Lo spettacolo, divenuto planetario dopo il 1992, della NBA, e poi quello della NFL, forse più essenzialmente americano ma accompagnato da un seguito e da una forza economica che non hanno eguali nel mondo dello sport, e poi ancora il baseball, lo sport che più si è radicato nel cuore della prima potenza mondiale, e la cui lega è la seconda più ricca del mondo. Gli USA, quando si parla di sport, parlano un linguaggio idiosincratico e a volte indecifrabile per il resto del pianeta. Basti pensare anche al settore motoristico: il motociclismo ha attraversato l’epoca dei cowboy tra anni ’70 e inizio ’90, ma tutto sommato l’ultimo pilota americano “vero” è stato il povero Nicky Hayden, che ha vinto il titolo della classe regina nel 2006; nell’automobilismo internazionale (leggasi: in formula uno) mancano star vere e proprie dai tempi di tale Mario Andretti, che poi, come ci dicono nome e cognome, non era esattamente un purosangue anglosassone.
Insomma, nonostante i loro trionfi multidisciplinari (non serve ricordare chi domina praticamente ogni albo d’oro olimpico) gli americani hanno sempre guardato il calcio con una buona dose di diffidenza, e se le cose non sono cambiate né con la cascata di miliardi dei seventies, quando la MLS divenne un costosissimo cimitero degli elefanti, né con l’enfasi un po’ trash (per i nostri gusti più sobri) di USA 1994, direi che la patria dello sport mondiale e lo sport più praticato al mondo continueranno ad avere un rapporto controverso ancora per un bel pezzo. Il Canada, se possibile, alberga in un’isola ancora più remota, che si avvicina alla terra ferma in qualche rara occasione (Villeneuve padre e figlio, se guardiamo ai motori), ma che, anche per ragioni demografiche e di risorse economiche, non ha mai davvero lasciato in segno in alcuna disciplina, fatta eccezione per lo sport nazionale (l’hockey su ghiaccio), e che nel calcio è pressoché inesistente.
Il breve prologo vuole agevolare l’espressione di un concetto abbastanza semplice: la patria del calcio, in Nord America, è il Messico, l’unico paese che abbia saputo sfornare giocatori di spessore con una certa continuità e anche l’unica nazionale in grado di accreditarsi con regolarità tra le prime sedici del mondo, a volte anche tra le prime otto. A onor del vero, nel vasto golfo che separa i due giganti del continente ci sono migliaia di isole, alcune delle quali hanno regalato agli appassionati di calcio nomi di una certa caratura, in grado di dire la loro anche in Europa. Naturale quindi che la lista che comprende i migliori calciatori nordamericani del dopoguerra sia dominata dai messicani, con qualche significativa digressione USA, centroamericana e caraibica. Una premessa: porgiamo le doverose scuse al leggendario Antonio Carbajal, l’unico giocatore capace di scendere in campo in ben cinque mondiali, che però di fatto non si può vedere se non in alcuni frangenti del mondiale inglese e che non abbiamo quindi ritenuto di inserire in graduatoria in ossequio alla regola che vuole premiare solo i giocatori conoscibili in via diretta. Ci sono almeno altri due giocatori cui chiedere scusa: il primo Carlos Hermosillo. Diciotto anni di carriera, sedici dei quali trascorsi in patria, impreziositi da 35 reti in 90 partite con la maglia della nazionale, sono il biglietto da visita di uno dei migliori attaccanti della storia del Messico. Lungo, potente, abile nel gioco aereo, Hermosillo è stato uno degli uomini di punta del calcio messicano per circa una decade, e a metà anni ’90 era un giocatore di statura internazionale: più volte capocannoniere e due volte miglior attaccante del suo campionato, vincitore di tre coppe dei campioni del suo continente, ha segnato profondamente la storia del calcio del suo paese. Come lui, meriterebbe un posto in graduatoria anche Jared Borgetti, altro centravanti di stazza che a fine millennio figura tra gli attaccanti più pericolosi in circolazione e che in nazionale sa spesso dare il meglio di sé.
