Essere i cugini poveri del Real Madrid rischia di provocare un complesso di inferiorità inguaribile: ti tocca condividere il legami di parentela con i Blancos, ovvero con: la loro retorica del successo che ha purtroppo solide fondamenta, la loro mentalità vincente che trasuda la sicurezza silenziosa e spietata dei grandi, il loro cinismo, un platea sterminata di fuoriclasse e la loro capacità di ribaltare i pronostici con disinvoltura (che si parli di Amsterdam 1998 o delle improbabili eppure ripetute rimonte che hanno portato a Madrid la Champions League del 2022).
Il Real Madrid, piaccia o non piaccia, fa categoria a sé nella storia del calcio mondiale, perché – quasi a prescindere da chi vesta la sua maglia – è sempre un competitor, sia in patria che in Europa, e ha un palmares vastissimo e di fatto fuori dalla portata anche delle rivali più accreditate (con il dovuto rispetto, neanche il Milan può accomodarsi allo stesso tavolo). L’Atletico si è dovuto misurare con questo gigante sportivo – e anche della politica – e, come se non bastasse, ha perso contro i Blancos due finali di Champions, e l’ha fatto in maniera “immeritata”, fortuita (o forse no?), il che rende le sue sconfitte ancora più amare e difficili da digerire.
Diciamola tutta: se non avesse sede a Madrid, l’Atletico probabilmente godrebbe di ben altra considerazione nei consessi internazionali dove si parla di football, e allora forse è giunto il momento di rendere giustizia alla sua storia. Il Cholismo dell’ultima decade sembra quasi l’ipostasi dello spirito dei Colchoneros, ma l’Atletico non è stato e non è solo cattiveria agonistica e organizzazione “militare”, anche se rappresenta la parte “popolare” di Madrid: srotolando la mappa dei decenni (come di consueto, prendiamo in considerazione solo ciò che viene da fine anni ’50/ inizio anni ’60 in avanti, e si spiegano così alcune illustri esclusioni, come quelle di Carlsson o di Larbi Ben Barek), si scopre/ricorda infatti che numerosi campioni hanno nobilitato la storia della seconda squadra di Madrid, e noi abbiamo deciso di ricordarli.
Portiere: Jan Oblak
Nonostante un’agguerrita concorrenza, Oblak è già oggi IL portiere dell’Atletico. Chiamato nove anni fa a raccogliere la scomoda eredità di un fenomeno come Thibaut Courtis, Oblak ha eguagliato e complessivamente superato l’illustre predecessore, assicurando un’invidiabile continuità di rendimento, la capacità di esaltarsi nelle partite pesanti e di contribuire in maniera decisiva al raggiungimento di una finale di Champions e alla conquista della seconda Liga dell’era Simeone. Plastico, esplosivo, intelligente, Oblak è portiere senza punti deboli. Courtois merita naturalmente a sua volta una menzione: matura nella parte “povera” di Madrid e nel 2014 diventa uno dei portieri più grandi in circolazione, secondo probabilmente al solo Neuer. Chi scrive ha negli occhi gli interventi spettacolari, plastici e decisivi con cui elimina il Barcellona ai quarti di Champions nel 2014. Saracinesca e simbolo dell’Atletì tra anni ’80 e ’90, il “piccolo” Abel Resino è stato probabilmente un filo meno dotato dei due grandissimi sopracitati, ma resta un campione: i suoi record di imbattibilità resistono ancora (1.275 minuti senza subire gol) e il trofeo Zamora assegnatoli nel 1991 ne conferma la levatura di campione.
Laterale difensivo destro: Juanfran
Forse l’Atletico ha schierato anche laterali destri più forti, ma riteniamo comunque di scegliere Juanfran. Al top comunque lo spagnolo è un signor terzino. Bravissimo in fase offensiva grazie ad un’ottima tecnica di base e a un dribbling secco e incisivo, sulla fascia destra ha avuto un rendimento altissimo per diversi anni, ed è stato anche un assistman eccellente.
