Molti ritengono che di Luigi Riva da Leggiuno, detto Gigi, si sia già detto, scritto e documentato tutto, almeno della sua vita pubblica di calciatore. Di straordinario calciatore. Eppure, credo che non sia esattamente così e, pur limitandoci soltanto alla sua carriera legata al mondo del pallone, ho l’ambizione di pensare che l’argomento e le considerazioni che vi proporrò in queste righe siano ancora, almeno in parte, inediti.
Attacco subito, sorvolando per il momento su cifre e dati veramente impressionanti, con un’apparente contraddizione rispetto all’incipit sottolineando come la scelta personale di non abbandonare la Sardegna, scelta appunto privata forse prima che pubblica, abbia caratterizzato e molto condizionato sia la sua carriera sia la sua fama, contemporanea e anche odierna. Senza alcun dubbio e senza raffronti possibili, io ritengo infatti Gigi Riva, checché se ne dica, forse il calciatore più sottovalutato della storia. Certamente, tra gli inarrivabili, il meno celebrato.
Vi vedo sobbalzare sulla sedia davanti al pc per la presunta enormità di questa affermazione, pensando a quanto Rombo di Tuono (cfr Gioàn Brera fu Carlo) o Giggirriva (cfr popolo sardo, pecore comprese) sia stato e sia ancora ricordato, osannato e perfino citato. Ma, vi prego, mettetevi calmi e leggete fino in fondo, se potete, quanto mi accingo a scrivere. Sono sicuro che molti di voi finiranno, se non per darmi proprio ragione, per avere più di un dubbio al riguardo. Così come sono certo che il rifiuto dell’ala sinistra del Cagliari di trasferirsi in qualche squadrone della penisola quando era nella fase ascendente della carriera, o anche all’apice, abbia creato intorno a questo assoluto genio del calcio, inarrivabile precursore come Vermeer nella pittura o Beethoven nella musica, un’aurea come di sospetto, di distanza, di diffidenza. Questo rifiuto, so di non essere molto originale qui, è stato il limite, ma anche la laica trascendenza di Gigi Riva.
Provate a immaginare, soltanto per un attimo, un Roberto Baggio che non si muova, non dico da Vicenza, ma da Firenze, un Del Piero che rimanga anche lui a Padova, Paolo Rossi a Como, Altobelli che non lasci Brescia. Quale sarebbe stata la loro carriera? E, soprattutto, chi di loro sarebbe riuscito a portare i propri colori irrinunciabili ai vertici, a vincere uno scudetto? A ridicolizzare, o quasi, le squadre che lo avevano cercato, ricoprendolo d’oro ma frugandogli lo spirito? O anche quelle che lo avevano snobbato, trattandolo come un pericoloso ribelle, un rivoluzionario, un fanatico separatista?
Gigi Riva è sempre stato un operaio legato al fare, al desco, alla paga, alla giustizia che rivaluta gli umili, alla lealtà. Certo, i denari incalcolabili che gli offrivano a Torino o a Milano lo ingolosivano, lo facevano vacillare, ma alla fine prevaleva sempre in lui l’attaccamento a quella gente di vento e silenzi che l’aveva adottato e che lui, con quella faccia dura come un nuraghe e quella onda di mare nero che ha sulla testa e che si frange sulla fronte, capiva come fosse uno di loro.
E Riva era uno di loro. C’è una foto incredibile che lo ritrae assieme a Tiddia, il terzino del Cagliari scudettato di Scopigno. Sono in borghese, con il cappotto con i baveri da pastori e il sole gli stringe gli occhi, sono già avanti con gli anni. Gigi è il presidente e l’altro l’allenatore di una squadra rossoblu che non se la passa benissimo. Sfido chiunque, guardando le loro espressioni di pietra arsa e dura a capire chi sia il sardo e chi il lombardo. O meglio, se in quell’immagine che sa di olive e formaggio più che di calcio, di povertà strappata con la fatica e anche la furbizia, con la pazienza lenta del cacciatore per fame, ci sia qualcosa di non isolano o di non orgoglioso di essere lì.
