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L’evoluzione del calcio inglese (1960 – 1970): con il 4-4-2 (e senza ali) sul tetto del mondo

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L’evoluzione dei club: un movimento in pieno fermento

Dopo gli Anni Venti, gli Anni Sessanta sono stati il secondo decennio cruciale nell’evoluzione del calcio inglese. In questi dieci anni, infatti, le squadre inglesi abbandonano il vecchio WM inventato da Herbert Chapman per riconvertirsi al 4-4-2, sistema di gioco che di fatto sarà egemone fino agli Inizi degli Anni Duemila quando la nuova scuola di allenatori iberica dei vari José Mourinho, Rafa Benitez (fino ad arrivare ad oggi con Pep Guardiola) rimetterà in discussione due canovacci tipici del calcio d’oltremanica: il centrocampo disposto su una sola linea e le due classiche punte. Gli Anni Sessanta sono anche un decennio particolare perché il calcio inglese passa nel giro di pochi anni da un calcio molto arioso e offensivo ad uno più cinico e difensivo, più vicino alla sua tradizione. Spartiacque fondamentale, come vedremo, saranno i mondiali vinti in casa nel 1966.   

Nei primi Anni Sessanta domina la scena una delle squadre più belle e vincenti della storia del calcio inglese (è la prima compagine inglese a conquistare il “double” nel XX secolo), il Tottenham di Bill Nicholson. Quest’ultimo aveva ereditato la panchina da Arthur Rowe, l’ideatore del cosiddetto “push and run” cioè un gioco fatto di triangolazioni palla a terra che sostituiva il classico gioco diretto in voga fin dai tempi dell’Arsenal di Chapman. Nello schema offensivo ad M ideato da Nicholson le ali Jones e Dyson giocano già a piedi invertiti e vengono spesso dentro al campo sostituendosi spesso ai centrocampisti. In attacco White gioca come rifinitore per le due punte mobili Smith ed Allen (rimpiazzato dal novembre del 1961 dal fuoriclasse Jimmy Greaves, che ritorna in Inghilterra dopo l’infausta parentesi milanese). Il punto di forza della squadra di Nicholson però è probabilmente la mediana: il nordirlandese Danny Blanchflower e lo scozzese Dave Mackay, infatti, sono due giocatori complementari che sanno abbinare quantità e qualità come pochi.

Il Tottenham festeggia l’F.A. Cup nel 1961

Nel 1962 il Tottenham vince la sua seconda FA Cup battendo il Burnley, una delle più belle realtà del calcio inglese a cavallo tra gli Anni Cinquanta e gli Anni Sessanta, squadra già vincitrice a sorpresa del campionato nella stagione 1959/60. Il Clarets di Harry Potts utilizzano un WM più classico come schema base, ma praticano anch’essi un calcio veloce e palla a terra pur non disponendo di grandissimi singoli, la particolarità del Burnley sono la spinta costante sulle fasce dei terzini Angus ed Elder, una novità per l’epoca che lascerà il segno nel calcio d’oltremanica.

Nella stessa stagione a trionfare in campionato è la sorpresissima Ipswich Town, compagine che in cinque anni è passata dalla Terza Divisione fino ad issarsi sul tetto d’Inghilterra. A guidare la squadra dell’Essex un personaggio chiave della storia del calcio inglese, Alf Ramsey, ex terzino del Tottenham di Rowe che alla guida dei Blues riutilizza in chiave pragmatica alcuni concetti rivoluzionari del Tottenham. La difesa è sempre di stampo sistemista con tre difensori in linea e due mediani, l’attacco però ricalca la M del Tottenham ma con modalità diverse: l’ala sinistra Leadbetter è finta, sul modello del brasiliano Zagallo bicampione del mondo nel 1958 e nel 1962 con la Seleçao; in realtà è un mediano che gioca sulla sinistra con compiti di pura copertura, l’interno sinistro Phillips è invece una seconda punta che gioca al fianco del centravanti Crawford, la classica torre del calcio d’oltremanica. Rispetto al Tottenham la squadra di Ramsey gioca un calcio più difensivo e diretto che però, in un ambiente conservativo come quello del calcio inglese, funziona e paga. Grazie a questo incredibile successo Ramsey dall’anno successivo diverrà CT della Nazionale inglese che sotto la sua guida consocerà una delle pagine più luminose della sua storia ultracentenaria.

Una formazione dell’Ipswich Town campione d’Inghilterra nel 1961/62

Gli Anni Sessanta sono però centrali nella ridefinizione di quelle gerarchie del calcio d’oltremanica che la Seconda Guerra Mondiale aveva spazzato via. Se il Manchester United, grazie all’instancabile lavoro del suo guru Matt Busby ritorna in auge grazie al trio d’oro Best-Charlton-Law fino a conquistare a Coppa dei Campioni nel 1968, due squadre emergono dai bassifondi della Second Division con stili diametralmente opposti, parliamo del Liverpool e del Leeds United, due squadre che si affrontano nella finale di FA Cup del 1965, una delle prime del calcio inglese moderno. Il Liverpool di Bill Shankly, che fino alla stagione 1961/62 militava nella Second Division, è una delle prime squadre ad adottare la linea a quattro in difesa (Tommy Smith è lo sweeper con un’inedita maglia numero dieci) e la trappola del fuorigioco, mutuata dai belgi dell’Anderlecht, avversari in Coppa dei Campioni nel 1964.

