Immagine di copertina: alcuni giocatori dell’Hakoah in un momento di relax [https://static.timesofisrael.com]
Impostata secondo il Metodo (WM), il sistema di gioco di riferimento dell’Europa continentale e del Sudamerica, l’Hakoah sapeva sviluppare una manovra ariosa e spumeggiante, secondo i tratti dello stile danubiano. Come detto, gli elementi cardine che permisero di compiere il definitivo salto di qualità furono gli ungheresi, a partire dal portiere Sandor Fabian.
Arrivato dall’Mtk Budapest, dove era stato la riserva del futuro asso del Barcellona Ferenc Platkko, Fabian aveva un carattere istintivo e uno stile spettacolare, più Buffon che Zoff per intenderci. Sovente agiva anche da terzo difensore uscendo sugli attaccanti e partecipando al gioco. In patria qualcuno aveva osato addirittura accostarlo allo spagnolo Ricardo Zamora, il più forte portiere del mondo: un’esagerazione certamente, ma che denotava la grande considerazione intorno alla sua figura.
Il pacchetto arretrato faceva leva sull’esperienza del terzino e veterano Max Scheuer, che era giunto all’Hakoah giovanissimo dal piccolo club del Romania. Inizialmente schierato come attaccante, venne poi spostato in difesa dove mise in mostra tutte le sue doti di arcigno combattente. Nella storia dell’Hakoah nessun altro giocatore ha avutouna militanza lunga come la sua: per il club ebraico viennese è stato un autentico simbolo di attaccamento alla maglia oltre che un emblema di fair play.
In coppia con Scheuer era solito giocare Max Gold. Cresciuto nel Wiener AF, era arrivato all’Hakoah una prima volta nel 1922, ma si era poi trasferito al Makkabi Tallinn. Tornato nel club viennese nel 1924 fu uno dei protagonisti dello scudetto. Si trattava del classico difensore roccioso e dotato di grande prestanza fisica. Dopo la tournée americana si trasferì ai New York Giants. Smise di giocare a soli 27 anni per problemi all’anca.
Nella linea dei mediani la fascia destra era presidiata da Richard Fried, giocatore di grinta e temperamento, nell’orbita della nazionale di Hugo Meisl. Elemento affidabile e concreto, concedeva poco allo spettacolo.
Al centro, a governare le operazioni, ecco l’icona principe della squadra, Bela Guttmann. Ritenuto uno dei migliori centromediani d’Europa, Guttmann era arrivato dal Novi Sad nell’autunno del 1921. Carattere forte, personalità controversa e carisma da vendere, aveva fatto parte dell’Ungheria durante le Olimpiadi del 1924 a Parigi. In quell’occasione si era lamentato dell’inadeguata organizzazione e preparazione dei vertici federali e dell’allenatore. Per protesta convinse così alcuni compagni a catturare dei topi, li legò per la coda e li appese alle maniglie delle porte delle camere dove dormivano i dirigenti. Quando si seppe che era stato lui ad architettare lo scherzo, fu espulso dalla nazionale e mai più richiamato. Dal punto di vista tecnico Guttmann era un lottatore indomito, un infaticabile recuperatore di palloni, ma anche uno splendido direttore d’orchestra: celebri i suoi lanci a lunga gittata per azionare il gioco d’attacco. Inutile dire che Guttmann, una volta appese le scarpette al chiodo, diventò un tecnico tra i più rivoluzionari e rinomati della storia del calcio.
A sinistra era solito agire Egon Pollak. Faceva parte di una famiglia di calciatori e anche i fratelli Oskar e Moritz avevano militato nell’Hakoah. Dotato di un buon tiro dalla distanza, aveva nella visione di gioco un altro punto di forza. Fu uno dei leader dello spogliatoio grazie al carattere mite e conciliante e al suo senso dell’umorismo.
La linea offensiva era un riuscito mix di classe, velocità e potenza. A destra ecco l’ungherese Sandor Nemes. Arrivato all’Hakoah dal Ferencvaros nel 1919, cambiò il suo nome nel più tedesco Alexander Neufeld. Squalificato diversi mesi perché aveva firmato il contratto con la nuova squadra senza prima liberarsi da quello vecchio, Nemes giocò per un breve periodo nel Basilea in Svizzera e nel Maccabi Brno in Cecoslovacchia. Tornato all’Hakoah nel 1921 divenne un perno fisso della squadra per un quinquennio. Veloce, tecnico e con un’ottima visione di gioco, le sue qualità erano particolarmente apprezzate dai suoicontemporanei. Il Philadelphia Jewish Times scrisse che era popolare in Austria quanto Babe Ruth in America e un altro giornale, Idrottsbladet, sottolineò che nemmeno l’Uruguay campione olimpico aveva un’ala destra così forte. In Inghilterra divenne famoso come “l’eroe dell’Est” dopo la tripletta rifilata al West Ham nel 1923. Sedotto dai dollari americani, si stabilì negli Stati Uniti nel 1926, ma rientrò in Europa nel 1932 vincendo un campionato jugoslavo con il Bsk Belgrado. Trasferitosi in Israele nel dopoguerra allenò il Maccabi Tel Aviv ed entrò a far parte del comitato olimpico.
