Cerca
Close this search box.

The Sky is Blue: la top 11 all time del Manchester City

Condividi articolo:

Manchester: la capitale mondiale del cotone nel corso dell’800, una città inverosimilmente orrenda per uno dei suoi poeti pop più noti e discussi (il sardonico Mark E. Smith), la patria dei Joy Division e del loro culto senza nome e decadente, è anche una delle capitali planetarie dello sport, come la vicina Liverpool.

Per lungo tempo, tuttavia, Manchester per il mondo è stata sostanzialmente sinonimo di United: troppo il divario in termini di classe/fuoriclasse, successi, momenti da tramandare ai posteri, gesta da leggenda, bacheca, notti europee. Il fascino glamour e da rocker matto di George Best, il colletto alzato di Cantona, i superpoteri di Cristiano Ronaldo, la corsa inesauribile di Rooney e Giggs, la celebrità pop e il destro di Beckham, ma anche gli immigrati irlandesi che sollevano il mondo con la loro classe (Paul Scholes), e volendo pure la tragedia di Monaco che toglie per sempre il sorriso (non la bravura) a Charlton, due manager scozzesi che marchiano a fuoco cinque decadi, Matt Busby e Alex Ferguson: al cospetto di tanta grandezza, di una squadra capace di prendersi un pezzo di cielo per trascinarlo in quei borghi mancuniani in cui sembra piovere sempre, in mezzo alle terrificanti e decadenti aree industriali della città (“La culla del capitalismo è diventata la sua tomba“), cosa ha saputo proporre, per molti decenni, la Manchester meno glamour? Quella colorata di azzurro e adorata da bastian contrari arroganti come i fratelli Gallagher, smaniosi di rivendicare davanti al mondo il proprio status di hooligans bene, certamente arricchiti, ma sempre nemici dei giocatori che vestono di rosso all’Old Trafford? Più di quanto si racconti e si riconosca in Italia, probabilmente, perché per gli inglesi la fine degli anni ’60 sono anche gli anni di gloria del City, come documentano i campioni e i successi di quell’epoca; ma, complessivamente, comunque, troppo poco: troppi anni nel pantano e nelle divisioni inferiori, troppe stagioni senza infamia né lode, troppa aurea mediocritas. Quelli bravi e vincenti erano sempre dall’altra parte.

La seconda decade del nuovo millennio, come noto, ha però ribaltato i rapporti di forza (complici tanti soldi) e, per la prima volta, ha reso la grigia Manchester, il regno dell’industria, una città in cui l’azzurro prevale sul rosso, tanto che il City staziona stabilmente tra le grandi del pianeta da tempo, mentre i cugini giusto in questi mesi stanno provando a rialzare la cresta dopo anni di purgatorio. Anche in virtù dell’ultimo, ricchissimo decennio, selezionare una formazione ideale all time del Manchester City è stato in sostanza più difficile del previsto, per quanto chiaramente il parterre di campioni in blue non possa competere con quello dei cugini rossi. In ogni caso, ce l’ho fatta.

Portiere: Bert Trautmann

Lo sport regala storie che superano per complessità e imprevedibilità la fantasia dei migliori romanzieri, e quella di Trautmann è una delle più interessanti. Bernd (diventerà Bert in Inghilterra…) negli anni ’40 è un pilota dell’aviazione tedesca che viene catturato e quindi imprigionato dagli inglesi; terminata la guerra, inizia a giocare nel St Helen Towns e quindi finisce a Manchester, sulla sponda “povera”. L’accoglienza, visti i suoi trascorsi e le sue origini, non è delle migliori, e se aggiungiamo che Bert deve sostituire un idolo di lungo corso come Frank Swift, ci spieghiamo le manifestazioni dei tifosi contro il suo ingaggio. Fortunatamente, le strepitose doti atletiche di Bert, un colosso capace di volare tra i pali come pochissimi altri all’epoca e dotato di un coraggio leonino nelle uscite, nel giro di poco tempo lo trasformano in un idolo della tifoseria locale: con il City disputa 545 partite ed è protagonista di un’eroica finale di FA Cup contro il Birmingham City, nel 1956, anno in cui viene anche incoronato come calciatore dell’anno del campionato inglese. Il suo posto da titolare, vista anche la lunghissima militanza, non può a mio parere essere messo in discussione. Frank Swift, il suo precedessore, ha giocato in un’epoca che si perde nelle nebbie della storia (se parliamo di visibilità) ed è quindi più difficile da valutare. L’odierno estremo difensore Ederson, pur essendo a mio parere valido sia con le mani che con i piedi (tanto che lo chiamerei Jangbloedson), non rientra tuttavia nel novero dei campionissimi del ruolo e può quindi accomodarsi in panchina. Altro nome che merita una citazione è quello di Joe Corrigan, estremo difensore del primo City che si conquista un posto in cielo, longevo e affidabilissimo fino agli anni ’80, forse uno dei giocatori più rappresentativi della storia del City, ma credo comunque tecnicamente inferiore al fuoriclasse tedesco.

