Originariamente pubblicato in lingua inglese su Reader’s Digest qui
Negli anni successivi allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, alcuni dei principali protagonisti che avevano disputato la Mitropa (competizione dai più considerata una Coppa Campioni d’antan), molti dei quali di origine ebraica, si trovarono intrappolati in un vero e proprio inferno. Ecco a voi tre delle storie riportate in La Coppa Dimenticata.
I fratelli Konrád, la crème de la crème del calcio ungherese
Le Leggi Razziali furono la ragione per la quale Jenő Konrád, l’allenatore che vinse la Mitropa nel 1936 con l’Austria Vienna, lasciò l’Italia: nel 1937 aveva iniziato a lavorare per la Triestina e poi, costretto a fare le valigie, si era trasferito in Francia. Trovò lavoro presso un club oggi defunto, l’Olympique Lillois e, una volta arrivato a Parigi riuscì a ottenere un permesso di soggiorno per la moglie Grete e la figlia Evelyn
Konrád aveva iniziato la sua avventura francese con il piede giusto ma poi, per i soliti motivi legati all’antisemitismo che aveva attecchito in buona parte d’Europa, lui e famiglia dovettero lasciare Lille. Si trasferirono in Portogallo dove l’ungherese, la cui fama di grande allenatore era ben nota, fu ingaggiato dallo Sporting Lisbona, ma solo un paio di mesi dopo i Konrád decisero di lasciare definitivamente l’Europa a favore di un porto davvero sicuro: New York. Qui l’ex giocatore disse addio al mondo del calcio. Fu assunto dalla Singer, un’azienda di macchine da cucito, e in seguito divenne imprenditore nel settore tessile.
“Jenő Konrád ha detto addio al mondo del calcio ed è poi divenuto imprenditore nel settore tessile”
Anche Kálmán, suo fratello, incorse in difficoltà simili: il 30 settembre 1938, quando la Germania aveva invaso i Sudeti, l’ex giocatore si trovava a Brno come allenatore dello Židenice. Peter Brie, un giornalista cecoslovacco trasferitosi in Svezia e con cui Konrád era in contatto, decise di aiutarlo offrendogli un posto come tecnico dell’Örebro.
Jenő Konrád ha detto addio al mondo del calcio ed è poi divenuto imprenditore nel settore tessile
Kálmán riuscì così a salvarsi e la sua famiglia lo raggiunse in Scandinavia dopo un’estenuante procedura burocratica per l’ottenimento dei visti. Ma alcuni dei loro beni, tra cui l’inestimabile collezione di francobolli dell’ex ala destra, non era arrivata a destinazione: sua moglie Gertrud lo scoprì non appena iniziò a disfare le valigie. I nazisti se ne erano sbarazzati. Ad ogni modo la Svezia rappresentò un’ancora di salvezza e un luogo dove l’allenatore poté continuare la sua carriera per altri 17 anni.
Árpád Weisz, un innovatore del pallone
Árpád Weisz e la sua famiglia arrivarono in Olanda passando per la Francia, meta preferita di numerosi calciatori ebrei in fuga dai Paesi limitrofi. In Olanda, l’allenatore firmò un contratto con il Dordrecht, il club in cui Jimmy Hogan, altra figura cardinale del tempo, aveva mosso i primi passi nell’Europa continentale circa 30 anni prima.
Il 2 ottobre 1939 esordì in quello che altro non era se non un campionato amatoriale e condusse il Dordrecht al quinto posto in classifica, un record per il club, prima che l’orco nazista iniziasse ad incombere sui Paesi Bassi. Nonostante alcune vessazioni nei confronti degli ebrei si fossero concretizzate immediatamente, Weisz poté continuare ad allenare per qualche tempo e ancora una volta la squadra si classificò al quinto posto. Ma le nubi politiche cominciarono ad addensarsi e il 29 settembre 1941 l’allenatore dovette andarsene: nella sede di Dordrecht era arrivata una missiva che ordinava ai vertici del club di fare a meno dei servizi dell’allenatore e di non impiegarlo in nessun altro incarico.
Fu l’inizio della fine: i divieti e le restrizioni divennero sempre più severi e il 2 agosto 1942 la famiglia Weisz fu prelevata dalla sua casa di Bethlehemplein 10 per essere deportata ad Auschwitz via Westerbork, un campo di transito a circa 200 km da Dordrecht. Da lì, esattamente due mesi dopo, la moglie Ilona e i figli Roberto e Clara furono inviati direttamente alle camere a gas. Weisz fu inviato al campo di Cosel e poi ad Auschwitz, dove 16 mesi dopo, il 31 gennaio 1944, morì di fame e di freddo.
Erberto Levi: dal calcio alla musica e al cinema
Pochi mesi dopo l’espulsione dall’Albo dei giornalisti di Milano, Erberto Levi, dopo un breve soggiorno a Londra, si rifugiò negli Stati Uniti, precisamente a New York. Giunto nel Nuovo Continente, decise di cambiare non solo vita ma anche identità: assunse il nome di Erberto Landi e disse addio alla cronaca calcistica.
In parte, possiamo ipotizzare, si trattò di una scelta obbligata: il suo inglese non gli avrebbe certo permesso di scrivere per un giornale americano. Ma c’era anche una seconda ragione, ovvero lo scarso interesse che il calcio destava in America. Dopo il boom dei primi anni Venti e Trenta, un’epoca definita l’età d’oro del pallone negli States, il calcio aveva smesso di suscitare interesse.
“Dopo il boom dei primi anni ’20 e ’30, il calcio aveva smesso di suscitare interesse”
Levi decise quindi di intraprendere una nuova strada e, dopo aver lavorato per alcuni anni per la Pettinella Advertising, un’agenzia pubblicitaria che promuoveva i prodotti italiani negli Stati Uniti, si reinventò come conduttore radiofonico. Messo sotto contratto da diverse emittenti italiane con sede a New York, tra le quali WCNW, WBNX, WHOM e WOV, durante gli anni della guerra collaborò anche con il Bureau of War Information fondato da Franklin Delano Roosevelt. La sua attività non passò inosservata, soprattutto nel momento in cui emerse il suo passato di membro del Partito Nazionale Fascista.
Ebbe luogo un’indagine che non portò ad alcuna conseguenza e Levi poté riprendere normalmente le sue funzioni. Iniziò anche a condurre un programma radiofonico con l’amico ed ex collega Giuliano Gerbi, arrivato a New York via Parigi e Bogotà. Poi, a partire dagli anni Cinquanta, Levi si riciclò nuovamente: divenne un imprenditore di successo nel campo della musica e del cinema e importò il Festival di Sanremo a New York nel 1960, facendo conoscere al pubblico americano diversi artisti italiani, tra i quali un giovane Domenico Modugno.
Morì a New York il 10 ottobre 1971 all’età di 63 anni e, pur essendo stata una delle penne sportive più rinomate tra le due guerre, è oggi quasi del tutto dimenticato.