Il Sudamerica è pieno di porti. La storia del calcio in America Latina è in larga parte una vicenda portuale. Oltre alle più note metropolis di Buenos Aires, Montevideo e Rio de Janeiro, vale la pena ricordare come Barranquilla rappresenti il punto d’origine del calcio in Colombia, Guayaquil in Ecuador e Veracruz in Messico.
Anche Cile e Perù non fanno eccezione: in Cile il pallone, prima di attecchire a Santiago, ha fatto tappa a Valparaíso, un altro distretto marittimo che a quei tempi – siamo negli ultimi anni del 19esimo secolo – pullula di inglesi e scozzesi. È il più grande porto ad affacciarsi sul Pacifico visto che il Canal de Panamá è ancora in costruzione. Non che non vi fossero emigrati britannici anche a Buenos Aires o a Rio, ma Valparaíso è un caso a se stante: si tratta di una cittadina che in quel momento conta 160.000 abitanti, e la proporzione di inglesi e scozzesi – influenti – è davvero elevata. La scuola più rinomata della regione è la Mackay and Sutherland School, che deve il nome ai suoi fondatori, due scozzesi, Peter Mackay e George Sutherland. E sebbene sia opinione diffusa e corrente che il più antico club del paese sia il Valparaíso Football Club, nato nel 1885, nel 1882 la Mackay and Sutherland School aveva già creato una squadra di pallone, il Mackay and Sutherland Football Club. Non si tratta solo della formazione più antica del paese, bensì di tutto il continente. Precede la seconda, il Buenos Aires English High School, di qualche anno, dato che Watson Hutton, fondatore di quest’ultima, è sbarcato nella capitale argentina proprio nel 1882. Nel 1895 nasce la prima liga chilena, anche se di fatto si tratta di una liga porteña, perché le sei partecipanti sono tutte formazioni di Valparaíso. La liga porteña è di otto anni precedente a quella santiaguina, disputata esclusivamente tra club della capitale.
I punti in comune tra i due tornei sono diversi: i soci fondatori sono in prevalenza inglesi e scozzesi – anche se a Santiago alcuni sono creoli – così come la maggioranza dei calciatori che vi prendono parte. La matrice britannica è inoltre testimoniata da alcuni nomi ricorrenti tra le squadre quali Victoria o Wanderers. Tuttavia, questa doppia rappresentazione del calcio cileno si rivela ben presto fonte di conflitti: entrambe le associazioni si dichiarano cilene o nazionali, sebbene nessuna delle due lo sia per davvero: sono entrambe istituzioni cittadine. Nel 1909 l’Asociación de Foot-ball de Santiago confluisce nella Federación Sportiva Nacional – che per qualche ragione include al suo interno un termine italiano – e nel 1912 la liga di Valparaíso viene rinominata Asociación Atletica y de Foot-ball de Chile.
Solo qualche mese dopo le Olimpiadi di Stoccolma sono teatro di una delle più grosse controversie dello sport cileno: entrambe le associazioni inviano una squadra, ed il comitato organizzatore riconosce quella santiaguina. Questo ed altri dissidi portano il governo nel 1926 ad imporre la fondazione di un’unica federazione di respiro davvero nazionale nella quale sarebbero confluite tutte le formazioni del paese. Se a Buenos Aires il calcio porteño aveva conservato senza grossi problemi la sua egemonia, quello di Valparaíso aveva dovuto abdicare in favore di quello della capitale, più organizzato e trasversale.
In Perù è avvenuto un fenomeno analogo: Alexander ‘Alejandro’ Garland, un inglese arrivato a El Callao tra il 1872 ed il 1873, è dai più accreditato come l’esportatore del pallone nel paese. Ma nonostante né Cile né Perù siano mai state potenze calcistiche a livello internazionale o continentale – vantano complessivamente solo le due recenti vittorie nella Copa América ottenute dal Cile, poco in confronto ai successi di Brasile, Argentina ed Uruguay – entrambe si fregiano da decenni di aver inventato la giocata più spettacolare di questo sport: la chilena, secondo i cileni o la chalaca, come la chiamano i peruviani. E sebbene la FIFA riconosca il termine cileno, la discussione è apertissima. Si tratta in ogni caso di un fenomeno porteño, dato che entrambe le versioni su questo punto collimano.
In Cile l’inventore è per tutti Ramón Unzaga. Unzaga è basco, come molti dei migliori giocatori spagnoli dell’anteguerra, e all’età di 14 anni è approdato con la sua famiglia a Talcahuano, una piccola cittadina portuale a circa 600 chilometri da Santiago. Riesce a conciliare i propri studi in contabilità con la pratica attiva e costante di diverse discipline sportive tra le quali i centro metri, il salto in alto – diventerà famoso anche per la sua capacità di evitare gli avversari con salti prodigiosi – e il water polo. Ma la sua passione più grande è il calcio e nel 1918, anno nel quale acquisisce la nazionalità cilena, Ramón scrive una pagina di storia: si esibisce presso l’El Morro, lo stadio locale che nel 2014 sarebbe stato rinominato Ramón Unzaga, in una giocata mai vista prima, una sforbiciata che solo un atleta eccezionale come lui poteva essere in grado di compiere. Falta! Questo avrebbe gridato l’arbitro Beitía, sostenendo che quel gesto – che in un primo momento venne ribattezzato chorera, visto che los choreros sono gli abitanti di Talcahuano – metteva in pericolo l’incolumità degli avversari. E lo stesso episodio si ripeté una seconda volta. Ma la cosa che più infastidì Unzaga fu che quando il suo avversario cercò di imitarlo cimentandosi nella stessa acrobazia il direttore di gara, in virtù di un contatto minimo con Unzaga, fischiò punizione a favore della formazione ospite. A fine partita Unzaga e Beitía non se le sarebbero mandate a dire.
