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Sulle tracce del Pistolero: 10 bossoli di Luis Suárez

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Chi scrive ricorda perfettamente la prima volta in cui si è imbattuto in Luis Alberto Suarez Diaz. Era una serata di febbraio del 2010, una Juventus persa e confusa – l’allenatore Ferrara era da poco stato silurato dalla dirigenza dopo una crisi di risultati incominciata con la dolorosa eliminazione ai gironi di Champions per mano di Bordeaux e Bayern Monaco – si accingeva ad affrontare i Lancieri nel tempio di Amsterdam per i sedicesimi di finale di Europa League. I bianconeri, quella sera in maglia argentata, vinsero 2-1 con la doppietta di Amauri, ma lo scrivente rimase colpito dalla velocità dell’attaccante uruguagio: veloce e rapido, tecnicamente valido, in grado di giocare al meglio in tutte le posizioni del fronte d’attacco. Intendiamoci, non fece la partita della vita – di queste ne parleremo tra poco – eppure lasciò intravedere qualità di primo piano e non fu quindi una sorpresa per il sottoscritto vederlo volteggiare a grandi altezze durante i Mondiali in Sudafrica e la Copa America dell’anno successivo.

Di Suarez emerge in primis la completezza: destro chirurgico e pietrificante, rapidità di esecuzione di memoria quasi romariana, fisico robusto malgrado un’altezza nella norma (182 cm secondo gli almanacchi), Suarez coniugava doti da uomo-gol “europeo” a qualità tipicamente “sudamericane”: la leggerezza del dribbling, la qualità del fraseggio e del gioco di prima e persino quella garra uruguagia che lo ha portato ad alternare gare da leader a scivoloni imbarazzanti da “loco” con la vena chiusa (dagli insulti razzisti ad Evra, al morso in diretta tv a Chiellini). Il tridente con Messi e Neymar ai tempi del Barcellona – noto come MSN – è stato un’arma di distruzione di massa, perfettamente assemblata, che ha spesso dato l’idea di essere inarginabile sia per l’immenso tasso tecnico e di fantasia, sia per la cattiveria sottoporta dei suoi componenti.

Sembra addirittura strano che quei tre – che giocavano in una squadra più verticale e quadrata rispetto al gioco ricercato e posizionale del Barcellona di Guardiola – abbiano vinto “solo” una Champions League nel 2015 (maciullando Manchester City, PSG, Bayern Monaco e Juventus). E se Suarez è stato eccellente come membro di un trio atomico, altrettanto travolgente è stata la sua esperienza da “solista” a Liverpool, dove è stato letteralmente un uomo-squadra, non tanto dal punto di vista della costruzione del gioco, quanto più per la capacità di caricarsi la squadra sulle spalle. Suarez in quel momento ERA il Liverpool. Se Robert Lewandowski era più rotondo come giocatore, e Karim Benzema è stato il più rock, duttile e travolgente, Suarez è stato il più artistico e capace di unire l’Utile al Bello, per usare le stesse parole del nostro articolo su Marco Van Basten. Per celebrarlo, abbiamo dunque scelto una decina di partite marchiate a fuoco dal suo inconfondibile stile.

Uruguay – Corea del Sud 2-1, 2010

Suarez festeggia con Cavani

Come scritto sopra, Suarez approda al Mondiale del 2010 circondato da non poca curiosità da parte degli addetti ai lavori. Nella stagione che lo porta in Sudafrica del resto, il ventitreenne centravanti dell’Ajax mette a segno 49 gol complessivi tra tutte le competizioni, e si presenta fin da subito come uno dei giocatori potenzialmente più interessanti dell’intero torneo. Nell’Uruguay allenato da Tabarez, squadra solita come il granito ma non certo priva di estro, Suarez è il terminale dell’intera manovra, pur interpretando il ruolo in maniera estremamente mobile e dinamica; a dargli manforte un Edinson Cavani che deve ancora trovare il proprio istinto predatorio (tant’è che agisce principalmente sulla fascia), e soprattutto Diego Forlán, libero di ronzare dove meglio crede nel corso dei 90 minuti.

