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Zvonimir Boban, braveheart di Croazia

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È stato per anni il simbolo identitario del calcio nel suo Paese. Per molti versi, l’immagine di un Paese alla ricerca della libertà. Proprio attraverso il calcio. Zvonimir Boban è il calciatore e l’uomo pronti anche a morire, se serve, per affermare il giusto, il sacrosanto. Un Mosè sui generis che, a differenza, entra nella Terra Promessa assieme agli altri. Anzi, contribuisce a formarla. La Jugoslavia ha avuto senso fino a un certo momento storico, i croati  si sentono jugoslavi da mai. Ora poi, è diventata un’astrazione priva di senso. Un uomo e le sue ossessioni: Zvonimir lo sceriffo, Zvonimir il profeta del vero, Zvonimir il rappresentante ideale di pensieri e parole di quattro milioni e mezzo di connazionali. Può esprimersi attraverso il calcio perché nella vita fa il calciatore. Ma il calcio non è solo calcio e lui è il primo a rendersene conto.

13 maggio 1990: Boban colpisce un poliziotto durante Stella Rossa-Dinamo Zagabria

L’atto fondativo di un Paese

Quella domenica, quel 13 maggio 1990 pochi possono immaginare cosa stia per succedere. Da qualche tempo spira in Jugoslavia un vento di rivolta che per il momento è ancora un refolo. E tale dovrebbe rimanere, in teoria. Sì, perché ventidue persone che scendono su un campo di calcio dovrebbero pensare più che altro alla partita. Il resto dopo, casomai. Ma quella che si sta per disputare non è una partita qualsiasi. Stella Rossa-Dinamo Zagabria è qualcosa che va oltre la rivalità sportiva, molto più in là di due etnie che si confrontano su un campo di calcio (e già non sarebbe poco). Quando ogni anno le due squadre si incrociano sono due mondi opposti che entrano in rotta di collisione. Due popoli, due lingue, due religioni, due storie ben distinte, chi detiene il potere e chi vorrebbe ottenerlo in maniera autonoma e indipendente.

Il calcio riflette due condizioni spirituali prima che identitarie. Della federazione jugoslava la parte serba si sente il cuore, quella croata si sente illegittimamente vessata. Da sempre, e anche nel calcio i rapporti di forza si riflettono in pieno. Ma dopo la caduta del Muro di Berlino anche chi incarna il potere centrale non si rispecchia più nel passato prossimo. Così com’è, la Jugoslavia ha i giorni contati, anche Belgrado vuole la libertà. La SUA libertà, che non è necessariamente la libertà degli altri. Da qualche tempo dagli spalti degli stadi e in strada si alza un urlo:

“Serbia, non Jugoslavia e solo l’unità salverà i serbi”

Lo gridano i tifosi, è scritto in curva, lo dice la gente comune. Dopo anni di convivenza politica e istituzionale, tutto sta crollando. È in atto un’accelerazione vorticosa, il calcio non ne è immune e il giovane Zvonimir Boban ne fa parte. Il 13 maggio 1990 il numero 10 ha 22 anni non ancora compiuti. È nato in Dalmazia a Imotzki, al confine con l’Erzegovina l’8 ottobre 1968 ed è croato fino al midollo. Giocatore di classe e carattere, il più giovane capitano di sempre della Dinamo Zagabria. L’autorevolezza viene riconosciuta anche fuori dallo spogliatoio, è il punto di riferimento di un’intera tifoseria. Da una settimana la Croazia ha delineato la propria guida politica, ha vinto le prime libere elezioni l’HDZ, controversa formazione nazionalista guidata dal leader Franjo Tudjman. I primi obiettivi sono secessione e indipendenza, il resto verrà. Il presidente jugoslavo Tito è morto da dieci anni, non risorgerà proprio adesso.

Franjo Tudiman

«Per il mio Paese sono pronto a morire»

Nella seconda metà degli anni ’80 Zvonimir Boban detto Zorro è considerato uno talenti più cristallini di un panorama molto ricco di campioni “in prospettiva”. Nasce jugoslavo, cresce croato, tale si sente. È alto, indubbiamente gradevole d’aspetto, elegantissimo palla al piede, forte sul piano fisico e grintoso. Difende, costruisce, rifinisce, segna. Insomma, giocatore completo. Nella post adolescenza non si manifesta come un contestatore della Federazione ma ha le idee molto chiare e un giorno le esprimerà con altrettanta chiarezza.

«Per la Jugoslavia in campo ho sempre dato il massimo ma per la Croazia potrei morire»

Zvonimir Boban

Non è un modo di dire, non è una posa da guerriero cartonato. I tifosi lo amano perché è forte ma soprattutto perché è autentico. I suoi valori posso anche essere discutibili ma integri, assoluti. Sinceri e intangibili. È stato un calciatore della Nazionale jugoslava ma adesso è un uomo schierato a favore della Croazia sovrana. Franjo Tudjman è il leader politico, lui è il termometro degli umori dell’uomo comune, pur non essendo lui un uomo comune. Lui si sente uno del popolo, il popolo vede in lui la parte idealmente migliore. Al di là di quelli che sono i sentimenti più intensi e non sempre riposti, non risponde affatto allo stereotipo dello slavo genialoide ma incostante, sbruffone ma poco costruttivo. Parla con il contagocce ma ogni volta si esprime a ragion veduta.

