La loro poesia ha prevalso sulla nostra prosa
Così, più o meno, disse Pier Paolo Pasolini dopo la celebre finale dell’Azteca del 1970, e le sue parole – un’acuta metafora sportivo-letteraria – mi hanno sempre incuriosito.
Essendo anche io incline a mescolare i piani del discorso e i linguaggi, nel mio piccolo, da tempo provo a traslitterare in campo letterario lo stile di gioco delle squadre che reputo più interessanti, e visto che sono in pieno svolgimento i mondiali più anomali di sempre, credo che sia il momento di applicare il “metodo Pasolini” (mi si perdoni l’usurpazione del suo nome) alle nazionali che stiamo ammirando sui campi del paese arabo; con una premessa fondamentale: quando si parla di prosa e poesia non si intende graduarne il valore né in qualche modo decretare che una delle due forme estetiche sia “superiore” all’altra, e questo vale sia in ambito letterario che in campo sportivo. Non ha senso arrovellarsi le meningi per stabilire se sia meglio “Une Saison en Enfer” di Rimbaud o “Heart of Darkness” di Conrad, a maggior ragione non ha senso chiedersi se sia meglio un calcio “di prosa” o un calcio “di poesia”. Il calcio di prosa risulta di regola meglio strutturato, più razionale, è un calcio dove assumono importanza centrale oganizzazione e una certa dose di programmazione, ed è naturale che ogni nazionale debba prestare la dovuta attenzione a tali aspetti. Il calcio di poesia rompe un po’ gli schemi e attribuisce un ruolo centrale all’intuizione, all’immaginazione, alle doti meno codificabili e che non si possono (più di tanto) programmare, così come il gusto per il gioco di parole in sé, per la metafora, per il gioco.
Arrivo al dunque, e inizio con la Francia di Kylian Mbappé.
Il calcio dei francesi, come ogni stile moderno, deve combinare elementi prosaici e altri più poetici. La prosa dei francesi è robusta e passionale (mi viene in mente Hemingway che lotta contro il mondo), in quanto si basa sulla fisicità e sulla “necessaria” coesistenza tra tante individualità, più che su una solida organizzazione. La loro poesia, che rompe un po’ le strutture della prosa, mi sembra a sua volta molto istintiva, poco estetizzante: una sorta di verso libero, anche un po’ grezzo, che però sa aprire nuovi orizzonti davanti ai nostri occhi grazie ad alcune magnifiche intuizioni, a cambi di passo metrico/ritmici imprevedibili, a immagini originali. Una poesia realista e al tempo stesso fantasiosa – penso a “Mexico City Blues” di Kerouac.
La Spagna gioca a sua volta un calcio di prosa che sa però regalare slogature poetiche. La prosa degli spagnoli è però a mio parere molto diversa da quella dei francesi: è una prosa sofisticata, ricercata, in cui abbondano i preziosismi e le finezze estetiche, uno stile che Brera avrebbe definito da elzeviri. La poesia, in una cornice così curata, che presuppone una padronanza del linguaggio superiore, la introducono gli spunti fuori scripta di alcuni singoli, che si inseriscono con naturalezza nel complesso disegno armonico degli spagnoli, tanto da confodersi in una sorta di prosa poetica: una volta la poesia erano le verticalizzazione illogiche eppure lucidissime di Iniesta o le giravolte-aggira fantasmi di Xavi, oggi gli eredi dei due perni del grande ciclo dello scorso decennio hanno dimostrato di saper interpretare lo spartito alla perfezione e di sapervi introdurre al tempo stesso note poetiche, di una poesia che è al tempo stesso classica ed erudita ma anche passionale (penso ad “Alba” o a “La bimba dal dolce viso” di Federico Garcìa Lorca).
Il gioco del Brasile antepone, come da sua tradizione, la dimensione poetica a quella prosaica, ma non rinuncia alla prosa. La solidità del reparto difensivo, che armonizza eleganza e la necessaria dose di rudezza, è una forma particolare di prosa, tutta sudamericana e ricca di arabeschi e finezze. Gli svolazzi delle punte sono invece poesia, ma non si tratta della stessa poesia realista dei francesi, questa è più bizzarra e stravagante, e ha il gusto dello sberleffo, tende al surrealismo, a una ricomposizione originale e irrazionale dell’ordine delle cose – una poesia che ha il profumo del tropicalismo, la sua complessa struttura policromatica.
L’Inghilterra è la maestra della prosa, e la loro è una prosa eroica, cavalleresca e classica, che antepone il cuore e una certa fisicità agli svolazzi e alle complicazioni. Gli inglesi, fedeli alle loro tradizioni, si affidano a codici noti e a una struttura solida e tradizionale; la poesia che ogni tanto rinnova tali codici è tutta popolare, è una poesia ruvida e istintiva, tutta cuore e slancio passionale, che non bada troppo a certe finezze estetiche e che invece vuole colmare di stupore gli occhi del lettore.
I tedeschi e il loro romanticismo che trascende in una sorta di fideismo sono maestri della prosa filosofica e ragionata, nella cui struttura iper-razionale introducono sprazzi di poesia romantica; in Germania stanno provando a far convivere, non senza qualche difficoltà, le loro due anime, ma forse ai tedeschi manca ancora la capacità di arricchire la loro complessa prosa con i tecnicismi sublimi degli spagnoli.
Eccoci all’Argentina: parlare del suo calcio in termini di prosa o di poesia è molto difficile, perché le due anime del calcio albiceleste (quella resultadista e quella della Nuestra) coesistono, sgomitano e si strattonano a vicenda da molto tempo. Il calcio argentino è un calcio prosaico in maniera malinconica eppure vigorosa, citare Borges è un po’ scontato, ma il calcio argentino, così idiosincratico, sembra possedere qualcosa della sua vena narrativa tutta orientata al racconto breve, al singolo episodio epico, che trova “artificiale” l’amore per la complessità barocca e le lungaggini dei cugini spagnoli e che è più affine allo spirito battagliero dei cugini italiani. Una prosa che è decadente e sofferente come le opere migliori di Ernesto Sabato. La poesia, nel calcio argentino, la introducono gli assoli palla al piede dei suoi condottieri, le sferzate di campioni solitari che sembrano eroi borgesiani o sabatiani, costretti dal destino a combattere contro la storia.
Il grigiore inatteso del calcio del Belgio sembra aver assorbito il colore dei cieli plumbei e inquieti che sovrastano Bruges o Bruxelles, e la sua è una prosa un po’ contorta e torbida, quasi da romanzo giallo di Simenon, o se vogliamo da dramma dei fratelli Dardenne. Perennemente incompiuta, incapace di essere tragica nella sconfitta come sanno esserlo ad esempio brasiliani o argentini, la prosa belga, quasi priva degli slanci eroici della poesia inglese, è triste e involuta, e raramente lascia un segno profondo e degno del talento dei suoi autori.