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Vita e miracoli di Eric Cantona, il “genio folle” che ha trasformato il Manchester United

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Senza nulla togliere ai numerosi campioni che ho avuto la fortuna di allenare, ritengo che nella mia squadra abbiano militato solo quattro fuoriclasse di livello mondiale: Ryan Giggs, Paul Scholes, Cristiano Ronaldo ed Eric Cantona.

Alex Ferguson, nella sua autobiografia pubblicata nel 2013

George Best nella sua prima seduta d’allenamento in Paradiso, giocando da ala destra ha fatto girare la testa a Dio, per sua sfortuna schierato terzino sinistro. Vorrei tanto mi tenesse un posto nella sua squadra. Best, non Dio.

Eric Cantona ai funerali di George Best

Qual è stato il momento più bello?” ….”Non è stato un gol… ma un assist, a Irwin contro gli Spurs. Sapevo quanto era intelligente, destro, sinistro… Devi avere fiducia nei tuoi compagni.

Eric Cantona nel film “Il mio amico Eric” di Ken Loach

In Italia, in Argentina e in Brasile abbiamo (tra gli altri) il culto del numero dieci, la sponda rossa del fiume Irwell celebra invece un rito pagano per il numero sette, quello vestito da numerosi campioni, ma soprattutto da George Best e da Eric Cantona, forse i due giocatori più amati della storia dello United (non i migliori), i due che hanno personificato meglio di chiunque altro lo spirito del club, la sua alterigia beffarda, la sua onnipresente vena di follia, la sua sregolatezza che però diventa in quache modo funzionale alla squadra e anche al successo di squadra.

Nel mondo del calcio esistono pochi personaggi più letterari di King Eric e non ci interessa quindi avventurarci, anche in questa sede, nel territorio minato dell’agiografia di un campione scomodo e discusso, che è anche un intellettuale (uno dei pochi del mondo del calcio) incline al bipolarismo: non credo esista un altro calciatore che lavora con Ken Loach e cui anzi il grande regista inglese dedica un film, per raccontare il suo impatto sulla cultura e sulla vita della Manchester depressa dei primi anni ’90, uno sportivo che protesta contro le banche in diretta mondiale, che sbigottisce Messi e Cristiano Ronaldo con un discorso assurdista, pronunciato davanti alla UEFA, un discorso che sarebbe piaciuto forse a Gilles Deleuze, e che poi però – quando gli si chiude la vena: insulta pesantemente il suo presidente a Marsiglia (che replica: “Se dobbiamo chiuderlo in manicomio, lo chiuderemo in manicomio“), aggredisce un tifoso reo di aver gettato fango sulle sue origini francesi (in realtà, sardo-catalane) e si becca una squalifica di otto mesi, si ritira dal calcio a 29 anni parlando di gabbiani e pescherecci, cambia idea perché Ferguson lo implora, stalkerizzandolo durante le vacanze del 1995, quindi torna e gioca il miglior calcio della sua carriera. “Ci sono più libri e articoli su Cantona che su Kant“, ho letto da qualche parte sul web, e la frase l’avrebbe pronunciata uno studente in filosofia innamorato di entrambi: è forse sufficiente questo aneddoto a suggerirmi di evitare lo spreco di inchiostro virtuale per raccontare ciò che è stato già detto molte volte e in mille salse.

Al di là dell’innegabile fascino del personaggio, che non ha forse eguali dal 1990 a oggi, mi preme in questa sede concentrarmi sul valore sportivo del giocatore, perché Ferguson, quando cita i quattro fuoriclasse internazionli che ha avuto la fortuna di allenare, lo nomina, preferendolo a giocatori a mio parere di pari caratura (Wayne Rooney e Ruud Van Nisterlrooj, per citarne due), e Sir Alex non è uno che parla per dare aria alla bocca, tantomeno nella sua autobiografia.

La vera domanda, in sintesi, è: Eric Cantona era davvero così bravo? Oppure il suo mito, il peso di un’icona culturale capace appunto di collaborare con veri intettuali “antagonisti” come Ken Loach e di far discutere di sé per anni prima la Francia e poi l’Inghilterra, ammanta come una bruma fitta i nostri ricordi degli anni ’90, indeblisce le nostre facoltà di giudizio, e ci restituisce l’immagine di un giocatore che, in campo, è stato sicuramente bravo, ma non così bravo?
Confesso di non essere in grado di fornire una risposta definitiva, ammesso che nel calcio ne esista una, ma posso provare a riassumere la carriera del giocatore francese per farmi un’idea più precisa della sua dimensione.