Il tandem della Celeste funziona alla perfezione fin dalla fase a gironi: dopo il pareggio a reti bianche contro la Francia nella gara d’esordio, Forlán abbatte il modesto Sudafrica padrone di casa con una doppietta, mentre Suarez sbroglia la pratica-Messico, regalando all’Uruguay il primato nel proprio gruppo. Agli ottavi di finale un’agguerrita Corea del Sud si rivela un avversario più ostico del previsto per i sudamericani, che sbloccano il match grazie al solito duo: Forlán rifinisce da sinistra, Suarez sbuca sul palo opposto facendosi trovare pronto sotto rete. Il pareggio della Corea a metà secondo tempo tuttavia, desta non poche preoccupazioni tra i charrúa, che non avevano ancora incassato nemmeno un gol nelle gare precedenti. A riportare la gara sui binari giusti ci pensa nuovamente Suarez, a 10 minuti dai supplementari, che sotto il diluvio di Port Elizabeth si inventa un destro a giro rabbioso ed imparabile, raccogliendo un pallone vagante su calcio d’angolo. La Celeste torna tra le prime 8 squadre del mondo a 40 anni di distanza dall’ultima volta, interrompendo la propria corsa soltanto in semifinale.

Liverpool – Manchester United 3-1, 2011

Le sessioni di mercato invernali solitamente non sono avvezze a grandi colpi di scena, ed è un contesto dove prevale un certo immobilismo, seppur con le dovute eccezioni. Nel gennaio del 2011 infatti, un Liverpool orfano degli 81 gol in maglia Reds di Fernando Torres, dirotta i 60 milioni incassati dalla sua cessione su due attaccanti dalle caratteristiche totalmente opposte: il pennellone inglese Andy Carroll, e l’ormai arcinoto Luis Suarez, da tempo promesso sposo della Premier League. Il Liverpool non naviga però in buone acque, e il girone d’andata sotto la guida di Roy Hodgson è stato un completo disastro; a sostituirlo una leggenda vivente del calibro di Kenny Dalglish, che ad Anfield nobilitò a lungo lo stesso numero di maglia scelto da Suarez, il 7.

La stampa inglese, troppo intenta a celebrare il proprio connazionale Carroll, si accorge per la prima volta di cosa sia capace l’altro neoacquisto dei Reds in occasione di un blockbuster per eccellenza del calcio britannico: il Liverpool ospita infatti il Manchester United capolista, che veleggia verso il 4° titolo in 5 anni. Nonostante il pronostico penda dunque nettamente dalla parte degli uomini di Ferguson, il North-West Derby del 6 marzo 2011 trova in Dirk Kuyt un eroe inaspettato; con una tripletta, l’olandese stende lo United, e si prende di diritto le prime pagine dei quotidiani sportivi.

Il vero MVP di giornata tuttavia è indubbiamente Suarez, che oltre a eseguire giocate sopraffine a ripetizione mette il proprio zampino in 2 gol su 3; la terza rete di Kuyt nasce infatti da una punizione maligna dell’uruguagio, che Van Der Sar respinge sui piedi del proprio connazionale. A rendere memorabile quel pomeriggio tuttavia è il primo gol, che restituisce alla perfezione l’idea di cosa fosse Suarez nel 2011: un attaccante così elettrico da sembrare tarantolato, capace di ricevere sul lato corto dell’area di rigore, girarsi saltando Rafael con un tunnel, evitare gli interventi di Carrick e Brown in un fazzoletto di terreno, e anticipare Van Der Sar con un tocco letale e beffardo, ribadito in rete da Kuyt sulla linea di porta. Fu in quel momento che i tifosi scousers capirono che Torres se n’era andato per far posto a un giocatore ancor più straordinario di lui.

Uruguay – Paraguay 3-0, 2011

Gli highlights della finale di Coppa América 2011

È ormai passato poco più di un anno dalla partita contro la Corea del Sud di cui parlavamo prima, e le gerarchie nell’attacco dell’Uruguay sono decisamente cambiate. La superstar del reparto offensivo della Celeste infatti non è più Forlán, bensì Suarez, che arriva alla Copa America del 2011 in forma smagliante, e pronto a mettere i bastoni tra le ruote all’Argentina, favorita del torneo, oltre che paese ospitante. L’incrocio con la Selección ai quarti di finale, risolto solo ai rigori dall’errore di Tévez, è la partita chiave per il destino dell’Uruguay, che si convince di poter arrivare fino in fondo. A completare l’opera 24 ore dopo ci pensa il Paraguay, che elimina il Brasile (anch’esso dagli 11 metri).