Il Leeds United, allenato da un’altra figura chiave nell’evoluzione del calcio inglese della decade precedente, parliamo di Don Revie (ex centravanti di manovra del Manchester City), al contrario è una squadra che gioca con il baricentro molto basso e in questo modo esalta la fisicità dei suoi due centrali difensivi, Jack Charlton e Norman Hunter. Ciò che è davvero rivoluzionario del Leeds, più che il suo gioco “bread and butter”, è la mentalità che il discusso Revie ha saputo inculcare ai suoi giocatori. Il Leeds, infatti, è una squadra mentalmente fortissima che approccia ogni gara come una guerra in una sorta di resultadismo in salsa inglese. Non è un caso che nella seconda metà degli Anni Sessanta, pur vincendo relativamente poco, il “Dirty Leeds” arrivasse sempre in fondo sia in coppa che in campionato.

Una fase eloquente della finale di F.A. Cup del 1965: il “Dirty Leeds” a difesa della sua porta contro il Liverpool

Tuttavia sono altre le squadre emergenti nella seconda metà degli Anni Sessanta, ognuna con il suo stile particolare. Il West Ham di Ron Greenwood, vincitrice della FA Cup nel 1963/64 e della Coppa delle Coppe nel 1964/65, è la formazione che con i vari Bobby Moore, Martin Peters e Geoff Hurst formerà l’ossatura della selezione di Ramsey campione del mondo. Gli Hammers sono soliti impostare il gioco partendo dalla difesa perché lo sweeper Moore spesso scala a centrocampo sventagliando palloni verso l’attacco anticipando un po’ lo stile rivoluzionario di Beckenbauer, anche se con un raggio d’azione più limitato. Il West Ham inoltre è squadra abilissima a sfruttare il gioco aereo cercando il movimento sul primo palo di Hurst. Un’autentica novità perché tradizionalmente, da Chapman in poi, le squadre inglesi tendevano ad attaccare sempre il secondo palo.

I giocatori del West Ham festeggiano la Coppa delle Coppe nel 1965.

L’Everton di Harry Catterick invece è una delle prime squadre ad adottare il 4-3-3 (modulo scarsamente utilizzato oltremanica) per sfruttare al meglio la “Holy Thrinity” del centrocampo formata da Alan Ball (campione del mondo nel 1966), Howard Kendall e Colin Harvey, quest’ultimi leggendari anche da allenatori quando negli Anni Ottanta rinverdiranno i fasti dei Toffees con un secondo ciclo di vittorie sia in campo nazionale che europeo. Il Manchester City di Joe Mercer è, alla pari dei cugini dello United, una squadra che ha il merito di saper far coesistere diverse individualità di spessore nel suo undici: il tuttocampista Colin Bell, le punte Mike Summerbee e Francis Lee. Lo stesso discorso può essere esteso anche al Chelsea del giovane Dave Sexton, uno dei tecnici più innovativi del periodo. Una squadra che rappresenta una sorta di “Giano Bifronte” del calcio inglese: organizzata e granitica in difesa, la squadra londinese fa molto movimento a centrocampo e con il centravanti di manovra Peter Osgood, il vero fuoriclasse della squadra assieme al portiere di origini ticinesi Peter Bonetti, soprannominato “The Cat”.

Il replay della finale di FA Cup del 1970 tra Leeds United e Chelsea, uno dei match più brutali della storia del calcio, rappresenta un po’ la cartina di tornasole di quanto si sia involuto il calcio inglese in senso violento, ostruzionistico ed antisportivo. In quell’agonica sfida, terminata 4 a 3 per il Chelsea, l’arbitro aveva ammonito solamente un giocatore, con i regolamenti di oggi come ha candidamente ammesso il popolare arbitro Michael Oliver, ci sarebbero state almeno undici cartellini rossi! La media gol ci può aiutare a comprendere quest’involuzione in senso conservativo del calcio inglese: nella stagione 1963/64 il Liverpool di Bill Shankly vince la First Division con la media di 2,1 gol a partita, media che scenda a 1,5 nella stagione 1968/69 quando a trionfare è il Leeds di Don Revie, tutto questo nel giro di soli cinque anni!

L’evoluzione della nazionale: dal 4-2-4 al 4-4-2 senza ali

Ultima ma non meno importante un piccolo cenno all’evoluzione tattica della nazionale: se nei club inglesi la tendenza è conservatrice, la selezione dei Tre Leoni al contrario si è dimostrata molto aperta alle novità provenienti dall’estero ed è stata anche grazie all’innovazione a all’anticipo sui tempi che nel 1966 Bobby Moore e compagni alzeranno la Coppa Rimet al cielo.

