Nordahl e Dirceu: morti nello stesso giorno, il 15 settembre 1995
Una storia che non viene dalle Vite Parallele di Plutarco. Nulla di romanzesco o d’inventato. Due persone che quasi certamente non si sono mai conosciute e che da vive hanno avuto in comune solo l’amore per il calcio. Caratteri opposti, temperamenti diversi, epoche calcistiche differenti. Una sorta di ipotetico “Attenti a quei due”, immaginando sulla parte sinistra dello schermo la vita di Nordahl e a destra quella di Dirceu. O anche viceversa, fa lo stesso. La morte, all’improvviso. Stesso giorno, stesso anno, poche ore di differenza.
Notizia shock
Il 15 settembre 1995 è venerdì e nel giro di poche ore arrivano nelle redazioni sportive di tutto il mondo due notizie piuttosto simili. Ad Alghero, una persona di nazionalità svedese è stato colpito da un infarto fulminante nel mezzo di una tranquilla nuotata in piscina. L’uomo, che avrebbe compiuto 74 anni il mese successivo, è Gunnar Nordahl, centravanti del Milan negli anni ’50. Uno dei più grandi goleador nella Serie A di ogni tempo si trovava in Sardegna per una breve vacanza.
Cambio repentino di scena. Brasile, Rio de Janeiro. Un uomo che stava facendo una gara illegale con la propria macchina, prende in pieno una vettura regolarmente parcheggiata con qualcuno all’interno. Due le vittime: un imprenditore italiano in viaggio d’affari e l’ex campione brasiliano Dirceu, 43 anni.
Lui
La storia di Nordahl è per certi versi l’emblema stesso di un calcio, quello italiano, in ricostruzione rispetto alle macerie della seconda guerra mondiale. Un calcio che deve far sognare la gente, che serva a far dimenticare orrori e miserie di un tempo da mettersi alle spalle, e anche in fretta. Classe 1921, il futuro attaccante rossonero nasce a Hornefors, un paesino della Svezia settentrionale che guarda il Circolo Polare Artico anche senza il cannocchiale. I quattro fratelli giocano tutti a calcio ma nessuno di loro assomma il talento e la forza fisica di Gunnar. Fa il centravanti perché ama segnare e lo fa talmente bene che, ancora minorenne, passa al Degerfors in prima divisione. Quattro stagioni e poi si trasferisce al Norrköping. Il salto di qualità a buon mercato. Accetta il passaggio in cambio di un lavoro stabile. Ha 23 anni e lo assumono come pompiere, grado di caporale. È un ragazzo gentile nei modi e riservato di carattere ma a trovarselo di fronte incute una certa soggezione, sia in campo che fuori. E’ un corazziere di un metro e novanta d’altezza per novanta chili di peso, l’agglomerato di muscoli e buona tecnica individuale sembra nato per scardinare le difese avversarie. Lo fa in modo sempre corretto ma inesorabile. Nel Norrköping segna 93 gol in 95 partite. Passare inosservati non è proprio possibile.
L’altro
José Guimaraes Dirceu ha caratteristiche fisiche e tecniche del tutto diverse ed è uno dei migliori talenti brasiliani degli anni ‘70. Fra i due ci sono trent’anni di differenza e la probabilità che nella vita Nordahl e Dirceu non si siano mai incontrati è piuttosto elevata. Dirceu ha tocco di palla, ha classe, ma sa anche contrastare a centrocampo quando serve. E possiede un tiro micidiale, potente e spesso carico d’effetto a rientrare. Ne sa qualcosa Dino Zoff ai Mondiali del 1978. Per via di una passione condivisa da entrambi, suo padre lo spinge a fare il calciatore. Anche la famiglia Nordahl è contenta che Gunnar abbia trovato la propria strada e il figlio ripaga con un rendimento che gli apre le porte della Nazionale scandinava. All’Olimpiade di Londra del 1948 la Svezia vince la medaglia d’oro nel calcio e quel centravanti enorme ed efficace è capocannoniere del torneo. L’Olimpiade è il palcoscenico che lo rende visibile anche agli osservatori italiani e il Milan è il primo a concludere l’affare. Il ragazzo parte da Norrköping e scende alla Stazione Centrale di Milano il 22 gennaio 1949, a campionato già avviato. All’arrivo, migliaia di tifosi urlano e sventolano bandiere rossonere. Presi dall’entusiasmo, alcuni di loro assalgono il vagone. Vetri in frantumi, parecchi feriti. Cinque giorni dopo il nuovo acquisto esordisce, la partita è Milan-Pro Patria. È un derby lombardo e la difesa della squadra di Busto Arsizio sarà la prima vittima del bomber venuto dal ghiaccio. Finisce 3-2 per i rossoneri.