La truppa di Tabarez ha dunque il destino nelle proprie mani, e dopo aver tolto di mezzo il Perù in semifinale grazie alla doppietta di Suarez, si prepara per l’ultimo atto contro il Paraguay. La finalissima è un manifesto del calcio del Pistolero, e di riflesso dell’intero calcio uruguayo; a sbloccare rapidamente l’incontro ci pensa proprio l’attaccante del Liverpool, che si avventa su un pallone rimbalzante in area di rigore, manda a vuoto la chiusura di Verón con un tocco delizioso, e punisce il portiere paraguaiano Villar con un sinistro sporco ma preciso. Per i restanti 80′, Suarez sembra avere il dono dell’ubiquità, dannandosi l’anima in pressing anche dopo il raddoppio di Forlán, e ripulendo alla perfezione quasi tutti i lanci lunghi che è costretto ad addomesticare. Il sigillo finale su un trionfo che mancava da 16 anni è un’azione simbolo del talento messo in campo dall’Uruguay: Cavani avvia il contropiede, Suarez lo rifinisce e Forlán finalizza il tutto.

A fine partita, un giornalista chiede a Suarez come abbia fatto un paese tanto piccolo come l’Uruguay a issarsi in cima al continente per l’ennesima volta; la risposta dell’MVP della competizione è alquanto eloquente, e non serve conoscere a menadito lo spagnolo per capirne il significato: “No tenemos dos huevos, tenemos tres“.

Liverpool – Norwich 5-1, 2013

La sintesi di Liverpool-Norwich

In natura, ogni predatore che si rispetti ha la propria preda preferita, destinata a soccombere di fronte alla dura e incontrovertibile legge del più forte. Ecco, in questo caso la vittima prediletta di Luis Suarez è senza dubbio il Norwich City; lo score personale del uruguagio contro i Canarini fa semplicemente spavento: 12 (DODICI) reti in appena 6 partite. E ancor più del semplice dato numerico, a lasciare di stucco è il fatto che di questa dozzina di gol non ce n’è nemmeno uno lontanamente banale, a tal punto da sembrare una hit parade delle migliori giocate della carriera del Pistolero. Di questi 6 match ce n’è però uno, risalente al dicembre 2013, in cui il numero 7 del Liverpool è sembrato trascendere il concetto stesso di onnipotenza, realizzando un poker indimenticabile, e che merita di essere rivisto in maniera analitica.

Il primo gol è puro Suarez nella sua istintività: l’uruguagio raccoglie una seconda palla spiovuta dal cielo poco oltre il cerchio di centrocampo, si coordina in un nanosecondo, e senza dover neanche addomesticare la sfera scaglia una fiondata di inaudita precisione alle spalle dell’inerme portiere del Norwich, che per tentare di raggiungere il pallone rischia di mettere a dura prova la solidità della propria spina dorsale. Il secondo gol invece è da numero 9 di razza per il modo in cui Suarez prende posizione sul marcatore nel cuore dell’area piccola, sfrutta il rimbalzo del pallone, e lo gira di sinistro al volo sotto la traversa.

La rete della tripletta meriterebbe direttamente un documentario di oltre un’ora, diviso in tre atti: il primo, il controllo di petto sulla sponda del diciannovenne Sterling, per poi portarsi elegantemente il pallone avanti con la coscia. Il secondo, il mezzo sombrero di esterno destro con cui evita il rientro del mediano avversario consentendogli di crearsi lo spazio per il tiro. Il terzo ed ultimo atto, la conclusione di controbalzo ad uscire verso il secondo palo, che solo uno con la sensibilità tecnica degli eletti potrebbe riuscire a immaginare. Per completare l’opera, un calcio di punizione spedito all’incrocio da circa 30 metri, che di fronte ai prodigi precedenti sembra quasi un ritorno alla normalità. Ah già, dicevamo di Sterling? Beh, il quinto gol del Liverpool lo firma lui, servito dal solito puntuale assist d’esterno di Luis Suarez, che chiude come meglio non potrebbe una serata che Anfield non avrebbe mai più dimenticato.