Ha sempre una visione di prospettiva rispetto alle cose che lo porta a essere un giocatore e un uomo “avanti”. Si dice che viva da croato e pensi da tedesco. Mix interessante, profilo del classico “brutto cliente”, in campo e fuori. È sanguigno di temperamento ma riesce a rimanere freddo e lucido quasi sempre. Lo chiamano Zorro, forse perché ha un’aria da giustiziere che un po’ inquieta e un po’ rassicura.  Ma torniamo a quel 13 maggio 1990. Il tifo organizzato della Stella Rossa – i Delije (eroi) – è arrivato a Zagabria, non solo per seguire la sua squadra.

Željko Ražnatović detto Arkan, il loro capo, ha pianificato un attacco in piena regola allo stadio e ai tifosi avversari. Ražnatović risponde a ordini politici. Da tempo il presidente serbo Slobodan Milošević vuole disfarsi della Jugoslavia, ma non come intenderebbero i croati. Nessuno fuggirà davvero dalla Federazione, sarà una Grande Serbia egemone nei Balcani a dominare la scena, pensa Milošević. Poiché il cambiamento non sarà indolore, servono uno o più atti simbolici a testimonianza di una nuova realtà in divenire. Nulla comunica meglio dello sport, il calcio poi…

Slobodan Milosevic

«Dove cazzo sta la polizia???»

Poi comincia la guerra al Maksimir. L’impianto fa parte di un parco cittadino di stile asburgico, nelle vicinanze c’è anche uno zoo ma gli animali veri stanno sugli spalti. I Bad Blue Boys della Dinamo non sono teneri ma c’è chi va ad affrontarli a casa loro. Al grido di «Uccideremo Tudjman» i Delije lanciano in campo i sedili divelti, la partita è iniziata da poco e i primi scontri si erano verificati già fuori dallo stadio. I padroni di casa rispondono con il lancio di pietre, poi le due fazioni si riversano in campo. Ovviamente, Dinamo-Stella Rossa non può proseguire, i giocatori in campo restano coinvolti nei tafferugli. Le violenze sono reciproche ma la Polizia sembra interessarsi solo ai supporter zagabresi. Al vedere l’accanimento delle forze dell’ordine contro una sola parte, Boban perde la testa. Un senso di giustizia gli impedisce di rientrare negli spogliatoi e di mettersi in salvo. Deve intervenire, ci sono momenti in cui la neutralità è dei vili. Prende il primo agente di Polizia che sta manganellando tifosi croati e gli sferra un calcione, mentre le riprese televisive fanno il loro dovere.

«Dove cazzo sta la polizia?» urla Zorro mentre i suoi lo portano via in fretta.

Non è vero che la guerriglia del Maksimir sia il casus belli che dà vita alla guerra dei Balcani negli anni ’90, è semmai testimonianza di una situazione irreversibile ma che ancora si potrebbe risolvere senza gli eserciti. Non sarà così.

«Gesù dice di porgere l’altra guancia se qualcuno ti colpisce, ma non ha detto cosa fare se qualcuno ti colpisce su entrambe le guance» dirà il capitano della Dinamo per nulla pentito.

Le conseguenza sono immediate: sospensione di sei mesi e addio Mondiali di Italia ’90. Se si scusasse non sarebbe vero che per la Croazia è pronto anche a morire. Poche parole chiare, i fatti concreti e un intero popolo si stringe intorno ai riferimenti valoriali del campione. È la coesione sociale, giusta o sbagliata che sia, a creare le basi di uno Stato che sta nascendo e che negli anni crescerà. Non sempre in maniera irreprensibilmente democratica, ma crescerà.

Jarni, Suker e Boban al Mondiale di Francia ’98

Zorro forever

La Croazia ha raggiunto l’indipendenza, pur pagando un tributo di sangue non indifferente. La guerra etnica è stata durissima. La bandiera è rappresentata da cinque scudi che insieme compongono una corona e la šahovnica, una scacchiera a quadratini bianchi e rossi. La Jugoslavia è stata definitamente cancellata e con essa la sua Nazionale, ora la Croazia (come le altre ex repubbliche socialiste) gioca per sé. E Dio per tutti. Boban è il capitano della rappresentativa che agli Europei inglesi 1996 si ferma ai quarti di finale. Ma è anche il capitano della Nazionale che due anni dopo arriverà terza ai Mondiali di Francia. Per la Croazia di Franjo Tudjman l’impresa vale più di una guerra vinta. Come la Germania (Ovest) si era rifondata intorno alla vittoria nel Mondiale 1954, così farà la squadra di Zvonimir Boban 44 anni più tardi. Ci sono terzi posti che valgono più di una Coppa d’oro, perché è intorno a imprese del genere che si forma un’epica di popolo. Talvolta anche esagerata, spesso carica di retorica, ma non nel caso di chi ha difeso il proprio Paese mettendo a rischio innanzitutto la propria incolumità. Con tanto di prova tv.

Dopo una lunga carriera in Italia, talmente conosciuta che non è il caso di ripercorrerla, Zvonimir Boban ha smesso i panni del calciatore per indossare quelli dell’abile imprenditore di sé stesso. Quando si dice pensare da tedesco, eh. A Zagabria apre il Boban’s, ristorante alla moda in centro città, poi diventa opinionista per la carta stampata e la televisione. Sempre educato, professionale al massimo. Una garanzia di serietà e affidabilità. Conciliante? Molto poco, non è uno che dà diplomaticamente ragione a chi non ritiene ce l’abbia. E nemmeno a dire che “forse non si è spiegato bene”. No, sei proprio tu interlocutore ad aver capito male. Il segno di Zorro.

Boban oggi

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