Cantona oggi

Quando trasloca alla corte di Sir Alex, Cantona ha 26 anni e ha alle spalle otto stagioni tra i professionisti; ha giocato con una certa continuità, in Ligue 1, dalla stagione 1986/1987, quando le sue peculiarità hanno conquistato i palati più fini d’Oltralpe: Eric, a 20 anni, è alto quasi 190 cm, e ha una forza fisica pazzesca, ma colpisce soprattutto perché tratta il pallone con una delicatezza di norma appannaggio di giocatori più minuti, e il suo punto di forza è la visione di gioco, la capacità di vedere i compagni per servirli a dovere in ogni zona del campo, con verticalizzazioni che fanno strabuzzare gli occhi agli esteti.

In più, segna con una discreta regolarità; certo, ci sono anche un’intelligenza decisamente sopra la media accompagnata da una vis polemica incontenibile e forse da qualche problemuccio psicologico (quantomeno, in termini di autocontrollo) che lo porta a diventare una belva, quando si sente aggredito, ma per il momento si può soprassedere.

Dopo una seconda stagione più in chiaroscuro e il debutto in nazionale, Eric si trasferisce sulle sponde del Mediterraneo, da Tapie, ma la sua avventura marsigliese è fatta inizialmente più di ombre che di luci, oltre che inframezzata da due parentesi a Bordeaux (benino) e a Montpellier (molto bene, vince la Coppa di Francia, ma chiude con una rissa negli spogliatoi). In una squadra di stelle come quella di Tapie, King Eric regala i suoi lampi di genio, ma fatica terribilmente a convivere con la dirigenza; dopo Italia ’90, sulla panchina marsigliese arriva un leader come Beckenbauer, che porta autorevolezza e serenità, e King Eric nella prima parte della stagione pare finalmente sbocciare: il mix di forza fisica, assist al bacio e colpi acrobatici alla Ibra che regala ai tifosi a fine 1990 sembra trasformarlo, finalmente, in uno dei giocatori chiave dello squadrone francese che punta ad archiviare il dominio europeo del Milan di Sacchi. Fioccano gol, assist, grandi prestazioni, ma la luna di miele dura poco: insoddisfatto di Beckenbauer, Tapie richiama Goethals e questi (altro caretterino non esattamente incline al compromesso) entra subito in collisione con Cantona, escludendolo di fatto dalla squadra che perderà ai rigori la finale di Coppa dei Campioni. “Se ci fosse stato Eric..”, dopo la finale di Bari, diventa il #seceranedved ante-litteram dei marsigliesi.

Cantona, dopo le ennesime intemperanze (insulti ai commissari che l’hanno squalificato, insulti peraltro non trasmessi via etere, ma pronunciati vis a vis, con tanto di dito puntato in faccia, al termine della sua audizione), viene squalificato per tre anni e dichiara, con la consueta vena teatrale, di aver avuto il privilegio di assistere al proprio funerale in quanto ha deciso di ritirarsi, sentendosi offeso dal mondo del calcio, ma soprattutto lontano dalle sue regole e dai suoi codici di comportamento.

Come noto, ci pensa il suo grande estimatore Platini a suggerirgli di trasferirsi in Inghilterra, visto che la stampa e la televisione l’hanno condannato all’inferno e non esiste per lui modo di redimersi, stante pure il carattere un tantino fumantino, se non emigra.

Tirando le somme, nel 1991 Eric Cantona è una sorta di Antonio Cassano del calcio francese, diciamo un Cassano che ha velleità intellettuali e una cultura diversa da quella del barese; ma per il resto, ci siamo: entrambi hanno talento da vendere, ma soffrono di troppi alti e bassi, di troppi colpi di testa, sono protagonisti di troppe risse, verbali e non. La sua avventura inglese, come sappiamo tutti, inizia con la maglia bianca del Leeds, e vede per la prima volta un Cantona un po’ più maturo e meno incline alle follie ripetute: giunto in Inghilterra a metà stagione, Eric diventa il dodicesimo uomo del titolo, confezionando alcune delle giocate decisive nel finale di stagione, e contribuendo a spezzare il cuore di Alex Ferguson, che perde la First Division contro una formazone meno quotata e viene sommerso dalle critiche dei suoi tifosi (!!).

Nel 1992, complice la telefonata di un dirigente cui assiste Sir Alex, Eric si trasferisce a Manchester, in quella che diventerà la sua seconda casa. A posteriori è facile dimenticare tutte le perplessità che circondano il suo sbarco tra i Diavoli Rossi: la fama di testa calda lo precede, qualcuno dubita anche delle sue doti tecniche (Euro 1992 è stato un mezzo fallimento), e solo Ferguson sembra convinto di poter addomesticare un cavallo pazzo come il francese per aiutarlo a esprimere, finalmente, tutto il suo potenziale.