Uruguay – Inghilterra 2-1, 2014

Oltre a un talento calcistico fuori scala, e la provenienza geografica dall’area rioplatense, Diego Armando Maradona e Luis Suarez hanno più cose in comune di quanto sembri. Entrambi ad esempio possono vantare di aver esibito una propria versione della Mano de Dios sul palcoscenico dei Mondiali (il primo per ingannare un portiere, il secondo per sostituirsi platealmente ad esso), e sono accomunati inoltre dallo scarso apprezzamento del pubblico inglese nei loro confronti. L’uruguaiano, del resto, in Inghilterra ci ha giocato per 3 anni e mezzo, un arco di tempo in cui il tifo locale non gli ha mai perdonato certe astuzie così squisitamente latine, come ad esempio una tendenza un po’ fastidiosa al tuffo a regola d’arte, inconcepibile nella cultura calcistica d’oltremanica.

Alla resa dei conti contro l’Inghilterra, che con Italia e Costa Rica fa compagnia all’Uruguay nel girone infernale dei Mondiali 2014, Suarez arriva in condizioni fisiche precarie, reduce da un intervento al ginocchio sinistro e da un rientro con tempistiche da record. Senza il Pistolero però, la Celeste perde metà del proprio potenziale tecnico, e il match d’esordio contro i costaricani, in cui il numero 9 è costretto a rimanere in panchina per 90′, si traduce in una clamorosa sconfitta per 3-1.

Anche gli inglesi tuttavia hanno perso al debutto, e lo scontro diretto ha già il sapore dell’ultima spiaggia per entrambe le squadre; in questo contesto di estrema tensione dunque, Suarez si cala perfettamente nel ruolo di nemico pubblico numero uno di Sua Maestà, calando per due volte la sua personale mannaia sulla porta difesa da Hart. Nel primo caso sfila silenziosamente alle spalle di Jagielka raccogliendo di testa un cross col contagiri del fido Cavani, mentre sul secondo gol è ultra reattivo nello sfruttare un errore aereo di Gerrard, divorare la profondità e premere il grilletto a tu per tu col portiere del Manchester City. L’incontro ravvicinato con la spalla di Chiellini nella partita successiva decreterà la fine del Mondiale di Suarez, e di conseguenza dell’intero Uruguay.

Paris Saint-Germain – Barcellona 1-3, 2015

Se un’istituzione calcistica del calibro del Barcellona è disposta a spendere ben 83 milioni di euro per un calciatore inutilizzabile fino a fine ottobre a causa di una maxi-squalifica, vuol dire che siamo di fronte a un vero e proprio fuoriclasse. Eppure, almeno inizialmente, non tutti sembrano convinti dall’arrivo di Suarez in Catalogna, per molteplici motivi; riuscirà a frenare i suoi ormai arcinoti eccessi comportamentali? Quanto tempo impiegherà a tornare ai propri livelli dopo 4 mesi di inattività? E soprattutto, la torta da spartire sarà abbastanza grande per contenere anche l’appetito di Messi e Neymar?

Ecco, se ai primi due quesiti il Pistolero risponde come meglio non potrebbe (niente più morsi e attacchi di rabbia, e dopo qualche settimana trascorsa a carburare, rieccolo tirato a lucido per la seconda parte di stagione), l’ultima principale perplessità viene spazzata via dalle 122 reti complessive realizzate nella magica annata 2014/15 da parte del trio sudamericano dei blaugrana. Questi ultimi, da gennaio in poi, iniziano a viaggiare su un’onda di entusiasmo e spettacolarità pressoché inarginabile per chiunque, in Spagna e in Europa. Qui, dopo aver nuovamente crivellato il povero Joe Hart con una doppietta nell’ottavo di finale di Champions League contro il Manchester City, Suarez sceglie la serata di gala di Parigi per indossare l’abito più sfavillante della propria stagione.