Ancora, un nome che potrebbe già serenamente accomodarsi nel gruppo ma che escludo solo perché ha 23 anni e facilmente scalerà la graduatoria fino alle prime posizioni, è quello di Alphonso Davies. Il poderoso carrarmato canadese, di origini ghanesi, rappresenta un’anomalia talmente evidente nella storia del calcio del suo paese e già oggi meriterebbe la citazione tra i big del Nord America. Davies è un terzino sinistro dotato di mezzi atletici avveniristici (una sorta di Kawasaki Rocca in versione potenziata) ed è anche più di questo: la sua esberanza agonistica non gli impedisce di farsi valere anche sul piano tecnico, e la sua intelligenza tattica gli consente di muoversi anche come centrocampista puro. Il presente e il futuro sono tutti suoi.
10) Jorge Alberto González
Il giocatore che tecnicamente poteva mettere in difficoltà persino Sua Maestà Diego Armando Maradona (che di lui disse: “Il Magico veniva da un’altra galassia“) non può mancare in questa lista, benché – me ne rendo conto – sia più un nome di culto che un fuoriclasse vero e proprio. O meglio: è un nome di culto, uno di quei personaggi latinoamericani (salvadoregno) che sembrano inventati di sana pianta dalla penna di Borges o di Bolaño e la cui vita assomiglia a un romanzo on the road, ma è stato anche un campione, quasi la personificazione dell’abusata definizione “genio e sregolatezza”. Se con i piedi era capace di qualsiasi invenzione (possedeva una scintilla di follia tutta latinoamericana), la sua condotta extracampo, la sua indolenza e la sua scarsa propensione al sacrificio l’hanno relegato per quasi tutta la carriera in squadre di seconda se non di terza fascia, ma questo toglie poco al valore del suo talento cristallino e alla bellezza delle sue giocate. In Spagna, e segnatamente a Cadice, città dove si trasferisce dopo che il Barcellona l’ha scartato per i suoi comportamenti sopra le righe, è un idolo pagano, alla stregua di Roberto Baggio a Brescia: disputa con la maglia gialla diverse stagioni, tra anni ’80 e ’90, e regala al pubblico della città andalusa prodezze che gli valgono il soprannome di Magico. In patria, nel piccolo campionato locale, González fa collezione di titoli, ma sono anche le sue prestazioni in nazionale a renderlo il miglior giocatore centroamericano di sempre e uno dei più dotati e talentuosi della storia di tutto il continente: Jorge Alberto porta la sua piccolissima nazionale ai mondiali di Spagna e diventa anche per questo un giocatore di culto per i connazionali; con la maglia de El Salvador, Jorge disputa 62 partite e segna 21 reti, arrivando a giocare la Gold Cup del 1998, a 40 anni.
9) Jorge Campos
Estremo difensore anomalo (è alto solo 168 cm) capace di destreggiarsi anche come giocatore di movimento, El Brody Campos è diventato l’idolo dei tifosi messicani per le sue divise eccentriche e coloratissime e per il suo stile intrepido e quasi anti-europeo, ma è stato anche e soprattutto un grande portiere, agilissimo, veloce e “folle” nelle uscite (chi scrive ricorda un suo tackle-capolavoro su Ronaldo il Fenomeno, risalente al 1997), e capace di precorrere i tempi con le sue doti tecniche palla al piede. Campos ha vestito la maglia della sua nazionale in 138 occasioni, giocando da titolare due mondiali (memorabili le sue prestazioni a USA 1994, quando viene annoverato tra i tre portieri più bravi del torneo) e varie coppe America, e vincendo tre Gold Cup da protagonista. Meritatissimo il suo inserimento sul podio, quale terzo miglior portiere del mondo, nel 1993.