Il mio secondo nome è Feliciano Rivilla che con Juanfran condivide diverse caratteristiche: anche lui è più portato ad attaccare, aveva ottima velocità di base e dribbling. Rispetto a Juanfran è un terzino meno tignoso e giocava più in punta di piedi, ma parliamo comunque di uno dei migliori terzini spagnoli degli anni ’60. Altro nome importante è quello Tomás Reñones – che per oltre dieci anni è stato una pedina insostituibile dell’Atletico.
Centrale difensivo: Diego Godin
El Faraón è la nostra primissima scelta nel ruolo di difensore centrale. Giocatore di assoluto carisma è stato il baluardo difensivo dell’Atletico di Simeone per quasi un decennio e le sue caratteristiche incarnano appieno lo spirito sapientemente infuso dal Cholo: Godìn infatti è un centrale fisicamente potente, coraggioso, duro, eccezionale nel giuoco aereo e nel tackle; in campo è un punto di riferimento costante per i compagni che in lui trovano un guerriero sempre pronto alla battaglia.
AL secondo posto scelgo l’ottimo Jorge Griffa, il leone della Pampa, straordinario centrale argentino attivo negli anni ’60 che all’epoca godeva di grandissima considerazione.
Altri nomi: un altro uruguagio, José Giménez, e lo spagnolo Santi Denia.
Difensore centrale: Luìs Pereira
Probabilmente ci sono stati centrali più adatti, ma ammettiamo di avere un debole per il centrale brasiliano. Luìs Pereira è considerato uno dei migliori centrali difensivi brasiliani di sempre: è reattivo, potente, quasi insuperabile se in giornata e – soprattutto – ha eccellente tecnica e intelligenza calcistica. I suoi anni migliori li disputa proprio nell’Atletico Madrid negli anni ’70, vincendo un meritato scudetto e una coppa nazionale
Menzione anche per il colombiano Luis Amaranto Perea, centrale rapidissimo e insuperabile nel gioco aereo, punto fermo dell’Atletico Madrid europeo di qualche anno fa.
Per finire cito Juan Carlos Arteche, potente centrale spagnolo – di scuola Santander – che in 11 anni a Madrid ha collezionato quasi 400 presenze
Terzino sinistro: Isacio Calleja
Vera e propria leggenda dell’Atletico Madrid, Isacio Calleja è stato un giocatore che ha trascorso quasi tutta la sua carriera nell’Atletico Madrid.
Calleja fu titolare dell’Atletico a partire dal 1959 e nel corso del decennio successivo fu una pedina insostituibile del club e lo aiutò a vincere due volte la Copa del Rey (all’epoca chiamato Copa del Generalísimo), dal 1959 al 1961. Le sue prestazioni gli valsero un posto nella squadra spagnola per gli Europei del 1964 e finì per aiutarla a vincere il trofeo in patria. Calleja è stato un mancino purissimo spesso spostato a destra per motivi tattici.
Piccolino, agile ma potente, era un terzino completissimo (iniziò come mezzala), bravo a difendere, buono tecnicamente ed elegante. Restò nell’Atletico Madrid per tutta la sua carriera, per ben 14 stagioni.
Altri nomi che rieniamo doveroso menzionare sono quelli dei valii Filipe Luís e José Luis Capón.
Centromediano: Adelardo Rodrìguez
Premettiamo che con i centrocampisti le indicazioni sul ruolo vanno prese con le pinze, in quanto quasi tutti i giocatori che citerò hanno giocato in posizioni diverse e solo l’esigenza di costruire un reparto dotato di senso ci obbliga a incasellarli.