Nel match d’andata dei quarti, contro un Paris Saint-Germain altezzoso, ma ancora troppo inesperto e pieno di assenze di fronte alla corazzata catalana, Luisito omaggia il monumento più famoso di Francia trasformando per ben due volte le gambe del povero David Luiz nella base della Tour Eiffel, e sigillando l’accesso alle semifinali con una doppietta velenosissima. Nel primo gol è bravo a fiutare la posizione giusta allargandosi a destra, per poi prendere velocità dopo aver saltato in tunnel il centrale brasiliano, e impallinare Sirigu dopo aver dribblato anche Marquinhos evitando al contempo il recupero di Maxwell. La seconda rete, che fissa il risultato sullo 0-3 prima che i parigini accorcino le distanze, è un vademecum dell’umiliazione: Suarez chiude un triangolo elementare con Mascherano, ritrovandosi col solo Luiz a frapporsi tra lui e la porta. Il controllo dell’uruguagio non è dei migliori, e dà all’ex difensore del Chelsea l’illusione di poter arrivare per primo sul pallone; la sfera, tuttavia, si smaterializza ricomparendo di nuovo oltre le gambe di David Luiz, che può solo voltarsi e osservare il proprio carnefice mentre sugella ulteriormente il suo personale trionfo.

River Plate – Barcellona 0-3, 2015

Suarez esulta dopo il gol contro il River Plate nel 2015

Non pago di aver demolito definitivamente l’immagine di David Luiz in mondovisione, la Champions League di Suarez si chiuderà nel modo migliore possibile all’Olympiastadion di Berlino, con il gol del vantaggio decisivo nella finale contro la Juventus. Il puntero del Barcellona tuttavia non è appagato neanche dopo un Triplete, e senza squalifiche a mettergli la museruola, il suo 2015/16 è individualmente ancora più proficuo della stagione precedente. Complice l’infortunio di Messi a fine settembre, per 2 mesi sono Suarez e Neymar a mandare avanti la baracca, goleada dopo goleada, giocata da capogiro dopo giocata da capogiro.

Pur non potendo replicare il Sextete realizzato dal maestro Guardiola nel 2009 (ad agosto infatti il Barça ha perso la Supercoppa di Spagna contro l’Athletic di Bilbao), Luis Enrique ci tiene a chiudere al meglio un’anno solare da tiranni assoluti aggiudicandosi anche il Mondiale per club, il 5° titolo in 7 mesi per una squadra apparentemente imbattibile. Nella semifinale contro i campioni d’Asia del Guangzhou, allenati da Felipão Scolari, Suarez si abbatte come una furia sulla malcapitata retroguardia cinese, realizzando una tripletta nel giro di neanche mezz’ora.

L’ultimo avversario è una squadra di tutto rispetto come il River Plate di Marcelo Gallardo, la cui proposta ambiziosa tuttavia può davvero poco al cospetto di un Barcellona che elimina le proprie vittime col silenziatore. Dopo il vantaggio realizzato da Messi, il Pistolero va a nozze con gli spazi lasciati dalla difesa dei Millonarios, timbrando il cartellino in contropiede su invito di Busquets, e incornando un pallone scodellato in mezzo da Neymar, in un’azione tremendamente simile al primo gol segnato all’Inghilterra al Mondiale 2014. A fine stagione i suoi gol complessivi saranno ben 59, di cui 40 nella Liga, che consentiranno a Suarez di conquistare la seconda Scarpa d’Oro della propria carriera.

Barcellona – Real Madrid 5-1, 2018

La magnitudo di una rivalità come quella del Clásico spagnolo tra Barcellona e Real Madrid non sta soltanto nel tasso tecnico stellare messo in campo dalle due squadre, ma anche nelle rudezze e nelle micro-antipatie tra giocatori che permeano ciclicamente una delle sfide (se non LA sfida) per eccellenza del calcio mondiale. Di certo, fin dal giorno dell’approdo di Suarez in Spagna, in molti si sono sfregati le mani al pensiero di poter assistere al duello con uno dei pochi difensori a non farsi intimidire dai mille trucchi del Pistolero: Sergio Ramos. Quest’ultimo, coadiuvato da Pepe prima e da Varane poi, non si è mai sottratto allo scontro, pur uscendone talvolta con le ossa rotte, come nel Clásico del novembre 2015 al Bernabéu, vinto per 0-4 dal Barcellona con doppietta di Suarez.

