Denis Law: Il Re è morto, lunga vita al Re!
Questa metà gennaio del 2025, colma di facce gelate e potentissimo Grecale, ha segnato la chiusura di un’era inaspettata e dolorosa per gli appassionati del calcio, con la scomparsa di Denis Law, un nome che risuona ancora potentemente nei corridoi delle storie del football britannico e non.
Era, ed è, un mito vivente, un totem che incarna non solo l’essenza del gioco ma anche i sogni di una generazione intera di tifosi. Ma chi era davvero Denis Law, il magico scozzese capace di incantare e far vibrare le corde emotive di milioni di cuori?
Nato a Aberdeen nel 1940, la sua infanzia non fu esente da difficoltà, segnando il primo di molti capitoli che avrebbero costituito una narrazione di resistenza e determinazione. La sua giovinezza si rivelò preda della passione per il calcio, una fiamma che cresceva giorno dopo giorno, alimentando un talento naturale che più tardi avrebbe sconvolto difese e riscritto la storia del Manchester United.
Le sue prime apparizioni nel football professionistico avvennero con l’Huddersfield Town e, successivamente, con il Manchester City, dove si affermò come uno dei giovani più promettenti del panorama calcistico britannico. Dopo una stagione che per quello che era il mercato di un tempo potremmo definire “dissonante” Law approdò a Torino sponda granata. La stagione non fu nel complesso malvagia ma la mancanza di pub e uno stile di vita poco conforme al suo fecero durare l’esperienza dello scozzese in Italia quanto un battito di ciglia. Tuttavia, il destino riservava il suo colpo magistrale alla squadra che avrebbe abbracciato il suo genio: il Manchester United, con cui Denis Law siglò un’intesa profonda, quasi mistica.
Nel 1962, il trasferimento al club di Old Trafford segnò l’inizio di una sinfonia calcistica che incantò il pubblico. Il suo stile di gioco era un perfetto connubio di eleganza e potenza, una danza aggraziata che mascherava la ferocia di un attaccante implacabile. Dotato di una presenza fisica non gargantuesca ma efficace, Law utilizzava una combinazione di velocità e astuzia per disorientare i difensori avversari, mentre i suoi colpi di testa e le sue conclusioni chirurgiche lo consacrarono come uno dei migliori marcatori della sua epoca.
In un palcoscenico di trionfi, Law conquistò due campionati nazionali e, nel 1968, il suo exploit culminò con la conquista della Coppa dei Campioni, un’impresa che lo vide realizzare una delle reti più celebri della sua carriera in finale contro il Benfica. Uno dei goal più amati dai tifosi dei Red Devils, un colpo di testa magistrale che non fu solo un punto sul tabellino, ma un manifesto della sua esistenza calcistica; un’espressione del suo innato desiderio di eccellere, di superare i limiti umani.
Significativa la sua pervicace determinazione: approcciava ogni partita con la mente di un diplomato, programmando movimenti e schemi come un matematico con una passione per i numeri. Ogni goal risultava il culmine di un intricato gioco di strategia e movimento, dove la genialità si fondeva con l’istinto primordiale del goleador. Nonostante un infortunio che segnò profondamente la sua carriera, Law continuò a lottare, a sfidare le avversità, dimostrando che il vero campione non si misura solo con i successi tangibili, ma anche con la resilienza e la capacità di rialzarsi dopo ogni caduta.
Eppure, il destino serbava per lui una trama più intricata, un epilogo degno delle tragedie greche, dove l’eroe si trova costretto a compiere il gesto più impensabile, quello di abbattere le proprie mura di Troia. Sul finire della sua carriera, Law si trasferì al Manchester City, un cambio di sponda che per molti fu come vedere un’aquila posarsi tra le colombe. Tuttavia, fu qui che si manifestò l’apice paradossale della sua leggenda. Durante il derby di Manchester, in una giornata che gli annali calcistici custodiranno come una reliquia, accadde l’inevitabile. Con un colpo di tacco etereo, quasi fosse un pittore che dà l’ultimo tocco al suo capolavoro, Law trafisse la rete del suo vecchio amore, condannando così l’United alla Second Division. Quel gesto, che avrebbe potuto e dovuto sembrare un tradimento, divenne invece il sigillo del suo mito immortale.
La città stessa parve dividersi; l’Old Trafford, con le sue gradinate che ruggivano d’amore e dolore, divenne il teatro di un dramma shakespeariano. E Manchester, con i suoi viali affollati e le luci dei lampioni che riflettevano sulle pozzanghere, sembrava piangere assieme ai suoi tifosi, incapaci di comprendere come colui che li aveva condotti alla gloria potesse essere, al contempo, l’artefice della loro caduta. La sua personalità carismatica e il suo fascino naturale lo conferirono un’aura quasi regale, trasformandolo in un’icona non solo per il Manchester United ma per il calcio stesso. Non a caso il primo soprannome “The King” ad Old Trafford non fu coniato per Cantona bensì proprio per Denis Law. Le sue ultime apparizioni, non solo sul campo ma anche come ambasciatore del gioco, hanno assicurato che il suo nome resti eternamente scolpito nel pantheon calcistico.
Oggi, mentre piangiamo la sua scomparsa, rendiamo omaggio non solo all’uomo, ma al giocatore che abbiamo avuto la fortuna di ammirare. Denis Law, il Re è morto, ma il suo spirito continuerà a vivere nelle memorie, nei racconti e nelle emozioni di chi ha avuto l’onore di seguirlo. Ogni dribbling, ogni rete, ogni battito del suo cuore mentre correva verso la gloria resta impresso in noi, un eterno testamento della sua grandezza. Ha condannato lo United,il suo stesso amore , nel baratro della Seconda Divisione è vero. Ma ,come dichiarò lo stesso Law ad una tv di Manchester qualche anno fa : “Alle volte per imparare a volare devi proprio cadere!”