Ancora oggi secondo recordman della storia colchonera, in termini di presenze, Adelardo è stato uno dei cardini del grande Atletico ammirato tra anni ’60 e’70, la squadra che conquista tre volte la Liga, una volta la Coppa delle Coppe e la Coppa Intercontinentale, e che perde per un gol del tutto inatteso di Schwarzenbeck la Coppa dei Campioni contro il Bayern Monaco. Mediano tuttofare di grandi intelligenza e prestanza atletica nonostante le misure normali, Adelardo è stato un campione che merita i galloni del titolare. La sua riserva deve essere a nostro parere Gabriel Fernández Arenas, meglio noto come Gabi, centromediano grintoso e dotato di buone qualità tecniche, perno difensivo del centrocampo di Simeone e capitano della squadra che vince la Liga nel 2014.
Mezzala destra: Koke
Credo che nessuno abbia nulla da obiettare: Koke è quasi l’incarnazione del cholismo, un box-to-box polivalente che veste la maglia dell’Atletì dal 2009, il recordman di presenze con la maglia del club (572) e una colonna della squadra che vince due volte il campionato spagnolo e fa incetta di trofei/finali in Europa. Al suo fianco, come mediano/mezzala credo meriti il posto Diego Pablo Simeone, che anche in campo incarnava lo spirito del club, e che pur avendo giocato solo tre stagioni a Madrid è un tassello importante della storia della squadra, anche perché ha contribuito in maniera decisiva a vincere una Liga e una Coppa di Spagna. Al loro fianco, collochiamo Alberto Fernández, faticatore della squadra capitanata da Aragonés a inizio anni ’70 e bandiera dell’Atletico per un decennio.
Mezzala sinistra: Luis Aragonés
Luis Aragonés è stato non solo un grande tecnico, ma probabilmente il giocatore di maggior talento e impatto della storia dei Colchoneros. Mezzala, trequartista o all’occorrenza anche seconda punta (le formazioni del tempo lo collocano in posizioni diverse), Luis è stato un formidabile costruttore di gioco e uomo gol, tanto da detenere ancora oggi il record di reti in maglia biancorossa. Protagonista ed eccellenza tecnica della squadra che vince e convince a inizio anni ’70, Luis è a nostro parere anche uno dei massimi talenti della storia del calcio spagnolo. Javier Irureta, centrocampista o attaccante aggiunto di chiare origini basche, altro “universale”, è un altro nome cruciale, uno dei giocatori di maggior talento sempre della squadra ammirata tra ’60 e ’70 e un notevole uomo gol (48 le sue reti in 208 partite). Nonostante abbia giocato a Madrid per poche stagioni, il turco Arda Turan deve a nostro avviso essere inserito perché è stato uno degli artefici del miracolo di Simeone nonché, per pochi anni, un centrocampista versatile, tecnico e grintoso, di statura internazionale; considerazioni analoghe valgono per il lungo José Luis Caminero, mezzala di qualità e dotata di notevole forza fisica, forse l’uomo più importante per il successo del 1996, quando viene insignito del premio di giocatore spagnolo dell’anno.
Attaccante destro: José Eulogio Gárate
Il reparto offensivo dell’Atletico ci ha dato un sacco di grattacapi perché conta parecchi grandi campioni. Proprio il notevole numero di contendenti ci ha suggerito di valorizzare la durata della militanza con la maglia del club, e per tale motivo José Eulogio Gárate può figurare come attaccante di movimento della formazione che stiamo allestendo, in quanto ha vestito per undici stagioni (tra le più gloriose) la maglia biancorossa, ha vinto in tre occasioni il trofeo Pichichi (nel primo caso, giocando solo venti partite a causa di un infortunio) ed è stato il bomber designato della squadra di Aragonés che vince quasi tutto tra Spagna e resto del mondo. Seconda punta/centravanti/ attaccante universale probabilmente di statura tecnica maggiore rispetto a Gárate, ma personaggio giramondo, meno legato all’Atletico, Diego Forlán è stato un giocatore straordinario, uno degli attaccanti più completi e polivalenti del mondo a cavallo tra anni zero e anni dieci, e ha marcato a fuoco la storia del club segnando a raffica e vincendo da assoluto protagonista la Coppa UEFA del 2010.