8) Landon Donovan
Il piccolo Landon Donovan è stato una delle stelle più luminose, se non a oggi la più luminosa, della storia del soccer a stelle e strisce. Sfortunato nel corso della breve avventura a Leverkusen, dove comunque lascia intravedere le sue qualità, il trequartista californiano ha dato il meglio di sé in patria con la maglia dei Los Angeles Galaxy, e forse, soprattutto in nazionale. Quattro volte leader della nazionale capace di vincere la Gold Cup, uomo chiave della nazionale USA che fa sudare sette camicie al Brasile in una delle Confederations Cup dotate di maggiore spessore tecnico, quella del 2009, Donovan ha probabilmente espresso il suo miglior calcio nel corso del controverso mondiale nippo-coreano del 2002, a soli vent’anni: le sue prestazioni da trequartista a tutto campo e due gol pesanti sono infatti una delle armi chiave della nazionale USA capace di raggiungere i quarti e di essere eliminata solo per 1-0 dalla Germania finalista, una Germania salvata ripetutamente da un Olver Kahn formato saracinesca. In Gold Cup, Donovan ha raggiunto l’apogeo nel 2007, quando ha segnato tutte le reti decisive delle partite chiave, non ultima la finale vinta 2-1 contro gli acerrimi rivali del Messico.
7) Cuauhtémoc Blanco
Sangue (caldo ai limiti del rissoso) e lineamenti da azteco, criniera scarsa e scarmigliata, Blanco è stato un prestigiatore del pallone, un incantatore di serpenti capace di brevettare uno dei gesti tecnici più assurdi di sempre (la celebre Cuauhtemiña, messa in mostra anche contro gli azzurri nel 2002) e un giocatore tecnicamente superbo, tanto da troneggiare ancora oggi come il rigorista più preciso e infallibile di sempre, avendo messo a segno 71 rigori su 73 nel corso della sua lunga carriera; il messicano è stato un trequartista lunatico e magico, uno dei grandi dieci latinoamericani capaci di tradurre in una sintassi calcistica arzigogolata ma efficace la loro poesia senza regole (cito il nostro Tommaso Ciuti e la sua brillante definizione). Adorato anche negli Stati Uniti per il suo stile spettacolare e acrobatico, Blanco in patria è un monumento anche e soprattutto per le prestazioni con la maglia verde della sua nazionale, prestazioni tra le quali spiccano quelle della Confederations Cup del 1999 (pallone d’argento della competizione) e quelle delle Gold Cup vinte da protagonista nel 1996 e nel 1998.
6) Javier Hernández
Chicarito è stato uno dei pochi nordamericani capaci di sfondare davvero nel Vecchio Continente e di farlo in grande stile. Agile, veloce palla al piede, dotato da madre natura di due piedi latini, Pisellino, dopo il rapido apprendistato nel calcio messicano, ha preso il volo in Inghilterra, affermandosi come forse il più importante giocatore di complemento dell’ultimo United di Ferguson, specie nel corso della stagione 2010/2011, culminata con la vittoria della Premier e con la finale di Wembley e giocata da Chicarito al meglio delle sue possibilità. La breve parentesi madrilena è stata meno felice, anche perché la concorrenza era davvero un Everest da scalare anche per un campion come lui, ma è impreziosita dal gol che ha deciso il derby di Madrid ai quarti di Champions. Il crepuscolo tedesco e poi di nuovo inglese ha visto Javier confermarsi un attaccante di spessore e un uomo gol più che discreto. Come molti connazionali, anche Chicarito è merita la citazione anche e soprattutto per ciò che ha saputo costruire in maglia verde: con 52 reti, l’attaccante di Guadalajara è il primatista assoluto di reti con la maglia della nazionale e ha vinto da uomo cardine la Gold Cup del 2011.
5) Luis Hernández
Chi aveva almeno dieci anni nel 1998 ricorderà la lunga chioma bionda di Luis, normolineo bravissimo nel gioco aereo e campione da annoverare tra i migliori della storia messicana. Stella del calcio del suo paese per almeno una decade, Javier ha ricevuto in due occasioni il premio riservato al numero uno del calcio messicano, e ha saputo consacrarsi come attaccante di livello internazionale soprattutto nella seconda metà degli anni ’90, quando ha vinto il titolo di capocannoniere della Coppa America del 1997, ha messo a referto 4 reti in Francia nel 1998 (memorabile il gol segnato alla Germania), e dulcis in fundo ha portato a Città del Messico due Gold Cup, la seconda, tanto per cambiare, da capocannoniere e uomo chiave della squadra. Con 35 reti, rimane tuttora uno dei primi scorer della storia messicana.
