Immagine di copertina: l’Hakoah nella tournée americana [https://stljewishlight.org]
Lo scudetto del 1925 rappresentò per l’Hakoah l’apice della sua storia. Le tournée americane del 1926 e 1927, necessarie sia per diffondere le idee del movimento sionista al di fuori dei confini europei sia per raccogliere fondi e fare fronte a una difficile situazione economica, segnarono l’inizio della fine. È un po’ come quando si raggiunge la cima di una montagna: con il passo successivo comincia la discesa, che è spesso rapida, improvvisa e per certi versi inattesa. Nel 1926 l’Hakoah giunse negli Stati Uniti piena di debiti, ma con un organico di alto profilo sul piano tecnico, uno dei più quotati nel panorama austriaco ed europeo. Quando ripartì le casse del club avevano ricevuto una salutare iniezione di denaro, ma la squadra era stata praticamente smantellata: diversi giocatori avevano accettato le lusinghe dei ricchi club a stelle e strisce. A volere fortemente le tournée era stato il presidente Ignaz Hermann Körner: la società versava in condizioni piuttosto critiche, conseguenza degli ingenti investimenti che erano serviti per finanziare la costruzione del nuovo stadio, ampliare le sezioni della polisportiva e pagare i giocatori passati da poco al professionismo. Una situazione che riguardava anche altre realtà austriache come l’Amateure e il Rapid. Diversi club erano stati costretti a tornare al modello amatoriale e altri avevano dovuto abbassare gli stipendi del 30 o 40 per cento.
Körner giunse in America un mese prima della squadra con l’obiettivo di promuovere il tour, tessere rapporti con le autorità locali e incontrare le associazioni ebraiche, garantendo che parte dei fondi delle partite sarebbero stati destinati agli ebrei europei che si erano stabiliti sul territorio americano. Il lavoro di Körner si concentrò soprattutto su New York, dove viveva una numerosa comunità ebraica. Trovò il sostegno anche di alcuni importanti atleti come il pugile Benny Leonard e il campione di scacchi Emanuel Lasker. La squadra partì dalla stazione Westbanhof di Vienna il 6 aprile 1926, giungendo a New York il 17 aprile dopo aver disputato un’amichevole a Parigi. A guidare la spedizione non c’era Arthur Baar, rimasto a casa, ma Valentin Rosenfeld, che era il responsabile della sezione nuoto. Non appena arrivati negli Stati Uniti, i giocatori dell’Hakoah furono ricevuti con una cerimonia in grande stile dal sindaco di New York Jimmy Walker. Antipasto ideale per il primo match, disputato pochi giorni dopo contro una selezione di giocatori dell’International Soccer League. Più che il 4-0 finale in favore dell’Hakoah a stupire fu la clamorosa risposta di pubblico: ben 25mila persone accorsero per vedere all’opera la compagine europea. Era la dimostrazione non solo del proficuo lavoro svolto da Körner, ma anche della passione e della curiosità degli americani nei confronti di uno sport che – a dispetto di quanto sarebbe successo in seguito – suscitava all’epoca un vivo interesse: non dimentichiamo che appena quattro anni più tardi la nazionale a stelle e strisce sarebbe arrivata terza nel primo campionato del mondo in Uruguay.