Gigi Riva, esattamente come Fabrizio De André di cui è stato grande e ricambiato estimatore, è approdato in Sardegna controvoglia e per caso. Fu la conseguenza di un capriccio del presidente del Legnano che preferì cedere questa ala sinistra dal tiro in corsa che bucava reti e portieri al Cagliari, che pagava meno, piuttosto che al Bologna. Il motivo di questa stranezza commerciale rimane misteriosa ancor oggi, mentre è apparsa chiara fin da subito la contrarietà del 19enne restio a lasciare la famiglia, povera e pure decimata, e le abitudini del paese. In quel periodo, era il ’63, il Servizio Militare era obbligatorio e quello normale, di terra, durava 18 mesi, mentre la ferma in Marina 24. Partivano ragazzi intorno ai 20 anni tranne quelli con problemi fisici, gli impegnati negli studi o quelli, proprio come Gigi, costretti a lavorare in fabbrica o nei campi per sostentare la famiglia. Si narra che fu proprio una simile considerazione, propostagli da un amico coetaneo, a convincerlo a partire, a imbarcarsi: ‘Magari tra due anni torni’ Sì, magari!
Riva è ancora là, alle soglie degli ottant’anni e il suo accento, a dire il vero quasi da subito, si è trasformato: le doppie dappertutto, tranne che dove ci vogliono. Al di là degli scherzi, mi si permetta di concludere questo abbozzo di ritratto tornando sull’argomento centrale nella storia anomala di un eroe calcistico che ha saputo essere attaccante tra i più forti di sempre, nonostante diversi brutti infortuni che ne hanno accorciato la carriera, ma che è stato anche un esempio straordinario di coerenza e correttezza umana. La domanda con la quale introduco questa riflessione conclusiva è la seguente: come sarebbe stata la sua storia e quella del calcio italiano se Luigi Riva da Leggiuno, detto Gigi, avesse ceduto alle lusinghe degli Agnelli o dei Moratti?
Ricordo, ero bambino o ragazzino, che ogni estate sembrava che il Cagliari di Arrica lo cedesse per una caterva di milioni, ma che poi, ritrosia del giocatore o della società, Rombo di Tuono lasciasse partire il traghetto vuoto e restasse a guardare scia e tramonto con il silenzio cosmico e saggio dei pastori. Il traghetto lo hanno preso il suo gemello, che sembrava proprio siamese, Boninsegna verso la Milano nerazzurra e l’altro gioiello che molti pensavano il vero segreto della potenza d’attacco dei rossoblu, il regista calabrese Rizzo, verso la Firenze viola. Con la rotta inversa, per compendio, è arrivata una flottiglia di giocatori di discreto nome o di anagrafe alta: Albertosi e Rogora dalla Toscana, Bobo Gori e Domenghini dall’Inter.
L’arrivo di un fenomeno di giocatore come il Domingo nazionale o come il portiere capace di contendere a Zoff la difesa della porta azzurra, testimonia di quanto fosse ragguardevole la quotazione dei giocatori prelevati, ma pure di quanto fossero sbagliati i calcoli di questi concorrenti avversari. Riva e il suo Cagliari proletario, e refrattario al galateo della finanza in procinto di diventare ‘da bere’, con quegli arrivi diventano uno squadrone e vincono un Campionato storico e irripetibile, bellissimo perché irripetibile.
E Gigi è sul molo a veder partire le navi e adesso si chiede come si fa a lasciare la Sardegna. L’avesse fatto, avrebbe vinto molto di più, la sua squadra del Continente avrebbe vinto molto di più, coprendo di gloria stellare il suo e il proprio cammino. Lui avrebbe guadagnato molti più soldi e molta più fama e oggi, ne sono convinto, le sue gesta sarebbero nell’empireo mondiale del calcio. E non perché superiori a quelle, già ragguardevoli, che sono effettivamente state, ma solo perché compiute al servizio di una squadra nobile.
Sono convinto che Riva sia il primo a essere consapevole di tutto ciò, ma di essere anche profondamente orgoglioso di essere rimasto se stesso e di non essersi messo in vendita, di aver nascosto benissimo la propria vita privata, di aver preferito il vino rosso e asprigno dei vicini alle bollicine, la verità del cacio alle false lusinghe di certo calcio. E ai tanti suoi detrattori che ancora lo accusano di codardia, di non aver osato per paura del fallimento, ancora oggi risponderebbe con una delle sue staffilate che hanno bucato tutte le porte degli stadi d’Italia, e non solo. Brera aveva ragione: un rombo di tuono.
PS Il 22 gennaio 2024 è un giorno strano, quasi vuoto. Gigi Riva è morto e il mondo è stato squarciato da un rombo di silenzio. Oggi, quel traghetto è salpato.