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I figli del vento – la top 11 all time della storia dell’Atalanta

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I rapporti tra cugini non sono sempre idilliaci, tanto più se i cugini si assomigliano molto nei pregi e nei difetti. Se poi la storia ci mette lo zampino, come è accaduto a Brescia e a Bergamo, ecco che nei secoli si cementa una rivalità accesa e sentitissima su entrambe le sponde del fiume Oglio.

La rivalità tra le due capitali lombarde dell’industria ha vissuto anche momenti ad altissima tensione sul campo – ad esempio, i derby infuocati dei primi anni 2000 – ma nel complesso è rimasta più che altro, purtroppo, materia letteraria e da bar sport, e lo dico da bresciano, nel cui cuore sanguina ancora una ferita. Le mie origini non mi consentono infatti di negare l’evidenza: l’Atalanta, nella storia del calcio italiano, occupa un posto decisamente più significativo di quello del Brescia (leggi qui per la top 11 delle “Rondinelle Biancoazzurre”), e non sono sufficienti i conigli che un codino vicentino estraeva dal cilindro a rovesciare i rapporti di forza tra le due società.

L’Atalanta ha militato nel massimo campionato italiano per 65 stagioni (il Brescia, per inciso, per 23), ha vinto una Coppa Italia, sfiorato una finale di Coppa delle Coppe che sarebbe stata non miracolosa, ma di più (maledetti, o benedetti a seconda della sponda dell’Oglio dove ci si trova, siano i trucchetti dei difensivisti fiamminghi), si è ripetuta in Europa League e poi, in una sera d’estate di tre anni fa, nel caldo di Lisbona, ha fatto sudare freddo al PSG delle stelle, questo dopo aver surclassato il Valencia. L’Atalanta ha partecipato in undici occasioni alle coppe europee, noi bresciani ci consoliamo con una Mitropa che nella città di Arturo Benedetti Michelangeli è circondata da un alone mitologico, ma nulla può colmare il solco che separa la storia delle Rondinelle da quella dei cugini nerazzurri e non si vede all’orizzonte qualcuno e/o qualcosa che possa invertire la tendenza. La naturale conseguenza del profondo divario tra le due città cugine è l’esistenza, nel carniere della storia bergamasca, di un numero di giocatori di spessore superiore rispetto a quello dei giocatori bresciani; li abbiamo selezionati per voi, e anche in questo caso la rinuncia ai campioni pre anni ’60 è particolarmente dolorosa: diversi assi nordici e (tra gli altri) Severo Cominelli sono infatti giocatori che occupano un posto di primo piano nella storia del club, ma l’impossibilià di vederli ci obbliga a escluderli. Da ultimo, è doveroso ricordare anche che il vivaio dell’Atalanta, da cui è uscito tra gli altri anche Gaetano Scirea, è uno dei più prolifici d’Italia.

Portiere: Pier Lugi Pizzaballa

Bergamasco doc, il piccolo portiere è stato a lungo celebre come figurina, in particolare come numero uno dell’album Panini (leggi qui l’intervista al direttore marketing di Panini Antonio Allegra), ma è stato anche un estremo difensore estremamente dotato: ha vestito la maglia nerazzurra per diverse stagioni, sette delle quali da titolare e distribuite tra anni ’60 e fine anni ’70, e nel 1964 ha anche vestito, per una sola volta, la maglia azzurra. Pizzaballa ha vinto due Coppe Italia da titolare e una di queste l’ha vinta a Bergamo, in quello che resta, sul piano nazionale, il punto più alto della storia bergamasca. Non vedo molta gente in grado di contendergli il posto da titolare: il lungo brianzolo Sportiello, cinque stagioni a Bergamo, merita una menzione anche per le sue doti da sweeper-keeper; giusto ricordare anche un portiere solido e discreto come il veterano Fabrizio Ferron, bandiera dei bergamaschi e valido interprete del ruolo negli anni ’90, nonché Andrea Consigli, altro ottimo estremo difensore, soprattutto negli anni vissuti appunto a Bergamo.

Laterale destro: Giampaolo Bellini

Difensore solido e concreto, Bellini è il primo nome che mi viene naturale associare a quello dell’Atalanta: con oltre 400 presenze e un rendimento costante, il difensore originario di Sarnico è un pezzo di storia del club bergamasco e merita la fascia di capitano, anche se lo schiero in una posizione che non è sempre stata la sua. Andrea Masiello si è disimpegnato sia come centrale che come laterale destro roccioso, solido e fisicamente molto forte: la sua lunga militanza con la maglia dell’Atalanta, protrattasi per quasi un decennio di gloria, mi suggerisce di trovargli un posto in formazione, quantomeno come riserva, e lo stesso discorso vale per il polivalente Damiano Zenoni, giocatore di gamba e dotato di discrete qualità che a Bergamo vive quasi un decennio da tassello importante della squadra.

