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Le contrapposizioni ideologiche e di stile tra calcio e… letteratura

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Non è facile immaginare e scrivere un romanzo giallo solido ed efficace, e che sappia catturare l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima sillaba. Servono pazienza, maestria, un intuito fuori dal comune, una profonda conoscenza dei meccanismi narrativi del genere e delle loro trappole, una penna che conosca a fondo il mestiere.

La marea di gialli che inonda il mercato letterario da decenni è composta in larga misura da prodotti di consumo, ora gradevoli, ora molto banali, ma esistono anche le eccellenze: Conan Doyle, Simenon, Chandler, Agatha Christie e volendo anche Camilleri sono autori che si inseriscono nel canone del giallo e che lo perfezionano, lo sublimano, lo trasformano in un linguaggio profondamente personale. Si parla sempre di gialli, ma sarebbe un errore farne un calderone unico: l’intelligenza e lo stile di Simenon o della Christie consentono loro di comprendere le regole e la struttura del genere in maniera più profonda e accurata rispetto alla quasi totalità degli altri giallisti, e di pubblicare così veri e propri capolavori, opere che in qualche modo codificano l’essenza del filone, ne distillano il meglio.

La celeberrima e grandissima Agatha Christie

Anche nel calcio esistono i giallisti un po’ dozzinali e coloro che invece trasfigurano il giallo, pur senza snaturarlo. Tutti rispettano il canovaccio tipico del genere, ma il grado di conoscenza e di manipolazione dei suoi meccanismi varia e decide della qualità del lavoro, della sua efficacia. Mourinho, Ancelotti, Rocco, Capello, Allegri, sono l’equivalente sportivo dei giallisti più dotati e intuitivi. La loro capacità di leggere la partita e di intuirne gli sviluppi, che affonda le radici nelle loro qualità innate ma anche e soprattutto nell’esperienza e in doti di adattamento superiori alla media, li rende degli sceneggiatori superbi. I riflettori restano puntati sui fatti, sulla trama, sui suoi sviluppi, sul finale. Il giallo questo richiede e un grande giallista lo sa, può allargare le maglie della narrazione ma non puoi mai frammentarla o snaturarla, pena lo smarrimento dello scopo ultimo, del finale, del risultato.

Nereo Rocco, geniale stratega tattico

Muoversi all’interno di un perimetro conosciuto implica vantaggi e svantaggi: da un lato, ti consente di aggirare gli agguati tesi dall’ignoto e ti evita di perderti nelle nebbie dell’astrazione e della teorizzazione, dall’altro ti obbliga a un dosaggio sovrabbondante di idee e a sforzi supplementari per personalizzare il tuo linguaggio e renderlo davvero efficace. Se tutti scrivono romanzi gialli, scrivere un’opera che davvero si differenzi dalla media e che possieda qualcosa di unico diventa più difficile. Ancelotti, Mourinho etc.. sono maestri indiscussi del giallo sportivo: hanno assimilato le sue regole e i suoi valori non negoziabili, conoscono i suoi segreti e sanno farne uno uso saggio e astuto. Sanno disorientare gli avversari con una semplice mossa inattesa, con scacchisti astuti e attendisti solo quando la necessità lo impone. Per questo risultano cosi tremendamente efficaci, e per questo sottovalutarne le doti o invocarne – con tutta la frustrazione degli sconfitti – la fortuna è solo il sintomo di una scarsa comprensione delle loro abilità. Mentre i nemici imprecano contro il cielo, Ancelotti e Mourinho sorridono sornioni sotto la pioggia.

Alla letteratura che rispetta determinate convenzioni (al vastissimo filone dei gialli) si contrappone una letteratura che prova a metterle al bando, o quantomeno a superarle. Una letteratura per cui i fatti, la trama, l’efficacia finale sono subordinati a una visione diversa della parola e del senso del libro. Scrivere un testo che non si inserisca in un filone preciso e nei suoi canoni consolidati è molto difficile e soprattutto gonfia in maniera esponenziale il rischio di pubblicare qualcosa che non ha capo né coda; un’opera che, sfidando le convenzioni, si contorce in astrazioni incomprensibili e vanagloriose, che nella migliore delle ipotesi giustificano sciocchi elitarismi.

Anche qui sono indispensabili delle distinzioni, fermo restando che l’unanimità dei consensi, già difficile da ottenere per un giallista di fama, diventa una chimera per uno scrittore orientato all’astrazione: persino “Pasto Nudo“, “Infinite Jest“, “Underworld“, “2666” o “I racconti dell’arcobaleno” hanno armato eserciti dei detrattori, pronti a incasellare alla voce “pretenziosità” queste opere mastodontiche, coraggiose, del tutto anticonvenzionali e lontane anni luce dai canoni letterari consolidati. Per ogni “Underworld“, peraltro, esistono decine di opere che ambiscono alla sperimentazione e all’astrazione e che tuttavia risultano dei banali pasticci di idee presuntuose e di ambizioni mal riposte. Johan Cruijff e gli allenatori che si iscrivono nella stessa cerchia sono a mio parere l’equivalente sportivo (mi si perdoni la forzatura concettuale) di tutti i Don DeLillo del mondo: entrambi non si limitano ad amministrare con sapienza i canoni ma provano continuamente a imporne di nuovi (vedi la demolizione del dogma del ruolo, che anche oggi si evolve) alimentano un seguito occulto di devoti, che in molti casi però fraintendono le idee radicali poste a fondamento della sperimentazione, le banalizzano, le irrigidiscono e fanno più danni della grandine.

William Burroughs, autore di “Pasto Nudo”

Questa differenza di campo aiuta a illustrare, a mio avviso, anche i diversi esiti cui giungono le varie correnti di pensiero (fermo restando che non mancano punti di contatto, scambi reciprocamente proficui, fasi di rottura e fasi di assestamento in entrambi i filoni), quale che sia l’ambito in cui ci stiamo muovendo: sono rarissimi i romanzi gialli davvero rivoluzionari o capaci di rovesciare l’estetica e di imporre un nuovo canone letterario, così come sono rari, per i grandi giallisti, i flop. I fallimenti completi e le figuracce epocali fanno raramente parte del bagaglio di chi si muove all’interno di un territorio noto e sa amministrarlo.

Al contrario, i romanzi post-moderni (a volte, si parla di letteratura massimalista) sono in grado di aprire scenari nuovi, di profetizzare il futuro, di ridefinire il concetto di letteratura, e probabilmente attingono a una dimensione preclusa a chi non osa così tanto, ma d’altro canto i loro tracolli sono molto più fragorosi e gravi; i loro fallimenti fanno più rumore, anche perché suonano spesso come la campana a morto per le ambizioni un po’ presuntuose dello sperimentatore di turno.

Il terreno di mezzo è riservato quasi in via esclusiva a chi amministra, mentre chi inventa può toccare quel cielo irraggiungibile a chi tende a rispettare le convenzioni, ma d’altra parte rischia anche figuracce, errori e flop imarazzanti, che sono anche più frequenti dei successi.

Ecco perché risulta difficile assimilare i numerosi successi del Real Madrid dell’ultimo decennio a quelli del Barcellona o dell’Ajax degli anni ’70 (più grandi, capaci di riempiere gli occhi degli spettatori anche neutrali, di lasciare di stocco gli osservatori, di “spostare qualcosa nel cuore delle cose“), ed ecco perché il Real Madrid non subisce quasi mai umiliazioni che per il Barcellona sono invece diventate, suo malgrado, quasi pane quotidiano, quando le cose non funzionano. Mi rendo conto di forzare la mano, ma credo e spero che il succo del mio discorso possa essere intuito.

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