Il boom di presenze fu raggiunto qualche giorno più tardi, quando al Polo Grounds di New York l’Hakoah si esibì davanti a una folla di 46mila spettatori, un record per una partita di calcio negli Stati Uniti, battuto solo 51 anni dopo in occasione del debutto di Pelé con la maglia dei Cosmos. Poco importava che l’Hakoah perse la partita 3-0 contro una formazione mista che allineava Herbert “Murren” Carlson, bomber principe della Svezia alle Olimpiadi 1920, l’ala destra William Alphonsus Crilley, reduce da un’annata con 49 gol nel campionato scozzese, e tre nazionali americani. I giornali locali esaltarono il modo di giocare della squadra, elegante, fatto di passaggi corti e sovrapposizioni, così distante dai canoni inglesi. Fu però in quell’occasione che cominciò l’esodo: i presidenti ebrei del Brooklyn Wanderers e dei New York Giants, Nat Agar e Maurice Wandeweghe, iniziarono a sedurre i calciatori dell’Hakoah con contratti faraonici: mentre in Austria i giocatori potevano percepire solo lo stipendio del proprio club, in America era possibile avviare anche delle attività commerciali. Aggiungiamo che già all’epoca gli Stati Uniti si ponevano come il Paese delle opportunità per chiunque avesse un minimo di spirito imprenditoriale e il gioco era fatto. In poche settimane l’Hakoah si trovò privata di diversi dei propri migliori elementi: Jozsef Eisenhoffer, Heinrich Schönfeld, Leo Drucker e Alexander Neufeld firmarono per i Wanderers, mentre i Giants misero sotto contratto Max Grunwald, Moritz Häusler, Béla Guttmann, Ernő Schwarz ed Egon Pollak.
Dei big erano rimasti solamente il portiere Fabian e i difensori Gold e Scheuer. Al rientro in patria l’Hakoah fu così costretta a lanciare numerosi giovani come Siegfried Wortmann, Imre Mausner e Bela Kestler e ad acquistare alcuni calciatori boemi e cecoslovacchi. Ma la squadra era oramai anni luce distante da quella che aveva conquistato lo scudetto soltanto un anno prima. La dirigenza nell’estate del 1927 ripeté la tournée con la speranza di riscuotere lo stesso successo economico, tuttavia la gente si rese conto che il valore dell’organico era sceso non poco e negli stadi non si registrò più il medesimo entusiasmo. Oltretutto quei pochi giocatori che erano rimasti fedeli alla maglia, come Fabian, Gold e Wortmann, firmarono per alcuni club americani costringendo dunque la società viennese a compiere ulteriori salti mortali per schierare nelle annate seguenti delle formazioni dignitose.
Mentre in Austria l’Hakoah andava così incontro a un precoce e irreversibile declino, i suoi ex calciatori rimasti negli Stati Uniti conobbero anni di gloria e si ritrovarono a giocare assieme in squadre composte da soli calciatori ebrei, seguendo lo stesso spirito che aveva animato i fondatori dell’Hakoah. Nacquero così i New York Hakoah, i Brooklyn Hakoah e l’Hakoah All Stars. I New York Hakoah riuscirono anche nell’impresa di conquistare un trofeo: l’Us Open Club, dopo aver sconfitto in finale il Madison Kennel Club di St Louis con un 2-0 all’andata e un 3-0 al ritorno. La formazione allineava giocatori austriaci e ungheresi: Lajos Fischer, Ludwig Grosz, Laszlo Sternberg, Rezso Nikolsburger, Leo Drucker, Béla Guttmann, Pavel Mahrer, Ernő Schwarz, Moritz Häusler, Max Grunwald, Siegfried Wortmann, Joszef Eisenhoffer.
Fu quello il canto del cigno di un manipolo di uomini e calciatori che erano riusciti a lasciare un segno tangibile del loro valore calcistico prima nel vecchio continente e poi in quello nuovo. La crisi di Wall Street del 1929 pose fine ai loro sogni e ai loro guadagni. Uno per tutti, Guttmann. L’ex stella del club viennese aveva costruito a New York un piccolo impero: aveva iniziato a dare lezioni di danza, aperto uno spaccio clandestino di bevande alcoliche e guadagnato una fortuna. Ma dopo il fatidico Giovedì nero perse tutto. E con arguto sarcasmo commentò: «Ho fatto dei buchi negli occhi di Abramo Lincoln sulla mia ultima banconota da cinque dollari. Ho pensato che così la banconota non avrebbe potuto trovare la porta per andarsene». Tornò in patria, chiuse la carriera all’Hakoah e cominciò, proprio nella società tanto amata, la straordinaria carriera di allenatore che lo avrebbe consegnato ancora di più alla leggenda.
7 – Continua