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Fulvio Bernardini e l’anno zero del calcio italiano

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Immagine di copertina: Bernardini in veste di CT della nazionale italiana nel 1974, durante una trasferta nei Paesi Bassi

Oggi Fulvio Bernardini compirebbe 116 anni. Essendo un compleanno ipotetico, il record di Matusalemme non corre rischi. Sorvoliamo per una volta sulla carriera di portiere e poi di centrocampista. Trascuriamo il palmarès da allenatore di club, cosa peraltro non semplice visti i risultati. Risulterebbe agiografico, dunque banale. Concentriamoci invece sul suo momento meno brillante in panchina, perché è lì che si vede l’uomo. Nei momenti complicati, quelli in cui si è soli a decidere e a ricostruire il distrutto. Dopo, tutti (o quasi) son bravi.



In azzurro


Tra la fine del 1974 e la metà dell’anno successivo Bernardini è Commissario Unico della Nazionale italiana, in una fase molto particolare del nostro calcio. Non sarà un’esperienza granché positiva. Ma a volte un trionfo è figlio illegittimo di un precedente disastro. Il disastro in questione risale a 47 anni fa. Il trionfo sarebbe invece arrivato otto anni più tardi con il titolo mondiale in Spagna, ma nel 1974 nessuno poteva immaginare una possibile connessione con ciò che ancora apparteneva al mondo dei sogni. Il 20 novembre 1974 è un mercoledì sera e l’Italia è chiamata a compiere un’impresa molto complicata: battere in trasferta i vice campioni del mondo dell’Olanda. La partita è valida per la qualificazione ai Campionati Europei, che si svolgeranno un anno e mezzo dopo, nell’allora Jugoslavia.


Missione impossibile


Talmente impossibile, la missione, che infatti fallirà. Un confronto davvero impari, almeno in quel momento. Ma dalle macerie della sconfitta nasce un fiore invisibile. I meriti andranno ad altri. Nel 1974 il Presidente della Repubblica è Giovanni Leone, il Presidente del Consiglio è Mariano Rumor. Non è ancora l’Italia dello scandalo Lockheed, che coinvolgerà le più alte cariche in un giro di presunte tangenti per la compravendita di aerei militari, né quella del rapimento Moro. Tuttavia è già l’Italia degli anni di piombo e della strategia della tensione. Il terrorismo miete vittime e nell’estate di quello stesso anno è accaduta la strage dell’Italicus. Un attentato dinamitardo sul treno Roma-Brennero attribuito all’estrema destra causa la morte di dodici persone. Il calcio di casa nostra, con i suoi insuccessi a livello internazionale, non ravviva una delle fasi storiche più oscure del dopoguerra. Gli Azzurri sono reduci dall’eliminazione al primo turno ai Mondiali di Germania e un fallimento così inatteso causa la fine del rapporto con la Nazionale per molti campioni di allora. Lo stesso CT Ferruccio Valcareggi, che quattro anni prima aveva portato la squadra a sfiorare il titolo contro il Brasile di Pelé, è costretto alle dimissioni immediate. Inevitabile, giusto così.

Fulvio Bernardini allenatore del Bologna con Nielsen e Haller: alla guida degli emiliani il tecnico vinse lo scudetto 1963-1964


Il successore


Fulvio Bernardini deve perciò ricostruire. È un’eredità pesante, quella dell’ex allenatore di Lazio, Fiorentina e Bologna, per tanti motivi. Uno di questi è rappresentato dai successi passati del predecessore. Al di là dell’ultimo fallimento, Valcareggi ha infatti conquistato il titolo europeo nel 1968 e ha mancato la vittoria nel mondiale due anni più tardi. Ma il Brasile ’70 è attenuante più che valida. Era lui sulla nostra panchina durante la partita del secolo, Italia-Germania 4-3 del 17 giugno 1970. Sotto la direzione di Valcareggi Dino Zoff ha battuto il record mondiale d‘imbattibilità assommando 1142 minuti senza subire gol. Un altro motivo di difficoltà per Bernardini è il forfait definitivo di campioni come Riva, Rivera e Mazzola. Dunque, la sua gestione rappresenta un vero e proprio “anno zero” della squadra azzurra. La politica iniziale è quella di selezionare un buon numero di giocatori, valutandone carattere, disposizione al sacrificio e attitudini tattiche. La prima uscita post-mondiale è piuttosto negativa: il 28 settembre 1974 l’Italia perde 1-0 a Zagabria contro la Jugoslavia senza mai costruire un’azione degna di nota. Sarà lo stesso neo CT ad ammettere che il risultato va perfino stretto agli avversari, che avrebbero potuto vincere con parecchi gol di scarto.