Come sappiamo, Sir Alex non sbaglia la mossa e sa prendere il suo campione per il verso giusto: nell’autunno del 1992 la squadra cambia marcia, perché Eric porta “a little bit of magic” (parole di Ryan Giggs), e regala allo United un arsenale di soluzioni offensive molto più vasto rispetto al precedente (“The key was his vision“, “United was a good team but Eric made us brilliant“, parole sempre di Giggs; “he’s not a striker, he’s the conductor of the orchestra“, dice invece un telecronista durante un derby con il City). Nel 1993, l’incompiuto Cantona diventa uno dei giocatori più decisivi del mondo, come testimonia anche il terzo posto nella graduatoria del pallone d’oro – solo Roberto Baggio e Dennis Bergkamp lo precedono.

Nel 1993/1994 Cantona sale ancora di colpi e rientra, forse per la prima volta nella sua carriera, in un ipotetico discorso sui migliori giocatori del mondo. Per i suoi tifosi, che lo idolatrano, lo è senza discussioni, e del resto regala a Manchester il secondo titolo di fila e la Coppa d’Inghilterra, e se in Europa una bruciante e controversa eliminazione ai primi turni allontana lo United dalle fasi calde della Champions League, il livello di calcio espresso da Eric nel corso di tutta la stagione lo annovera di diritto tra i campionissimi (ci sono 18 reti e quasi altrettanti assist solo in campionato, e i numeri descrivono solo in parte la scintilla di magia che sprigiona dal suo goco; Cantona decide anche le partite chiave della FA Cup, finale inclusa). La Premier lo elegge giocatore dell’anno e Ferguson si gode la sua gallina dalle uova d’oro. Chi scrive pensa che, anche nel corso di quella stagione, ci fossero comunque giocatori di poco superiori al francese (Baggio, Romario, Stoičkov), ma ciò toglie poco al valore di un giocatore che ha archiviato le lune della carriera in patria ed è diventato il perno di una squadra di prima fascia a livello mondiale.

La stagione successiva vede in campo un Cantona un pochino meno continuo ma comunque capace di mettere a referto 12 reti in 21 partite, nonché di esaltare i tifosi con i suoi colpi di genio, che di solito si traducono in aperture improvvise, in dribbling nello stretto inusuali per un attaccante della sua mole, in assist al bacio: Cantona accarezza il pallone quasi alla stregua di Savićević e i tifosi inglesi, abituati da tempo a un calcio tutto forcing, tackle e ripartenze, sono stregati dall’incantatore di serpenti francese. Il fattaccio di Selhurst Park rischia di troncargli la carriera a soli 29 anni ancora da compiere: la nazionale lo esclude dal giro e lo United, senza la sua guida, perde qualche colpo e termina la stagione al secondo posto, alle spalle de Blackburn. Ma, soprattutto, il calcio del gennaio 1995 incrina le certezze di Sir Alex, convinto da tempo di avere per le mani una persona matura, e ritrovatosi invece a dover gestire un cavallo imbizzarrito.

Eric medita di lasciare il calcio ma ci ripensa e, a mio parere, è questo ripensamento, con ciò che ne consegue, a consegnargli un posto tra i grandissimi degli anni ’90 e della storia del calcio francese: nel corso della stagione 1995/1996, infatti, si vede il Cantona più maturo e decisivo di sempre, che si guadagna il titolo di milgior assistman del calcio inglese e soprattutto guida una banda di ragazzini verso un titolo ritenuto, a inizio stagione, quasi impossibile.

Alcuni dei perni dello United 1992-1994 hanno infatti lasciato Manchester e Ferguson punta sul blocco del 1992, consapevole che servirà un po’ di tempo perché i vari Scholes e Beckham possano diventare giocatori di livello internazionale. E invece, il ritorno di un leader come King Eric regala sicurezza a un gruppo di sbarbati che conquista il titolo; Cantona viene premiato per la seconda volta come giocatore dell’anno e i gol/assist decisivi della parte finale della stagione, nonché la rete decisiva in finale di FA Cup, gli valgono senza ombra di dubbio il premio.

Non solo: come nel 1993/1994, anche nel 1995/1996 il francese può inserirsi senza destare stupore in una conversazione sui giocatori più importanti del pianeta, perché sono davvero in pochi, in quella stagione, a reggere il suo passo (il settimo posto nella classifica del pallone d’oro testimonia in ogni caso che anche a livello internazionale si continua a riconoscere la sua grandezza; il settimo posto è ingeneroso ma al tempo stesso clamoroso, perché Cantona non gioca gli europei né le coppe, eppure per tutti è uno dei più grandi in assoluto, in quel momento giusto Weah e Del Piero e pochi altri fanno parte della stessa categoria o lo superano).