Difensore centrale: Giovanni Vavassori

Giovanni Vavassori con la maglia dell’Atalanta

Sul piano tecnico, il titolare dovrebbe essere Paolo Montero, che non ha bisogno di presentazioni: stopper uruguaiano classico, cattivo ai limiti del consentito e a volte oltre, dotato di due discreti piedi, nei suoi quattroi anni nella Città dei Mille ha svettato su compagni e avversari ed è andato poi a scrivere la storia a Torino, sponda Juve. Se però guardo alla storia del club, credo sia giusto riservare la maglia dello stopper a Giovanni Vavassori, uomo simbolo del club tra anni ’70 e ’80 e poi discreto allenatore a inizio anni 2000. Ruvido, essenziale, marcatore di scuola italiana classica, ha vestito la maglia nerazzurra in oltre duecento occasioni.

Difensore centrale: Massimo Carrera

Giramondo milanese, Carrera ha vestito per diversi anni la maglia della Juventus, ma si è legato per buona parte della carriera all’Atalanta: titolare inamovibile della squadra per sette stagioni (con oltre duecento presenze), Carrera è stato un solido e classico centrale anni ’90, abile nel gioco aereo e discreto in impostazione. Le alternative di Massimo sono numerose: José Luis Palomino, anche lui centrale classico di scuola argentina, è un pezzo della storia recente dell’Atalanta e una mezione la merita, e a maggior ragione la merita Rafael Tolói, poderoso difensore brasiliano in grado di occupare ogni posizione nel reparto e di farsi valere anche in fase offensiva.

Laterale sinistro: Robin Gosens

L’inesaurubile esterno tedesco, spesso convocato anche in nazionale, è a sua volta uno dei perni della grande Atalanta di Gasperini: tecnicamente valido, dotato di tre polmoni e di ottime doti di contrasto, è a mio avviso il meglio che la storia bergamasca offra sul lato sinistro della difesa. Al suo fianco scalpita Luciano Zauri, altro giocatore polivalente che milita per diverse stagioni a Bergamo, guadagnandosi anche la maglia azzurra tra 2001 e 2002.

Centrocampista centrale: Glenn Strömberg

Non sono pochi i tifosi bergamaschi che mi hanno fatto il nome del lungo svedese, quando gli ho chiesto chi fosse secondo loro il giocatore più bravo della storia dell’Atalanta. Libero o mediano/centrocampista di statura internazionale, Glenn è stato un il pilastro dell’Atalanta degli anni ’80, quella che ha sfiorato la Coppa Italia e poi la finale di Coppa delle Coppe, nonché, a lungo, un titolare della Svezia. Possente, intelligente, fisicamente fortissimo, tecnicamente dotatissimo, Glenn Strömberg è un nome imprescindibile di questa formazione. La sua riserva è Walter Bonacina, combattivo recupera palloni tecnicamente poco dotato, ma infaticabile, e titolare dell’Atalanta per quasi un decennio.

Centrocampista centrale: Mario Pašalić

La scelta del secondo centrocampista è stata difficile, perché ci sono numerosi, validi candidati alla squadra titolare: ho optato per il nazionale croato, che da cinque anni gioca a Bergamo, per la sua completezza nelle sue fasi, le sue ottime doti tecniche e il ruolo chiave nella lunga epopea di Gasperini. Avrei potuto tranquillamente preferirgli un centrocampista completo e duttile come Daniele Fortunato, uno dei giocatori più bravi dell’Atalanta degli anni ’80 che sfiora il colpaccio in Europa, o anche Ruslan Malinovs’kyj, altra mezzala completa, forse più votata all’attacco, che ha lasciato un segno profondo negli anni migliori del Gasp e che oggi gioca a Marsiglia.

