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Grandi stagioni quasi dimenticate: da Scholes 2003-Xavi 2005 a Suarez 2014-Salah 2018

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Propongo oggi il nostro gioco delle somiglianze in una versione aggiornata e particolare. Parlare di “miglior giocatore del mondo” è sempre una forzatura concettuale, per diverse ragioni (ruoli e contesti diversi, risultati di squadra che non dipendono in via principale da un singolo etc..), ma questo non impedisce alla nostra testa di arrovellarsi sulla questione, dando forse per assodati tutta una serie di presupposti che assodati non sono – chi è, oggi, il più grande giocatore del mondo?

Arrivo al dunque: ci sono stagioni in cui un singolo, sul piano del puro rendimento, vale i migliori calciatori in circolazione, e forse li supera pure sul piano della continuità e del proprio valore di uomo franchigia, e che però non si traducono in grandi risultati di squadra sul piano internazionale e a volte neppure su quello nazionale. Ecco, chi disputa una stagione del genere può rientrare in un ipotetico discorso sul “più grande del mondo”, almeno nel suo ruolo specifico? Io credo di sì, perché i successi di squadra spesso corroborano le qualità individuali, ma restano successi di squadra, e il pallone d’oro a mio parere non può costituirne una mera ratifica sul piano del singolo. In questa puntata del gioco delle somiglianze, che si propone di avere un seguto, vorrei quindi raccontare alcune grandissime annate il cui protagonista però, proprio a causa del ruolo preponderante del successo collettivo, non è stato celebrato quanto avrebbe meritato, né è stato inserito in una discussione sui maggiori fuoriclasse planetari, anche se sarebbe stato doveroso farlo.

Paul Scholes 2002/2003 vs Xavier Hernàndez 2004/2005

Paul Scholes è stato Mr. Incessansy: 20 anni di carriera quasi sempre al top, l’affidabilità fatta giocatore, una completezza di repertorio nelle due fasi che ha riempito di meraviglia gli occhi di gente come Zidane e Ronaldinho, epperò anche un certo imbarazzo quando si tratta di nominare Scholes tra i “primi giocatori del mondo”, anche nel suo ruolo, perché la sensazione è che qualcuno sia sempre stato un po’ più bravo di lui. Esiste a mio avviso un’eccezione, ovvero la stagione 2002/2003, nel corso dalla quale il piccolo centrocampista di origini irlandesi ha scavato un solco tra sé e quasi tutta la concorrenza planetaria: giunto alla piena maturità, Paul mette a referto l’incredibile numero di 20 reti in una sola stagione, ma soprattutto gioca il calcio più spettacolare e incisivo della sua carriera ed è – forse per la prima e ultima volta – l’uomo “franchigia” della Premier League strappata all’ultimo respiro a un grande Arsenal. Scholes decide infatti sia lo scontro diretto di dicembre (prestazione da giocatore universale, impreziosita da assist e gol) che molte delle ultime partite, quelle decisive per il sorpasso ai londinesi, e da gennaio in avanti non teme nessun concorrente in termini di impatto sulla gara; non solo tantissima classe e continuità, quindi, ma anche la capacità di alzare l’asticella del rendimento e di confezionare giocate determinanti quando la posta in palio si alza. L’eliminazione subita ai quarti di finale di Champions League, purtroppo, penalizza l’annata 2002/2003 di Scholes nella memoria collettiva (specie se non si è inglesi), ma io credo che Paul nel corso di quella stagione meriti di accomodarsi in mezzo a Henry, Zidane, Nedvěd e forse Ronaldo il Fenomeno e di essere coinvolto (per la prima e ultima volta?) in un ipotetico discorso sul giocatore più bravo e decisivo in circolazione.