Opposti
C’è un aspetto ricorrente nelle scelte del centrocampista brasiliano: la voglia di cambiare, di trovare ogni volta nuovi stimoli. Anche nel calcio, soprattutto nel calcio. Non è un caso se lo chiamano “lo zingaro”. Va in un posto, si trova bene, il pubblico di casa lo ama ma dopo un po’ lui sente bisogno d’altro. In un decennio da professionista nel suo Paese cambia maglia quattro volte. Inizia nel Coritiba, squadra della capitale dello Stato Federale del Paranà. Dopo tre anni cambia aria e va a giocare a Rio de Janeiro, nel Botafogo. Differenti ritmi di vita, di stile individuale, di aspettative generali, potrebbero sconvolgere chiunque. Lui è Dirceu ovunque vada e ovunque è acclamato. Non ha radici, non le sente. Dunque può stare dappertutto e non per mancanza di carattere o di gusto. E anche quando rimane stanziale a Rio, dopo un po’ vuole vedere cosa c’è più in là. Veste la maglia della Fluminense e poi quella del Vasco da Gama. Sempre protagonista, sempre faro del centrocampo, unendo quantità in copertura e qualità nella proposta di gioco. Nordahl invece, le radici le sente, e come. La Svezia gli manca ma è un professionista serio e poi a Milano si trova piuttosto bene. Anche perché ha con sé la famiglia e gioca nella stessa squadra di due connazionali di straordinario valore: con Gunnar Gren e Nils Liedholm si troverebbe bene chiunque. Il trio viene ribattezzato Gre-No-Li e rappresenta un asse verticale che in quel momento pochi al mondo potrebbero vantare. Gren e Liedholm pensano e costruiscono, Nordahl finalizza e trasforma in oro. Lavora e segna, Nordahl. Con consapevolezza di sé e perenne umiltà, ma senza falsa modestia. Come è giusto che sia, la modestia è per i modesti e lui è decisamente un campione.
Uno resta, l’altro va
Nella carriera italiana Nordahl vince due scudetti e cinque classifiche cannonieri. Al momento, l’unico che può eguagliare la “manita” da re dei bomber è il laziale Ciro Immobile. Una valanga di gol, 210 con il Milan in otto stagioni. Poi, a 36 anni il centravanti svedese passa alla Roma e in due anni ne fa altri 15. A un certo punto decide che è arrivato il momento giusto e smette. Dirceu invece vuol vedere il mondo e il calcio è il lasciapassare: va in Messico ma la curiosità dura un anno. Non si sa se sia lui a voler partire o se sia l’América di Città del Messico a dargli il benservito, tant’è. Valigie pronte, stavolta per un’avventura in Europa. L’Atletico Madrid lo attira. In Spagna però non andrà benissimo, anche a causa di qualche infortunio. Dopo il Mundial 1982 il campione brasiliano si stabilisce in Italia. Campionato di valore, buoni ingaggi. Ha 30 anni e il Verona si assicura le sue prestazioni. Diventa l’idolo della tifoseria, tanto che si dirà: “Verona è la città di Giulietta e Dirceu”. Ma anche stavolta nulla è per sempre, anzi in Veneto resta un anno. Un po’ per via di qualche disaccordo con il mister Bagnoli, un po’ perché Napoli, come città e come squadra, gli si addice di più. Tanto per cambiare, anche a Napoli dura una stagione, ma non per demeriti personali. Semplicemente l’anno successivo deve fare spazio a Maradona. Il rendimento è sempre buono ma per un motivo o per l’altro Dirceu non riesce a fare due campionati nella stessa squadra. Indole poco incline alle regole? Carattere complicato? Dicono di sì. Tutto il contrario di Nordahl, uno che si è costruito intorno al metodo e all’applicazione. Nel giro di pochi anni il brasiliano si accasa all’Ascoli, poi al Como e infine all’Avellino. Dopodiché si ripresenta al Vasco da Gama, poi va a giocare negli Stati Uniti, sotto il sole di Miami.
Le morti parallele
Alla fine degli anni ’80 Dirceu è un signore prossimo alla quarantina ma non ha ancora smesso di giocare. Nordahl, quasi settantenne, è tornato da tempo in Svezia. Viene in Italia di rado, più che altro in vacanza. Dicono che gli piaccia molto la Sardegna. Invece a Dirceu sta bene anche la serie D italiana, pur di giocare ancora. L’Ebolitana fa di lui un calciatore onorario e per la prima volta José, come lo chiamano tutti, riesce a giocare in una squadra di casa nostra per più di un campionato. Poi riprende a girare ma la distanza stavolta è breve. Tra Eboli e Benevento ci sono appena un centinaio di chilometri. Dopo una parentesi fugace in Messico con l’Atletico Yucatan, perfino lui dice basta. Torna a Rio e stavolta vuole rimanervi. È proprio nella Capitale che un giorno di settembre di ventisei anni fa una macchina che va a velocità folle non evita la Porsche dell’ex campione e la centra senza dare scampo a chi era dentro. Uno scherzo del destino, dirà qualcuno. Forse quello stesso destino che finisce con l’accomunare per sempre due vite e due persone, Nordahl e Dirceu, che più diverse non avrebbero mai potuto essere.