4) Keylor Navas
Rispetto al messicano Campos, Keylor Navas ha saputo affermarsi come campione anche nel calcio europeo, addirittura al Real Madrid, e non può quindi essere trascurato quando si parla di leggende del continente nordamericano. Non altissimo rispetto ai portieri di oggi, ma agilissimo, reattivo e spettacolare, Navas è stato una colonna del Grande Real capace di vincere tutto in pochi anni e anche il simbolo della Costa Rica: con la maglia della nazionale ha disputato un torneo straordinario nel 2014, quando è stato decisivo nel trascinare il piccolo paese caraibico sino ai quarti di finale, persi contro l’Olanda solo ai calci di rigore.
3) Rafael Márquez
Saliamo sul podio e l’aria inizia a rarefarsi. Márquez l’eterno è uno dei massimi giocatori mai nati in Messico e quindi in tutto il Nord America. Dopo essere maturato in Francia, nel Monaco, il centrale messicano, all’occorrenza capace di giocare anche come centromediano, si è affermato come uno dei migliori del mondo, nel suo ruolo, durante i sette anni vissuti sulle Ramblas. Tecnico, elegante, preciso e pulito negli interventi, fisicamente molto forte e capace anche di fungere da primo regista della squadra, Márquez è stato per anni un pilastro del Barcellona e della sua nazionale, vincendo tutto in Catalogna e vivendo con la maglia verde alcuni momenti esaltanti, dal gol con cui rischia di eliminare l’Argentina nel 2006 sino all’ultimo, notevole mondiale giocato in Russia nel 2018, alla soglia dei quarant’anni, il quinto della sua incredibile carriera. Memorabili anche le sue prestazioni nelle tre Coppe America concluse dalla sua nazionale sul podio.
2) Dwight Yorke
Il bomber di Canaan è non solo il secondo giocatore caraibico in graduatoria, ma anche uno dei massimi attaccanti della storia del calcio nordamericano e anche uno dei simboli del calcio inglese degli anni ’90. Acrobaticamente fortissimo, immarcabile nel gioco aereo nonostante la statura normale, Dwight ha fatto innamorare i tifosi dell’Aston Villa, mettendo a segno 75 reti in 232 partite, e quindi ha vissuto a Manchester, alla corte di Sir Alex, le due annate più esaltanti della sua carriera, culminate nel treble e nel titolo di capocannoniere della Premier del 1999. Nel nuovo millennio Yorke perde l’agilità e l’esplosività che l’avevano reso un’arma letale nel corso degli anni migliori e vive il suo crepuscolo con le maglie di Blackburn e Sunderland. Il suo impatto, da giocatore di prima fascia, sul calcio europeo, ci suggerisce in ogni caso di regalargli una meritatissima seconda posizione in graduatoria.
1) Hugo Sánchez
Credo che nessuno abbia nulla da obiettare: Hugol è con margine il giocatore più dotato, decisivo e forte mai nato non solo in Messico ma ovviamente in tutto il suo contiente, nonché l’unico giocatore in lista che meriti, senza esitazione, di essere chiamato fuoriclasse. Giovanissima stella del Pumas, Hugo emigra a Madrid e trova nella capitale spagnola la sua seconda casa, giocando per quattro stagioni con l’Atletico e quindi per sette anni con il Real. Durante la lunga vita madrilena, Hugo Sánchez si afferma come uno dei migliori giocatori del mondo, forse come il più implacabile bomber puro del decennio: straodinario per velocità di esecuzione, intuito e capacità di giocare di prima (giusto Eto’o e forse Luis Suarez lo hanno avvicinato sotto questo profilo), il centravanti messicano è per cinque volte Pichichi della Liga, vince più volte il campionato spagnolo e due volte la Coppa UEFA, diventando il terminale offensivo dello spettacolare Real della Quinta del Buitre, una squadra ariosa e divertente che in Coppa dei Campioni manca però il bersaglio grosso, arrivando per tre volte in semifinale. Notevole anche in curriculum con la nazionae: Hugol mette a segno 27 reti in 55 partite ed è a lungo l’uomo di punta del calcio messicano.