Il 26 ottobre 1960 è una data importante nella storia della Nazionale inglese: i Three Lions, infatti, scendono in campo per la prima volta con uno schieramento tattico diverso dal canonico WM di Chapman, utilizzato fin dai primi Anni Trenta dalle casacche bianche. Il CT “fantoccio” Walter Winterbottom schiera i suoi uomini con un inedito 4-2-4 sul modello del Brasile campione del mondo nel 1958. A differenza del 4-2-4 brasiliano, che si basava sullo scaglionamento a diagonale in fase difensiva, con un solo tornante di ruolo (Zagallo), nel 4-2-4 di marca inglese tutte e due le ali di fatto agiscono come tornanti in fase difensiva formando così quel 4-4-2 che per decenni rappresenterà il marchio di fabbrica del football britannico. In difesa lo sweeper, il libero, è Ron Flowers del Wolverhampton che contro la Spagna gioca per la prima volta in linea con lo stopper Swan con licenza di avanzare a centrocampo.

Inghilterra – Spagna, amichevole dell’ottobre 1960, la prima volta con il 4-2-4.

È sotto la gestione Ramsey che però avvengono i cambiamenti più radicali. Il nuovo tecnico non solo diventa il primo commissario tecnico che personalmente sceglie i giocatori da convocare (sotto la gestione Winterbottom le convocazioni venivano fatte da un oscuro comitato di burocrati della F.A.) e che si porta con sé uno staff di medici e massaggiatori scelti personalmente, ma dà inizio ad un’autentica rivoluzione anche nello stile di gioco. Siccome Ramsey è conscio che la sua Nazionale non ha più sulle ali giocatori che creano sistematicamente la superiorità numerica del calibro di Stanley Matthews e Tom Finney, per rendere più prevedibili gli attacchi decide di far giocare i suoi esterni offensivi per vie interne, dentro al campo, sul modello del suo vecchio mastro Arthur Rowe. Saranno i terzini così a sovrapporsi alle ali per vie esterne (Jimmy Armfield è stato uno dei primi specialisti in ciò) creando così sistematicamente la superiorità numerica sulle corsie.  

Nei mesi antecedenti al mondiale casalingo del 1966 Ramsey inizia a “tagliare” le sue ali: nel maggio 1966 in un’amichevole contro la Jugoslavia schiera all’ala sinistra Martin Peters, polivalente mediano del West Ham di Greenwood. Insoddisfatto dalle prestazioni nel girone eliminatorio delle ali Callaghan e Paine, nel match dei quarti di finale contro l’Argentina (già schierata da Juan Carlos Lorenzo con un 4-4-2 con il rombo di centrocampo) Ramsey utilizzerà una falsa ala anche sulle fascia destra, cioè l’interno box to box Alan Ball, altro giocatore polivalente capace di ricoprire tutti i ruoli di centrocampo. La formazione tipo è la seguente: Banks in porta, Cohen e Wilson terzini con licenza di trasformarsi in ali pure, al centro della difesa Jack Charlton stopper centrale con il capitano Bobby Moore che gioca nel ruolo di sweeper con facoltà di aggiungersi al centrocampo in fase di costruzione. A centrocampo quattro elementi in linea (o quasi): in mezzo il cagnaccio Nobby Stiles sul centrodestra gioca più arretrato, talvolta in marcatura sul dieci avversario, con Bobby Charlton che invece agisce sul centrosinistra da box to box universale; sulle fasce a destra Ball e a sinistra Peters agiscono prevalentemente in copertura. Davanti restano così solo due punte, lo sgobbone Hunt e il cecchino Hurst che attacca il primo palo.

La famosa scena in cui Alf Ramsey vietò ai suoi giocatori di scambiare la propria maglietta con i loro omologhi argentini.

La finale contro la Germania, al di là delle polemiche arbitrali, vede un’Inghilterra battere i tedeschi proprio grazie a queste nuove armi tattiche. I tedeschi sono impostati con il libero staccato e le marcature a uomo, mentre l’Inghilterra gioca con il suo nuovo 4-4-2. Il primo gol nasce su un lungo lancio di Bobby Moore, salito a centrocampo, verso la testa di Geoff Hurst che si smarca con successo sul primo palo. Stesso copione sul terzo, discusso gol fantasma: Ball si libera dalla marcatura del terzino sinistro Schnellinger e crossa per Hurst, altro smarcamento sul primo, questa volta il centravanti calcia di collo con il pallone che rimbalza prima sulla traversa e poi (aldilà o aldiquà) della linea di porta. Le discussioni sugli arbitraggi e sugli episodi fortunati non devono quindi offuscare il merito di Ramsey e dei suoi uomini: l’Inghilterra è stata probabilmente la squadra più futuribile ed innovativa della rassegna che non solo ha “inventato” un sistema di gioco (il 4-4-2) ma che ha anche saputo dare una precisa svolta atletica al calcio, in linea con i cambiamenti del tempo.

La rosa della Nazionale inglese in posa con la Coppa Rimet

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