Meno tecnico, ma più potente e dotato di un temibile tiro dalla distanza era l’altra ala, il mancino Ernő Schwarz. Anche lui era cresciuto nel Ferencvaros. Anche lui aveva giocato nel Maccabi Brno prima di passare all’Hakoah nel 1923. Anche lui rimase negli Stati Uniti dopo la tournée del 1926. A differenza di Neufeld però Schwarz non tornò più in Europa e dopo aver militato per diverse formazioni americane entrò nei quadri della federazione. Apprezzato dirigente, la sua missione fu quella di promuovere la diffusione del calcio negli Stati Uniti. Allenò la nazionale americana, con la quale fallì la qualificazione ai Mondiali svizzeri del 1954.
Altri due elementi chiave per la conquista del titolo del 1925 furono i due interni Moritz Häusler e Jozsef Eisenhoffer. Il primo era considerato uno dei giocatori viennesi più tecnici e dotati di maggior estro. Autentica bandiera dell’Hakoah, rimase nel club 11 anni, dal 1918 al 1926 e dal 1933 al 1936. In mezzo, anche per lui ci fu la parentesi americana. Dopo aver allenato nel Nord Europa e in Lussemburgo tornò a Vienna alla fine della guerra e acquistò una caffetteria.
Il caso di Eisenhoffer fu unico: non era nato ebreo, si era convertito per volere della moglie e dei suoceri, estremamente religiosi. Considerato un talento, dal Kispest si trasferì al Maccabi Brno e quindi al Ferencvaros. Fece parte della spedizione olimpica del 1924 e al termine dell’estate pareva destinato all’Amburgo. Ancora una volta però si fece convincere dalla moglie che amava Vienna e scelse l’Hakoah. Nel nuovo club si distinse immediatamente per le proprie doti realizzative: in una tournée in Polonia e nei Paesi baltici realizzò 33 reti, miglior cannoniere della squadra. Oltre che temibilissimo in area di rigore, Eisenhoffer aveva grande creatività e abilità nell’ultimo passaggio. Tanto per cambiare anche lui scelse di giocare nelle leghe americane dopo il 1926. Nel 1931 tornò all’Hakoah, nel 1933 passò in Francia all’Olympique Marsiglia, del quale divenne allenatore-giocatore vincendo un campionato e una coppa nazionale.
A finalizzare l’intera manovra c’era inizialmente lo storico bomber Norbert Katz, il quale però a metà stagione patì un infortunio piuttosto serio e venne sostituito da Max Grunwald. Rispetto a Katz, Grunwald era meno tecnico e meno portato al dribbling, ma più potente e abile a muoversi in area di rigore, dunque il suo innesto fu fondamentale per tramutare in gol l’ariosa e incessante manovra palla a terra.
Un altro elemento che spesso partiva titolare era Alois Hess, ala o mezzala mancina dallo spunto irresistibile. Era il più religioso del gruppo e per questo il sabato, giorno sacro per gli ebrei, si rifiutava di scendere in campo.
In panchina nell’anno dello scudetto sedeva Arthur Baar, che aveva preso il posto di Hunter. Si può dire che Baar sia stato per l’Hakoah ciò che Johan Cruijff ha rappresentato per il Barcellona. Un mentore, una guida, un manager. Ha attraversato tutte le tappe più significative della vita societaria sotto diverse vesti. Ha preso le decisioni più importanti, sul campo e dietro una scrivania. Ha plasmato il club secondo la propria immagine, il proprio stile, il proprio credo. Siamo certi che lui più di ogni altro ha sofferto quando l’Anschluss del 1938 cancellò in una manciata di giorni quella creatura che aveva fatto crescere con tanto amore, tanti sacrifici, tanta pazienza. E non a caso, dopo l’invasione nazista, Baar lasciò l’Austria per sempre. Si stabilì in Israele e fino alla morte, nel 1984, continuò a lavorare nel mondo del calcio, promuovendone la diffusione a vari livelli e allenando la nazionale. E mettendoci la stessa passione e lo stesso entusiasmo di quando a 18 anni, con un gruppo di amici, aveva gettato le basi per creare la più forte squadra ebraica di tutti i tempi.
6 – Continua