Tre anni dopo, la sfida tra titani sembra tuttavia un po’ meno titanica del solito: Messi è acciaccato in panchina, Cristiano Ronaldo se n’è andato alla Juventus, Neymar ha inseguito i petrodollari del PSG, e persino Iniesta non ha disdegnato il pre-pensionamento giapponese. Suarez tuttavia sente l’odore del sangue del nemico agonizzante, che nelle precedenti 6 partite ha totalizzato la miseria di 5 punti, e si prepara al grande show. Quella che scende in campo è dunque una versione imbolsita e sfilacciata del Real Madrid vincitore delle ultime 3 Champions League, e ad approfittarne più di tutti è un incontenibile Jordi Alba; dopo aver servito a Coutinho l’assist per il vantaggio, il terzino catalano sforna un altro cross rasoterra velenosissimo sul primo palo, su cui il Nueve si avventa come un falco, venendo abbattuto da Varane. Dagli 11 metri l’uruguaiano è impeccabile, ed è solo l’antipasto di ciò che accadrà nel secondo tempo.

Dopo il gol di Marcelo a inizio ripresa, le Merengues iniziano a premere con sempre maggior insistenza dalle parti di Ter Stegen per circa 15′, e meriterebbero oggettivamente il pareggio. Suarez tuttavia ha piani ben diversi, e a un quarto d’ora dalla fine ne combina una delle sue: su un traversone scialbo e senza pretese di Sergi Roberto, invece di tentare il controllo di petto (come avrebbe fatto qualunque altro essere umano), il cannoniere del Barça trova l’inspiegabile modo di girare in torsione il pallone oltre la lunga sagoma di Courtois. Il 3-1 è uno schiaffo troppo forte per i madrileni, e lo testimonia la frittata combinata pochi minuti dopo da Ramos, che stende a Suarez un tappeto rosso verso la propria tripletta, sublimata dal più dolce degli scavetti. Dei suoi 11 gol realizzati nei Clásicos, questi 3 sono indubbiamente tra i più memorabili, avendo essi di fatto decretato l’esonero dello scalcagnato tecnico blanco Lopetegui.

Barcellona – Maiorca 5-2, 2019

Il trascorrere degli anni si fa sentire un po’ per tutti, e neanche un totem come Suarez fa eccezione. A 32 anni, forse per la prima volta da quando è approdato in Spagna, il suo valore viene concretamente messo in discussione, seppur per una questione meramente anagrafica. Del Barcellona capace di terrorizzare il mondo intero non è rimasto poi molto, e in molti avanzano l’ipotesi, dolorosa ma inesorabile, che per costruire le basi di un nuovo ciclo i Culés debbano necessariamente liberarsi delle proprie vacas sagradas (vacche sacre, ossia gli intoccabili veterani dello spogliatoio).

I mammasantissima blaugrana tuttavia, sono ancora capaci di offrire eccellenti esibizioni, in primis il Pistolero, che per riconquistare l’amore del Camp Nou sceglie la serata della festa di qualcun altro; la sera del 7 dicembre 2019 infatti, in occasione del match di campionato contro il Maiorca, Leo Messi mostra al proprio pubblico il 6° Pallone d’Oro della sua impareggiabile carriera, mettendo poi a segno una tripletta d’autore. Il gol più bello del match tuttavia non è della Pulga, e merita di essere descritto minuziosamente.

Al 43′ del 1° tempo, il Barcellona, già avanti per 3-1, sta torchiando il Maiorca con una delle sue avvolgenti manovre di accerchiamento; in sala macchine c’è il ventiduenne playmaker olandese Frenkie De Jong, arrivato da pochi mesi al Barça a peso d’oro. Lo sviluppo dell’azione dà quasi l’impressione che il giovane centrocampista si muova seguendo le indicazioni di una mappa, associandosi con tutti i compagni a disposizione come se dovesse completare una missione secondaria di un videogioco.