Discorso simile vale per Xavi e il suo 2004/2005. Dopo un complicato 2002/2003, in cui spesso viene anche fischiato dal Camp Nou e persino bollato come grande talento declinato prematuramente (Xavi gioca dal 1998/1999), il piccolo genio catalano ricostruisce la propria carriera nel corso della stagione successiva, in cui però il Barcellona è ancora un puzzle da completare, e decolla definitivamente durante il primo anno di Rijkaard. Nel maggio del 2005 sono a Madrid, in visita ad alcuni amici universitari, e compro Don Balon: con grande stupore, apprendo che per la stampa specializzata l’assegnazione della corona riservata al miglior giocatore della Liga è questione che coinvolge Ronaldinho, Deco, Riquelme e Xavi, quest’ultimo il migliore per “media-voto” e il giocatore più importante (non più bravo, ma più importante) della squadra dell’olandese. Nel 2004/2005 Xavi diventa quindi il fuoriclasse che avrebbe fatto lucciare gli occhi al mondo soprattutto qualche anno più tardi: la Liga vinta in scioltezza è forse il suo primo grande traguardo come deuteragonista di una squadra che si affida soprattutto all’estro incontenibile e alle slogature jazz di un Dinho straripante, ma l’uscita agli ottavi di Champions fa dimenticare – al grande pubblico europeo – le grandi prestazioni stagionali del fuoriclasse iberico. A fine anno, il pallone d’oro è questione tra Dinho e i grandi tuttofare inglesi Lampard e Gerrard, ma a mio avviso un dibattito serio su quell’annata e sui suoi maggiori protagonisti non può che includere Xavi.

Luis Alberto Suárez 2013/2014 vs Mohamed Salah 2017/2018

È possibile essere il singolo pù decisivo in circolazione, partita dopo partita, e non vincere nulla? Luisito e Momo dimostrano a mio parere che lo è. Nel 2013/2014 il Liverpool, come noto, si gioca fino all’ultimo un titolo che gli sfugge da oltre 20 anni, e ritrova uno dei migliori Gerrard della carriera, al netto del sin troppo citato scivolone. Se la squadra può però competere con un City tecnicamente superiore, tuttavia, lo deve a mio parere in buona misura al fuoriclasse uruguagio, ispirato come non mai, incontenibile nelle sue innumerevoli giornate di grazia e capace di essere uomo-franchigia (esagero un po’) quasi come il Ronaldo del 1997/1998 (con tanto di 23 reti in 33 gare e un numero altissimo di giocate decisive), tanto che a fine stagione sia la FWA che la PFA gli assegnano il premio di giocatore dell’anno, privilegio toccato a pochi altri campioni. In Europa League Suarez è sempre una sentenza ma il Liverpool saluta la compagnia troppo presto; il grande mondiale conferma in ogni caso che in quel momento l’attaccante uruguaiano può giocarsela con qualunque giocatore del mondo per qualità, continuità, rendimento, impatto sulla squadra e sulla partita, e che quindi deve rientrare in ogni discussione seria sul “numero uno”.

Destino analogo tocca a Salah quattro anni più tardi: la sua stagione in Inghilterra è quasi senza precedenti, il fuoriclasse egiziano sembra avere la marmitta truccata, segna come se non ci fosse un domani (32 reti in 36 partite) ed è a sua volta uomo franchigia dei Reds. I suoi arrancano in campionato, ma raggiungono la finale di Champions (persa poi anche a causa delle follie di un portiere inadeguato) e il loro alfiere è sempre Momo, immarcabile per tutti gli avversari, non importa se si chiamano Porto, Manchester City o Roma (ci sono 11 reti in 15 partite, e una prestazione da 9 in semifinale contro la malcapitata Roma). Nel corso dell’intera stagione, Europa compresa, Salah a mio parere non ha molti paragoni (giusto Neymar, che però si rompe a febbraio e gioca comunque in un calcio un po’ meno competitivo) e l’assenza di trionfi di squadra che corroborino il suo status di numero uno a mio parere diventa nella fattispecie quasi irrilevante.

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