Centravanti: Antoine Griezmann
Quando si parla di centravanti, si entra in un territorio minato perché la scelta potrebbe legittimamente ricadere su diversi giocatori. Abbiamo deciso di premiare il Piccolo Diavolo dell’Alsazia perché il suo contributo all’epoca d’oro del Cholo è stato imprescindibile, e Antoine, tra 2015 e 2018, è stato anche un giocatore che poteva rientrare in un discorso serio sul centravanti più decisivo del mondo e forse anche sul pallone d’oro (almeno nel 2016, quando disputa una stagione straordinaria su tutti i fronti). Dopo due infelici stagioni a Barcellona, Griezmann nel 2021 torna a Madrid e da allora sta giocando quasi più da mezzala di raccordo, ma abbiamo preferito inserirlo in questa formazione come centravanti, per quanto atipico e “piccolo”, perché a nostro parere l’apogeo della sua carriera coincide con la prima parentesi biancorossa. Meriterebbe il posto da titolare quanto lui il Bambino Meraviglioso Fernando Torres, che a Madrid ha regalato preziosismi e colpi vanbasteniani (mi si perdoni l’iperbole) quando era un ragazzino, diventando giocatore di livello mondiale, prima di trasferirsi a Liverpool. Il finale di carriera, in cui tra alti e bassi mette a segno comunque diversi gol importanti, lo rende un nome imprescindibile di questa formazione, almeno in panchina. Altro nome papabile, che escludo perché ha militato più a lungo in Inghilterra, è quello di Sergio Agüero, il Romario della sua generazione (anche qui, con un po’ di esagerazione), un centravanti poco fisico ma molto veloce, intelligente e bravissimo nel gioco di prima, che a Madrid sboccia, inizia a segnare a raffica e nel 2008 si afferma come straniero più bravo della Liga (sì, anche se ci gioca un certo Messi). Stante la sua lunga militanza a Madrid e visto il suo contributo essenziale per la Liga (e la finale di Champions) del 2014, trovo giusto menzionare anche il “cattivo” Diego Costa, e aggiungo una postilla su due calciatori arrivati dal Nuovo Mondo: il campionissimo colombiano Radamel Falcao, che sul piano strettamente tecnico potrebbe benissimo essere il titolare di questa squadra ma che metto in panchina perché gioca a Madrid solo per due anni, e il mefistofelico messicano Hugo Sánchez, che associamo alla Madrid Blanca ma che con la maglia biancorossa gioca quattro campionati, si dimostra uomo gol immarcabile e dotato di una velocità di esecuzione senza pari e vince il primo dei suoi numerosi trofei Pichichi.
Attaccante sinistro: Paulo Futre
Il fuoriclasse di Montijo è un pezzo di storia non solo del Porto, ma anche dell’Atletico. Le sue sei stagioni a Madrid sono quasi tutte meravigliose: Futre ricorda un po’ Roberto Baggio (anche se parte più defilato, quasi da ala), alcuni scomodano addirittura il paragone con Maradona, e lui delizia il pubblico a suon di veroniche, colpi di genio, giocate determinanti e gol che pesano tonnellate. I tifosi lo adorano anche per la sua grinta e il gol con cui regala loro una Coppa del Re, superando in finale gli acerrimi rivali concittadini. Futre ha confessato che non scambierebbe quella coppa (cui se ne aggingerà un’altra) con cinque campionati, e ha celebrato il suo gol con queste parole: “Quando ho segnato il gol del 2-0 mi stavano per uscire le vene dal collo. Se esiste l’estasi, nella vita, l’ho raggiunta lì: sono entrato in un’altra dimensione“. Accanto al portoghese, inserisco il grande Joaquín Peiró, che prima di traslocare a Milano gioca sette stagioni con i Colchoneros, impiegato più che altro come ala sinistra, e che rimane, con 99 reti in 163 partite, uno degli uomini simbolo della grande squadra ammirata a fine anni ’50 e inizio ’60.
Articolo a cura di FRANCESCO BUFFOLI e TIZIANO CANALE