L’Europa rimane il suo grande cruccio: di fatto, dal 1991, non vi ha quasi più giocato, e quando l’ha fatto si è dimostrato croce e delizia per la sua squadra. Nel 1996/1997, finalmente, lo United fa un salto di qualità sul piano internazionale e raggiunge, non senza difficoltà, le semifinali di Champions. Cantona, per la prima e ultima volta, fa la voce grossa anche in Europa: i suoi gol sono “solo” tre, ma sono pesantissimi, e impreziosiscono prestazioni memorabili, su tutte quella regalata contro il Porto ai quarti. La semifinale gli vale però un’altra delusione: Kohler lo contiene piuttosto bene e Cantona disputa due partite non indimenticabili; la sfortuna, inoltre, ci mette il suo zampino, e porta il Dortmund a Monaco. La stagione 1996/1997 vede nuovamente lo United imporsi in Premier League e consolidare una dittatura quasi irripetibile, ma Eric è stanco, nel corso della stagione ha alternato magie (il pallonetto tottiano contro il Sunderland, seguito da un’esultanza un po’ arrogante) e prestazioni memorabili a momenti di difficoltà, specie sul piano fisico, specie nel finale, tanto che chiude il campionato con 11 reti e annuncia il suo prematuro ritiro, sconcertando i tifosi e i compagni, che perdono la loro guida.

Prima di chiudere, è doveroso dedicare due parole al capitolo agrodolce della nazionale: Eric vive la lunga fase di transizione che separa la generazione di Platini da quella di Zidane (lui è l’anello di congiunzione tra i due dieci, ma chiaramente non raggiunge lo stesso livello); a fine anni ’80 il colosso marsigliese fa il suo dovere, ma complici i problemi di condotta non diventa mai un perno della squadra. Euro 1992 arriva forse troppo presto: Eric sta maturando, la Francia non è in grandi condizioni ma lui non fornisce un contributo rilevante e la squadra viene eliminata nel girone; il torneo, in sintesi, è forse il punto più basso della sua carriera in bleu; durante le qualificazioni per USA 1994 si vede invece un Cantona leader e maturo, che gioca il suo calcio migliore e segna quasi un gol a partita, compreso quello che porterebbe i transalpini al mondiale, ma la follia dei suoi all’ultimo minuto consegna la qualificazione ai bulgari (che erano comunque una squadra all’altezza della Francia, come dimostreranno anche in America). In bleu, Eric chiude con 45 presenze e 20 gol (bottino notevole), ma di fatto con sole tre partite nei grandi tornei: a Inghilterra 1996 è già uscito dal giro per varie ragioni e la Francia è stata consegnata a Zidane, che in Inghilterra lo farà rimpiangere, ma che sarà poi di una dimensione diversa nei tornei successivi.

Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine stanno per essere gettate in mare.

Eric Cantona nella conferenza stampa dopo la squalifica per 8 mesi per il calcio a un tifoso del Crystal Palace

Siamo giunti al capolinea: quale posto occupa, in sintesi, Cantona nella storia del calcio? Io credo che la “verità” possa collocarsi a metà strada tra la comprensibile e sfrenata idolatria dei suoi tifosi (che l’hanno eletto calciatore del secolo) e lo scetticismo che ancora si registra in altri paesi, compreso il nostro, scettisimo che scaturisce da quello relativo al calcio inglese del tempo e che è opaco all’evidenza del valore anche internazionale di molte formazioni britanniche degli anni ’90. Cantona (dispiace per i tifosi dello United) non è stato un fuoriclasse epocale, non perché non ne avesse le doti ma perché è rimasto davvero ai vertici per un lasso di tempo non lunghissimo e non vanta una carriera internazionale da primo della classe, ma non è neanche un “ottimo giocatore e basta”: ha rovesciato la storia dei Diavoli Rossi, riportandoli tra le grandi dopo decenni di anonimato, ha risvegliato una Manchester grigia guadagnandosi l’amore eterno dei tifosi dei Red Devils, e tecnicamente ha saputo confezionare cioccolatini che fanno parte solo del repertorio dei campionissimi.

Ha anche anticipato i tempi, quale numero 10 che può giocare anche da seconda punta e da centravanti e che unisce stazza, forza fisica, una discreta velocità palla al piede la visione di gioco del trequartista. In almeno un paio di stagioni era legittimo considerarlo uno dei primissimi giocatori del mondo, anche se, a mio avviso, mai il più grande, nonostante la stampa inglese del tempo fosse di diverso avviso. In sostanza, a mio parere Eric figura quindi comunque, con autorevolezza, tra i massimi giocatori e talenti offensivi degli anni ’90, e il suo posto nella storia è difficilmente attaccabile.

Al di là del personaggio, restano dunque per gli amanti di un certo tipo di calcio ammirevoli i suoi gesti tecnici, la sua capacità di essere un leader, un vincente e un artista con la stazza di un corazziere, alla stregua di Ibra (anzi, direi un incrocio tra Ibra e Zidane) e di pochi altri.


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