imporsi sui sempre temibili ungheresi del Ferencváros, altra squadra che non sfigurerebbe in questa cinquina. Il Leeds di Don Revie, che si affida a Lorimer, Bremner e a diversi giocatori brutti, sporchi e cattivi, diventa una delle grandi del Vecchio Continente.

I vecchi leoni del Benfica perdono ai supplementari, anche se in maniera netta, la finale contro lo United, ma sono ancora una volta della partita, e in casa ribadiscono l’egemonia in corso da tempo. Per la grandissima generazione degli anni ’60, il 1968 rappresenta il canto del cigno, ma è un canto del cigno che li porta a sfiorare l’ennesimo trionfo, grazie soprattutto al solito bomber del Mozambico, che segna sempre più di un gol a partita.

1968-1969

Il Milan dei miracoli concede qualcosa in Serie A, ma in Europa dimostra di essere la squadra migliore: approntato dalla sagacia di Nereo, il Milan affronta un cammino complicato (Celtic e Manchester United) prima di regolare il giovane e arrembante Ajax con una lezione di calcio, ben fotografata dal 4-1 finale. Rivera si consacra come il più grande uomo assist e genio d’Europa e Pierino Prati è l’unico giocatore italiano capace di una tripletta in una finale di Coppa dei Campioni.

In Germania, i tempi sono maturi perché il Bayern Monaco, la giovane banda guidata dal Kaiser e da Müller (capocannoniere con 30 reti) si prenda il campionato e lo faccia in grande stile: i bavaresi lasciano la seconda a otto punti e si affermano come una delle formazioni più temibili e complete d’Europa, e come sappiamo siamo solo all’inizio.

Anche il Leeds United sente profumo di anni ’70, e infatti, dopo il trionfo europeo, regola tutti gli avversari anche in Inghilterra: anche nel suo caso, il titolo non è mai in discussione, con il Liverpool che chiude a sei punti e le due squadre di Manchester che crollano fino a metà classifica.

Anni ’70 significa Olanda, e l’imberbe Ajax di Cruijff, già uno dei primi giocatori d’Europa, raggiunge la prima finale europea, che perde contro un Milan molto più esperto ed efficace. I tempi sono però maturi per la rivoluzione, e anche il Feyenoord dello stregone Happel, che si affida al calcio cerebrale e sofisticato di van Hanegem, lo conferma: il lungo duello domestico con l’Ajax viene vinto dalla band di Rotterdam, e allora sì, gli anni ’70 sono proprio vicini.

1969-1970

Nel 1970 l’Ajax matura definitivamente: il calcio totale di Michels, spettacolare e molto più “anarchico” di quello del dirimpettaio Happel, lima difetti e ingenuità e diventa una vera e propria macchina da guerra, per quanto votata allo spettacolo. L’Ajax domina il campionato olandese ed esprime il calcio più bello d’Europa, ma l’Europa diventa il regno del Feyenoord, che al termine di una finale complicata ha ragione dei fortissimi e sempre temibili scozzesi del Celtic.

Happel confeziona infatti il primo capolavoro internazionale e da cineteca della sua leggendaria carriera, portando il suo Feyenoord, la massima espressione del nuovo calcio totale nella sua versione più rigorosa, compassata e spigolosa, a trionfare a sorpresa in Coppa dei Campioni. Collettivo superbo esaltato dalla regia di van Hanegem, il Feyenoord è una delle squadre più efficaci e forti d’Europa.

In Sardegna stanno ancora festeggiando il titolo del 1970, uno dei più incredibili della storia del calcio italiano, e il Cagliari che Rombo di Tuono porta in Paradiso è una formazione ricca di grandi giocatori, che si tratti del libero sui generis Cera, dell’atleta del futuro Angelo Domenghini o di mr. genio e sregolatezza Enrico Albertosi. Avrebbe meritato una menzione anche nella stagione precedente, ma lo scudetto scivolato dalle mani mi ha indotto a escluderlo dalla cinquina: l’impresa del 1970 è però talmente grande e bella che il posto non glielo toglie nessuno.

Anche in Germania qualcosa si muove nelle gerarchie: il Bayern dei due fenomeni perde un paio di partite di troppo, e il titolo finisce nelle mani di una squadre destinata a lasciare un segno profondo nel decennio che si sta aprendo, ovvero nelle mani del Borussia Mönchengladbach, la formazione che raccoglie il testimone del Dortmund come portabandiera dello spettacolare e aggressivo calcio renano. Anche i renani hanno i loro due fenomeni (Vogts e Netzer) e il loro successo è il frutto di meccanismi di squadra oliati alla perfezione e di una qualità media molto alta.

Difficile identificare una squadra inglese meritevole della cinquina nel 69/70, per quanto l’Everton si divori gli avversari in campionato e il Manchester City vinca la Coppa delle Coppe; potrei ricordare il grande Celtic che torna in finale, ma anche per variare viro verso la Spagna, reduce da qualche stagione più complicata, e celebro il titolo vinto dall’Atletico Madrid, che si affida al carisma e alla qualità di Aragonés e una folta schiera di guerrieri per prendersi la Liga e candidarsi al successo anche in Europa. I Colchoneros sono una delle prime formazioni spagnole ad affacciarsi davvero sul calcio degli anni ’70: aggressivi, fisicamente e psicologicamente, e capaci di giocare come un vero collettivo, sono una formazione moderna e di notevole qualità.

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