Ala destra: Josip Iličić

Sloveno lunatico ed estroso, Josip Iličić merita a mio avviso i galloni del titolare: nelle non rare giornata di grazie, è stato un marcantonio con i piedi e i colpi da dieci slavo, e alcune sue prestazioni sui palcoscenici internazionali, su tutte quella contro il Valencia nel 2020, sono da antologia della storia del calcio italiano e non solo bergamasco. Con 60 reti in 172 partite, tante magie, tante pause, vari colpi di genio sparsi sui campi d’Italia e d’Europa, il giocatore sloveno (che ha giocata ala, trequartista, punta, regista) potrebbe essere il talento più cristallino della storia bergamasca dagli anni ’60 a oggi, o meglio contendersi questa corona con la sua riserva, Roberto Donadoni: quando il Milan se lo accaparra, rovesciando le consolidate gerarchie del calcio italiano, Roberto Donadoni ha 23 anni ed è reduce da cinque stagioni di grande crescita, durante le quali si è affermato forse come il miglior talento emergente del nostro Paese. Intelligentissimo, tecnicamente eccezionale, imprendibile nell’uno contro uno ma in grado di dar manforte anche quando si tratta di rincorrere gli avversari, Roberto a Bergamo, specie nelle ultime due stagioni a metà anni ’80, diventa un giocatore di statura internazionale, pronto per spiccare il volo verso Milano. Con 123 presenze e 7 reti in nerazzurro, deve quantomeno accomodarsi in panchina.

Trequartista: Cristiano Doni

Nemico pubblico numero uno in quel di Brescia, Doni è di riflesso uno degli idoli della tifoseria bergamasca: trequartista lungo e completo, notevole uomo gol, Doni è stato il leader e l’uomo di maggior talento dell’Atalanta per oltre una decade, ha segnato 112 gol in maglia nerazzurra e nel corso della sua stagione migliore (2001/2002) è entrato in orbita maglia azzurra, giocando 7 partite in nazionale. Il suo posto di titolare è intoccabile, ma a Bergamo ha giocato per diverse stagioni anche un altro dotatissimo numero dieci, il piccolo mago che da ragazzino aveva costretto tale Francesco Totti a traslocare a centrocampo per lasciargli spazio: sto parlando di Domenico Morfeo, il genietto dell’Atalanta che risale in serie A negli anni ’90 e poi per due stagioni uno dei trequartisti più celebrati del nostro calcio, grazie al sinistro morbido e sublime e alla visione di gioco da campione. La sua carriera sarà una corsa sulle montagne russe, ma il Morfeo di Bergamo è stato un signor giocatore.

Ala sinistra: Alejando “Papu” Gómez

Il funambolo argentino, ala, trequartista o attaccante aggiunto, è uno dei talenti più cristallini della storia bergamasca; dribbling elettrico, favorito dal baricentro basso, il Papu è un pezzo di storia del club bergamasco (leggi qui per il suo impatto nel club), ha vissuto da protagonista e leader gli anni d’oro dell’era Gasperini e ha fatto la differenza anche in Europa. Tre stagioni a Bergamo (cui segue un breve cameo a fine millennio) e l’amore incondizionato dei tifosi consegnano il posto in panchina (e potrebbe benissimo essere anche da titolare, e anche da attaccante puro) a Claudio Caniggia, il figlio del vento (“Guarda Caniggia che va“, cantavano i tifosi bergamaschi), una freccia che nelle giornate di vena era immarcable e un discreto uomo gol.

Attaccante: Angelo Domenghini

Il posto di attaccante centrale mi ha creato diversi grattacapi, perché non c’è un numero nove chiave nella storia bergamasca. Ho optato per Angelo Domenghini, che a Bergamo gioca sia come centravanti che come ala, in quanto è l’autore dei tre gol più importanti della storia del club, quelli che hanno regalato all’Atalanta la Coppa Italia; Angelo era un atleta avveniristico (mi cito da solo: giocava già nel 2036/2037) e, come Donadoni, a Bergamo si è guadagnato la chiamata della grande squadra. La platea delle alternative è ricca: Duván Zapata non ha bisogno di presentazioni, è uno dei tasselli chiave della grande Atalanta degli ultimi anni, un centravanti fisicamente fortissimo, abile nel gioco aereo e nella protezione della palla e anche veloce. Un altro attaccante puro che ha lasciato un segno profondo a Bergamo è Maurizio Ganz,  El segna semper lu, ottimo sinstro, discreto fiuto del gol, tante corsa e abnegazione, ha messo a referto 49 reti in maglia nerazzurra prima di vivere le sue avventure milanesi. Ultimo nome che reputo doveroso menzionare è quello del Tanque German Denis, possente centravanti classico che in quel di Bergamo trascorre le stagioni migliori della sua carriera, mettendo a segno oltre 50 reti.

Ha collaborato alla stesura dell’articolo SAMUEL MAFFI

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