Ad ogni modo, stando alle parole del giocatore, non era quella la prima volta nella quale si esibiva in quella portentosa giocata: “Feci notare a Beitía che arbitri di grande esperienza non me l’avevano mai sanzionata”, questo avrebbe raccontato Unzaga qualche anno dopo ad un giornale locale, lasciando intendere come la chilena facesse già da tempo parte del repertorio del giocatore. E solamente due anni dopo la chilena avrebbe varcato i confini nazionali: Unzaga, convocato a disputare la prima edizione del Campeonato Sudamericano coi propri compagni in Argentina, avrebbe riproposto l’acrobazia. Fu in quell’occasione che il termine chilena venne adottato a livello continentale.
Tuttavia, al di là che Unzaga avesse esibito per la prima volta la rovesciata nel 1914 o prima, la peculiarità di questa storia è un’altra: contrariamente a ciò che vorrebbe l’immaginario collettivo, la chilena nacque come giocata volta ad allontanare il pallone, dal momento che Unzaga era quello che in Sudamerica viene chiamato zaguero (difensore). Esattamente ciò che fece Carlo Parola in un Fiorentina-Juventus del 1950, diventando così il volto principale della Panini. E a ben pensarci la cosa non dovrebbe nemmeno sorprenderci più di tanto: una rovesciata indirizzata verso la porta avversaria è un gesto improvviso, correttivo, volto a ribadire in rete un cross imperfetto. Perché un cross, se perfetto, finirebbe dritto sulla testa dell’attaccante. A livello difensivo, invece, il difensore è chiamato ad intervenire su una giocata di un avversario destinata ad un altro avversario.
Lo scienziato tedesco Hermann Schwameder una volta si espresse così: “Tutto ciò di cui si ha bisogno è istinto, molto coraggio e un cross sbagliato”. Gli avrebbe fatto eco il suo connazionale Klaus Fischer, autore del gol in sforbiciata più importante della storia dei mondiali nell’incontro tra Germania Ovest e Francia del 1982: “Ad essere onesti, va detto che qualunque gol in rovesciata nasce da un cross sbagliato”.
“Tutto ciò di cui si ha bisogno è istinto, molto coraggio e un cross sbagliato” Hermann Schwameder
Qualche anno più in là, nel 1927 – quattro anni dopo la morte di Unzaga – un altro cileno esibì la rovesciata durante una tournée in Spagna: si trattava di David Arellano, giocatore e co-fondatore del Colo-Colo, e fu proprio in quella circostanza che anche il pubblico europeo poté ammirare la chilena. Sfortunatamente, però, Arellano sarebbe morto il 3 maggio in seguito ad uno scontro di gioco con un avversario proprio durante quella tournée, meno di un mese dopo che il Colo-Colo – la prima formazione sudamericana a giocare in Europa – aveva raggiunto la penisola iberica. La formazione andina, che grazie anche ad una rete di Arellano aveva battuto la Real Unión Deportiva, aveva deciso di concedere alla formazione di casa la rivincita il giorno seguente. Ma l’incontro si rivelò fatale per il giocatore, che il giorno successivo sarebbe deceduto in ospedale.
Tuttavia i peruviani questa versione non l’hanno mai accettata: per loro quel gesto si chiama e si chiamerà sempre chalaca. Non sono in pochi gli addetti ai lavori a sostenere che la rovesciata sarebbe nata in Perù, più precisamente presso il porto di El Callao, prima ancora che Unzaga nascesse. Ad El Callao si disputavano le prime partite internazionali tra i marinai delle navi Anfion e Lider e le squadre locali del Union Cricket e del Lima Cricket. La prima era la squadra dei chalacos – gli abitanti di El Callao -, la seconda quella della capitale. E proprio in una o più di queste occasioni, sempre stando alla versione peruviana, sarebbe nata la chalaca.
Ma quindi dove nacque davvero la chilena (o chalaca)? Ricerche recenti sembrano aver dato una risposta esauriente e definitiva: la giocata nacque in Perù. A sostenerlo è anche uno dei più importanti storici del calcio argentino, Jorge Barraza, che dopo aver consultato dei giornali cileni del 1900 ha affermato che anche questi ultimi erano soliti riferirsi alla giocata chiamandola chalaca.
È ragionevole pensare che tanto in Europa quanto in Sudamerica il termine chilena sia stato maggiormente adottato per un fatto: i cileni la esportarono, i peruviani no. Nel 1916, quando l’acrobazia divenne nota al di fuori dei confini andini grazie ad Unzaga, si stava disputando la prima edizione del Campeonato Sudamericano – antesignano della Copa América – la cui partecipazione fu ristretta ad Argentina, Brasile, Uruguay e Cile. Il Perù vi avrebbe preso parte per la prima volta nel 1927, e quindi per undici anni non avrebbe comunque avuto modo di deliziare le platee con la specialità della casa. E nel 1927 sarebbe stato sempre un cileno, Arellano, a rendere l’acrobazia un fenomeno intercontinentale. La chalaca, invece, sarebbe rimasta confinata ad El Callao senza che esistano teorie circa l’autore del gesto.
Alla luce di quanto analizzato, decade una terza candidatura che nel tempo ha goduto di grande risalto sulla sponda atlantica del continente: quella di Leónidas da Silva, uno dei principali assi del Brasile dell’anteguerra. In Brasile per molti è lui l’inventore della chilena – una contraddizione in termini -, nonostante sia nato nel 1913 e la prima cronaca di una sua rovesciata risale al 1932 durante l’incontro tra Bonsucesso e Carioca. Anche a voler sposare la versione cilena a discapito di quella peruviana, Leónidas avrebbe dovuto compiere il gesto all’età di un anno per precedere Unzaga.