Terzino destro: Tony Book

Uno dei giocatori più amati dai tifosi Citiziens, Tony Book è arrivato tardi al grande calcio (quando aveva 32 anni), ma grazie alle grandi doti agonistiche e temperamentali è stato il perno laterale destro del grande City capace anche di vincere in Europa tra fine anni ’60 e inizo anni ’70, nonché un leader encomiabile per abnegazione e grinta, un vero capitano e il primo giocatore a essere riconosciuto come “City’s Player of the year“. Lo inserisco nella formazione titolare anche per il suo ruolo iconico. Difficile stabilire se Pablo Zabaleta, ottimo fluidificante spagnolo, sia stato più o meno bravo di lui: Zalabeta è in ogni caso uno degli uomini cardine della rinascita del City anni ’10 e merita come minimo una menzione. Probabile peraltro che a fine carriera Kyle Walker avrà superato sia lo spagnolo sia Book: per il momento lo escludo solo perché la sua avventura in maglia blu è ancora in pieno svolgimento e Book rappresenta un tassello fondamentale della storia del City.

Centrale difensivo: Vincent Kompany

Per i suoi tifosi e per i giovani del City Kompany è un’ispirazione e un’istituzione: colosso centrale che veste la maglia blue per undici stagioni, Kompany è la colonna portante del primo grande ciclo del City nel nuovo millennio, nonché, almeno per qualche stagione, uno dei migliori centrali del mondo. Il belga più mancuniano che sia mai esistito non può che essere il centrale difensivo titolare della squadra. Al suo fianco, come solida alternativa, ritengo di menzionare Paul Power, nomen omen, capitano coraggioso e sfortunato di uno dei City meno competitivi di sempre, ma tuttora giocatore amatissimo sulla sponda blu del fiume Irwell. I suoi 11 anni di battaglie sui difficili campi inglesi dell’epoca gli valgono una meritata citazione.

Centrale difensivo: Mike Doyle

Il Kompany della sua epoca: Mike Doyle è stato il muro del primo grande City, una leggenda che veste la maglia blue per 448 volte, costruendosi una reputazione da hardman spigoloso ma corretto. capace di vincere da protagonista una Coppa delle Coppe, un campionato e per due anni il premio riservato al giocatore dell’anno in maglia azzurra. Il posto da titolare in difesa, a mio parere, gli spetta di diritto (per quanto abbia giocato anche come centrocampista). Riserve di lusso di Doyle possono essere a mio parere Dave Ewing, ritenuto dai suoi tifosi uno dei centrali migliori della sua epoca, e Rúben Dias, l’attuale leader della difesa di Guardiola, premiato come giocatore dell’anno in Premier nel 2021, a conferma delle sue grandi doti sia difensive che tecniche. Tommy Booth è un altro giocatore che è doveroso citare in questa sede e che non sfigurerebbe come titolare: gioca a Manchester per quindici stagioni, colleziona 345 presenze condite da 25 reti ed è titolare di alcuni dei migliori City all time.