Dopo aver completato un primo triangolo con il suo nuovo mentore Busquets, De Jong trova uno scambio ancor più interessante con Sergi Roberto, che gli consente di entrare in area; nel momento stesso in cui il pallone raggiunge nuovamente l’ex prodigio dell’Ajax, la mente di Suarez elabora una soluzione all’enigma, tagliando rabbiosamente nel cuore dell’area di rigore. Non premiare quel movimento sarebbe oggettivamente sacrilego, e De Jong lo sa, servendo il compagno girato di spalle al limite dell’area piccola, decentrato verso destra. Quello che succede dopo è vagamente intuibile dal movimento quasi pomposo con cui il Pistolero inarca la gamba destra, preparandosi all’impatto con la sfera: ne viene fuori un colpo di tacco talmente complesso da dare quasi l’impressione che Suarez abbia sgonfiato il pallone, la cui traiettoria, lineare ed illeggibile al tempo stesso, si va a spegnere sul palo opposto senza che il portiere avversario possa opporre resistenza. Una giocata dalla bellezza mozzafiato, che pur non godendo della fama che avrebbe meritato (nella classifica del Puskás Award, che premia i gol più belli della stagione, si classificherà soltanto al 3° posto), racchiude tutta l’anima selvaggia e imprevedibile di Luis Alberto Suarez Diaz.

Atletico Madrid – Osasuna 2-1, 2021

La grinta del Pistolero, decisivo nel 2-1 all’Osasuna

Non tutto è oro quel che luccica: le goleade col Maiorca non possono nascondere l’amara verità, ossia che il Barcellona è una squadra completamente a fine ciclo, e da ristrutturare da capo a piedi. La stagione 2019/20 si chiude infatti senza neanche lo straccio di un trofeo (non capitava dalla coda dell’era Rijkaard, nel 2007/08), e tutta la friabilità dei catalani viene messa a nudo da un Bayern Monaco versione bulldozer, che ai quarti di Champions si impone con un memorabile 8-2. Il club blaugrana, le cui difficoltà finanziarie sono state acuite dalle perdite dovute alla pandemia di COVID-19, è obbligato a potare diversi rami secchi, tra i quali, secondo il nuovo tecnico Ronald Koeman, rientra anche Suarez, reduce dalla propria stagione meno prolifica dal 2012 in poi (“soltanto” 21 gol in totale).

Chi ci pensa due volte prima di ritenere bollito un attaccante del pedigree dell’uruguaiano è Diego Pablo Simeone, che lo porta all’Atletico Madrid, ridandogli centralità nel proprio progetto. Suarez sa bene di non essere fisiologicamente più il one man army che era a Liverpool, e con grande intelligenza si mette al servizio di una squadra che al tempo stesso ha un enorme bisogno del suo radar per la porta; basti pensare che nella stagione precedente il miglior marcatore in campionato era stato Morata con la miseria di 11 gol.

A differenza dell’impatto col Barcellona, inevitabilmente condizionato dalla lunga squalifica, l’ambientamento nell’Atleti è pressoché istantaneo, e le reti di Suarez permettono ai Colchoneros di acquisire un notevole vantaggio sulla concorrenza già al termine del girone d’andata. Nel girone di ritorno tuttavia, il calo fisico degli uomini di Simeone, e il rabbioso ritorno del Real Madrid, rischiano di compromettere l’intera stagione, tant’è che alla penultima giornata le due squadre della capitale sono separate da appena 2 punti.

L’Atletico, impegnato in casa contro l’Osasuna, incappa in una partita stregata, tra miracoli del baluardo Sergio Herrera, e una clamorosa occasione fallita dallo stesso Suarez, infrantasi contro il palo. Quando poi, a 15′ dalla fine, i Rojillos sfruttano l’unica vera occasione avuta nel match, il sipario sembra chiudersi definitivamente sulla truppa del Cholo; il Real Madrid infatti, sta vincendo a Bilbao, e sale in cima alla classifica per la prima volta in stagione, a 105 minuti dal termine del campionato. Quel che succede nel quarto d’ora successivo tuttavia, racchiude tutta la mistica dell’Atletico Madrid dell’era Simeone: dopo il liberatorio pareggio di Renan Lodi, i Colchoneros continuano ad attaccare a testa bassa, finché Carrasco, fattosi spazio sulla fascia destra, trova la lucidità e la precisione di confezionare quello che in Spagna chiamano pase de la muerte, ossia un assist rasoterra che parte dalla linea di fondo e taglia l’area all’indietro mandando a vuoto la difesa, ormai collassata a ridosso della porta. A scartare il pacco non può che essere Suarez, che dopo aver sparato a salve nel primo tempo stavolta non manca il bersaglio, realizzando il più classico dei rigori in movimento, e regalando di fatto all’Atletico Madrid il suo 11°, memorabile, titolo nazionale.

Con il contributo di TOMMASO CIUTI

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