Ci sono campioni sul campo e campioni nella vita. Predrag Pašić non è mai stato un fuoriclasse del calcio. Al più un ottimo centrocampista di governo e sostanza, con dieci partite (e un gol) nella nazionale yugoslava nella prima metà degli anni ’80 e la partecipazione al Mondiale di Spagna ’82, dove i plavi furono eliminati nel primo turno in un girone con Irlanda del Nord, Spagna e Honduras. Ha trascorso quasi tutta la carriera in patria, nel Sarajevo, salvo poi tentare fortuna nella Bundesliga tedesca, tre stagioni in tutto tra Stoccarda e al Monaco 1860, i “cugini poveri” del grande Bayern.
Predrag Pašić però è diventato un fuoriclasse nella vita. Alla fine della sua carriera calcistica, quando la sua Yugoslavia fu attraversata dai venti di guerra che in questo sito ha già raccontato con alcune storie Diego Mariottini qui e qui. In pochi mesi il Paese balcanico da simbolo della multiculturalità si trasformò nello specchio del terrore. Sarajevo, capitale della Bosnia dove Pasic è nato ed è cresciuto, fu una delle zone più colpite, con le truppe serbe che cinsero d’assedio la città per tre anni, dal 1992 al 1995, causando morte e distruzione.
Ma lui, a differenza di molti concittadini, decise di non abbandonare una Sarajevo in fiamme: «Ero orgoglioso di essere un cittadino di una città così aperta tutti. Solo a Sarajevo si potevano ascoltare le campane delle Chiese Cattoliche, i suoni delle Moschee e vedere gli ebrei andare in Sinagoga».
Pasic non si arrese. E via radio annunciò l’apertura di una scuola calcio per bambini. Per tutti i bambini. Musulmani, cattolici, ortodossi, ebrei. Non c’erano distinzioni di etnia o di età. Chiamò la scuola Fc Bubamara e in poco tempo si trasformò in un punto di incontro straordinario per sfuggire alle angherie, ai soprusi, alle violenze. Divenne un simbolo. La dimostrazione che si poteva ancora credere. Credere che a Sarajevo, la Gerusalemme dei Balcani, dove prima di allora convivevano cristiani, musulami e ebrei, la città-ponte tra Occidente e Oriente, c’erano ancora fede, speranza, umanità.
«All’esterno della palestra» disse Pasic «si sentivano esplosioni, spari, caos, e molti dei genitori dei bambini della scuola combattevano tra di loro. Il tutto, mentre all’interno i loro figli semplicemente giocavano a pallone senza capire tutto quell’insensato odio che aveva portato gli adulti a macellarsi tra di loro. I bambini non capivano perché adesso ci fossero tutte queste differenze. Loro si sentivano uguali, a prescindere dal cognome o dalla religione».
L’Fc Bubamara esiste ancora oggi. Ha saputo resistere alle bombe, alle difficoltà economiche, al passare delle stagioni. E Pasic è ancora in prima linea per difendere il suo progetto: «Ho allenato 15mila bambini in oltre 20 anni di attività. Di questi 40 sono diventati calciatori professionisti. Ma tutti, anche quelli che hanno abbandonato il calcio per intraprendere altre strade, sono diventate persone migliori. Perché hanno capito che il rispetto per il prossimo non dipende dall’etnia o dalla religione di appartenenza».
Il giocatore probabilmente più noto ed emblematico, che partito dall’Fc Bubamara è arrivato addirittura a disputare i Mondiali di calcio con la Bosnia nel 2014, è il difensore Ervin Zukanović, 38 partite in nazionale e una carriera che lo ha visto anche in Italia, con le maglie di Chievo Verona, Sampdoria, Roma, Atalanta, Genoa e SPAL.
Pasic, con il tempo e le sue conoscenze, ha saputo ampliare gli orizzonti, portando i ragazzi della scuola a misurarsi in alcuni prestigiosi tornei internazionali, affrontando le selezioni giovanili di club come Barcellona e Bayern Monaco. Anche se un legame speciale è nato con l’Inter, che ai tempi delle presidenze di Massimo Moratti e Giacinto Facchetti decise di affiliarsi all’Fc Bubamara grazie al progetto Intercampus. «Quando due dirigenti dell’Inter hanno bussato alla mia porta la prima volta» ha raccontato Pasic, «non volevo credere ai miei occhi. Devo ringraziare il club nerazzurro per tutto quello che fa per noi».
Ma l’Fc Bubamara non è diventato famoso solo grazie all’Inter. L’ex nazionale francese Eric Cantona qualche anno fa ha creato il documentario “Les Rebels du Football” in cui raccontava le vicende di alcuni calciatori che si sono ribellati alle ingiustizie per progettare un futuro migliore. Tra questi, c’era anche Predrag Pasic. L’uomo che decise di lottare contro una guerra assurda per dare una speranza ai bambini di Sarajevo.