Terzino sinistro: João Cancelo

Nel caso di Cancelo faccio uno strappo alla regola e inserisco tra i titolari un giocatore la cui carriera è oggi in pieno svolgimento; nonostante alcune amnesie difensive, Cancelo è un giocatore totale più che un terzino, una sorta di Paul Breitner latino, più incline al vezzo e meno grande e poderoso del tedesco, ma comunque in grado di rappresentare per la sua squadra una risorsa inesauribile anche sul piano tattico (Cancelo è davvero un uomo-ovunque). Voto lui anche perché le alternative non fanno stropicciare gli occhi: l’eclettico e affidabile Glyn Pardoe merita sicuramente una menzione ma non è mai stato, probabilmente, un giocatore della statura del portoghese. Giusto in ogni caso menzionare anche un gran giocatore come Aleksandar Kolarov, protagonista del City per diverse stagioni e vincitore – da titolare – dei primi titoli del nuovo millennio.

Mezzala destra: Kevin De Bruyne

Nel corso della sua storia, il City ha avuto la fortuna di schierare numerosi grandi centrocampisti. Credo però che già oggi De Bruyne possa essere ritenuto il migliore: il fuoriclasse belga è l’uomo cardine e il leader universale del City dal 2017 a oggi, un tuttocampista capace di segnare come una punta e di ergersi una spanna sopra compagni e avversari, spesso anche in Europa. Al suo fianco in ogni caso deve accomodarsil Alan Oakes, altro campione e primatista assoluto di presenze con la maglia del City, un guerriero dai piedi buoni che gioca con il City (a volte anche come difensore) 556 partite e che è un tassello fondamentale della squadra degli anni ’60 e ’70.

Centromediano: Yaya Touré

Anche qui non servono molte spiegazioni: il gigante ivoriano è il vero fuoriclasse del City nella prima metà degli anni ’10, un mediano capace di giocare anche da mezzala/trequartista (straordinaria la sua stagione 2013/2014, in cui mette a referto 20 reti) e da stopper, la cosa più vicina a Rijkaard vista in campo dopo Rijkaard. Tra i massimi calciatori africani di sempre, Touré è anche uno dei primissimi campioni della storia del City e non può che essere il titolare della formazione all time degli azzurri. Non mancano comunque le alternative di lusso: Fernandinho è stato un mediano e regista difensivo di classe superiore e ha fornito un grande contributo al City degli anni ’10, vincendo in 5 occasioni la Premier. Al suo fianco, può già sedersi lo spagnolo Rodri, l’erede designato di Busquets, mediano tuttofare abile in entrambe le fasi e di grande intelligenza tattica, già da qualche stagione perno del team di Guardiola.

Mezzala sinistra: Colin Bell

Reputato a lungo il miglior giocatore della storia del City, Colin Bell oggi probabilmente deve cedere il passo a Kevin De Bruyne, ma rimane uno dei giocatori inglesi più grandi della sua epoca, un Charlton un po’ minore, un tuttocampista di gran magistero e dai piedi educati attorno al quale è stato costruito il City migliore dell’era pre-scieicchi. Colin veste la maglia del City in 394 occasioni e segna 117 reti, ma è soprattutto il trascinatore della squadra negli anni dei successi nazionali e internazionali, e anche un perno della nazionale. Giusto fare anche il nome di Bernardo Silva, un Iniesta minore e di nazionalità portoghese, un campione che con le sue doti di palleggio, di dribbling e la capacità di inserirsi nell’area avversaria ha già lasciato un segno importante nella storia degli azzurri e può dare ancora un contributo notevole, così come è giusto citare İlkay Gündoğan, grande campione tedesco di origini turche che non ha bisogno di presentazioni, che può giocare anche come centromediano e che segna come una punta.

Trequartista/ ala destra: David Silva

L’autore di questo pezzo è convinto che David Silva sia uno dei giocatori più sottovalutati della sua epoca: schiacciato dal peso dei due genietti di Barcellona in nazionale e dal dualismo con Touré prima e con De Bruyne poi al City, non ha sempre ricevuto gli elogi che avrebbe meritato. Silva è stato però un giocatore eccezionale sul piano tecnico, un artista del pallone e uno dei cardini di due cicli del City, tanto che non manca in Inghilterra chi lo reputa anche superiore a Colin Bell e a De Bruyne in maglia blue. Io mi limito a riservagli un posto da titolare in questa formazione, che ritengo sia indiscutibile: trequartista sui generis, ala o seconda punta fa poca differenza, David Silva era pura classe al servizio del collettivo e ha fatto la differenza in un calcio che, sulla carta, avrebbe dovuto penalizzare un atleta non troppo prestante come lui (ma lui se n’è fregato completamente). In alternativa, sul fronte destro e impostato come ala classica, credo si possa già oggi nominare Riyad Mahrez, da cinque anni titolare o quasi fisso della squadra e uno dei grimaldelli con cui Guardiola prova a scardinare le difese avversarie, autore peraltro di molti gol pesanti anche in Europa e giocatore di spessore internazionale.

Centravanti: Sergio Agüero 

Facile che nell’arco di due o tre stagioni questa posizioni diventi proprietà esclusiva di un gigante norvegese che segna come se giocasse tra i pulcini, ma a oggi nessuno può usurpare il trono del Kun, il miglior attaccante puro della storia dei Citiziens, una macchina da gol che per anni ha fatto strage di difese nel campionato inglese e anche in Champions, pur mancando quasi sempre il colpo decisivo nelle partite europee. La sua continuità sotto porta, il suo contributo decisivo a numerosi titoli nazionali e la sua classe da Romario minore in ogni caso lo collocano in una dimensione diversa rispetto a un campione come Mike Summerbee, che resta l’unica vera alternativa al Kun, un centravanti sui generis che ha giocato anche in altri ruoli e che è stato a lungo l’idolo incontrastato dei suoi tifosi, e anche rispetto al pur valido Gabriel Jesus, altro centravanti “piccolo” ma molto dotato tecnicamente e veloce, che però non è comparabile all’argentino sul piano strettamente numerico e spesso è stato una riserva di lusso. Per completezza, ritengo doveroso citare anche Don Revie (esatto, quel Don Revie), centravanti britannico classico e vecchio stampo, che non disdegnava il ricorso alle maniere forti, non molto prolifico (37 reti in 5 stagioni), ma utile soprattutto nel lavoro di sponda e di apertura degli spazi. Aggiungo, per quanto il suo nome possa stonare in questa lista, anche Mario Balotelli, che ha fatto la brutta fine che conosciamo, sul piano sportivo, ma che a Manchester ha comunque disputato un paio di stagioni da gran giocatore, contribuendo allo storico successo del 2012.

Ala sinistra: Francis Lee

Altro simbolo del primo grande City del dopoguerra, Francis Lee era un attaccante mobile e dalla vena inesauribile che con la maglia azzurra ha messo a referto 112 reti in 248 partite, vincendo da protagonista tutto ciò che i suoi hanno vinto durante la prima età dell’oro. Se parlassimo di mero valore del giocatore, al suo posto dovrebbe figurare Carlos Tévez, che a Manchester sponda blue gioca quattro stagioni (quasi) e sempre a un livello molto alto; ho però preferito valorizzare il ruolo storico e simbolico di Lee. Al loro fianco, come alternativa di lusso, ritengo doveroso ricordare il George Best dei poveri Rodney Marsh, colosso di Hatfiled tutto genio e sregolatezza che incanta con le sue prodezze da mago e le sue mattane i tifosi Citiziens per alcune stagioni. Credo infine che il ruolo di seconda punta sarà presto appannaggio esclusivo di Phil Phoden, ma data la sua giovanissima età non reputo possa già essere titolare di una formazione all time.

Seguici

Altre storie di Goals

Euro 1976: semifinale Cecoslovacchia-Olanda

Né Olanda né Germania Ovest: le due favorite dell’Europeo 1976 devono arrendersi alla sorpresa Cecoslovacchia. La nazionale dell’Est mette in fila prima gli olandesi in

Questo sito utilizza cookies per migliorare la tua navigazione, se procedi nella navigazione ne accetti l'utilizzo.