Casa Cruijff

Il 20 novembre l’impresa è ancora più dura, perché l’avversaria è l’Olanda di Cruijff e Neeskens. Lo stadio è il “De Kuyp” di Rotterdam e l’Italia scende in campo con: Zoff, Rocca, Roggi, Orlandini, Morini, Zecchini, Causio, Juliano, Boninsegna, Antognoni, Anastasi. Tutti si aspettano un confronto a senso unico, con la squadra azzurra nel ruolo della vittima inerme e rassegnata. La verità è che, stando almeno alla prima parte della sfida, l’Italia gioca bene, forse anche meglio dell’Olanda. E lo dimostra con i fatti, passando in vantaggio con Boninsegna dopo 5 minuti: stacco imperioso di testa, complice un’incertezza piuttosto grave del portiere Jongbloed. Poco dopo l’arbitro nega agli azzurri un rigore apparso chiarissimo per un aggancio da tergo proprio ai danni di Boninsegna. L’Olanda sembra in difficoltà ma al primo vero affondo ha il merito di pareggiare con Rensenbrink. Nel secondo tempo la partita cambia e la superiorità olandese ha un nome e un cognome: Johan Cruijff. Quando gira lui, gira la squadra e la doppietta segnata dal fuoriclasse di Amsterdam in meno di un quarto d’ora scolpisce il risultato finale. Olanda batte Italia 3-1. Sconfitta pesante, dalla quale si possono però trarre indicazioni utili.

Bernardini e Bearzot [https://storiedicalcio.altervista.org/


In buona compagnia

Innanzitutto Bernardini comprende che la chiave vincente è creare un mix equilibrato fra giovani come Antognoni e Rocca e la vecchia guardia dei vari Anastasi, Boninsegna e Zoff. Più avanti indosseranno la maglia azzurra anche Graziani, Pulici, Bettega, Gentile, Scirea. Dunque il CT azzurro si convince che la strada maestra da seguire è quella del “rinnovamento controllato”. Ma da un certo momento in poi Bernardini non è più solo alla guida della Nazionale. Il “co-pilota” si chiama Enzo Bearzot. Friulano, classe 1927, da giovane Bearzot è stato un discreto calciatore, vanta addirittura una presenza in azzurro. A settembre 1975 viene chiamato ad affiancare Bernardini nell’opera di ricostruzione di una Nazionale che in pochi anni è passata dall’essere seconda soltanto al Brasile al più totale “black out” di gioco e di risultati. Dunque, gioie e dolori di questa fase storica sono da dividere in due, anche se per buona parte dell’opinione pubblica le responsabilità sembrano ricadere più su Bernardini. Quest’ultimo è il direttore tecnico nominale, l’allenatore in senso stretto è Bearzot. Alla sconfitta di Rotterdam seguono altri risultati poco esaltanti, come i pareggi a reti bianche contro la Polonia e la Finlandia a Roma (sempre per le qualificazioni agli Europei). In sei partite alla guida degli Azzurri Fulvio Bernardini vincerà una sola volta, a Helsinki. Di lui dirà anni dopo il giornalista Giorgio Tosatti:

Il delicato periodo di passaggio fu gestito, con mano salda e assoluta noncuranza dell’impopolarità, da Fulvio Bernardini, che collezionò sconfitte e feroci critiche, ma riuscì a formare un nucleo di freschi talenti accomunati dalla qualità tecnica e dalla disciplina di squadra.

La politica dei piccoli passi

Nel 1977 Enzo Bearzot raccoglie un testimone importante e capisce dal suo predecessore una cosa fondamentale: la qualità tecnica può fare la differenza (e di solito la fa), ma il gruppo è tutto. E comincia a lavorare proprio sul gruppo, senza attendersi risultati immediati, quelli che il pubblico vorrebbe vedere come per magia. La qualificazione agli Europei sfuma, perché alla fase finale accede l’Olanda (che è obiettivamente più forte delle altre avversarie nel girone), ma in Nazionale si va pian piano strutturando una formazione di base composta soprattutto da giocatori della Juventus e del Torino, rivali in campionato ma parti di un collettivo unito e molto compatto in Azzurro. La filosofia di Bernardini si sta concretizzando poco alla volta, manca soltanto Bernardini. Il primo risultato concreto di Bearzot è la qualificazione, alla fine del 1977, ai mondiali in Argentina dell’anno successivo. Di quei mondiali l’Italia sarà la vera rivelazione, esprimendo il gioco forse più convincente in assoluto. Ciò che manca in chiave propositiva viene ovviato con la tradizionale capacità di difendersi, unita a ripartenze veloci rispetto alle quali le difese avversarie hanno talvolta poco da contrapporre. Il quarto posto finale ai Mondiali 1978 è perfino bugiardo rispetto alla qualità espressa dalla squadra. Di quella formazione titolare faranno parte soltanto tre giocatori che la sera del 20 novembre 1974 avevano giocato la partita contro l’Olanda e che Fulvio Bernardini aveva fortemente voluto per ricostruire una rappresentativa “implosa”: Zoff, Causio e Antognoni. Tutti e tre, protagonisti in Argentina, alzeranno nel cielo di Madrid la Coppa del Mondo quattro anni più tardi. Merito di Bearzot, erede di quella filosofia fondata sulla compattezza del gruppo e sulla disciplina interna. Merito anche della filosofia iniziale di Bernardini. A volte i fatti della vita rappresentano una cooperazione di cui non tutti assaporano il frutto. God only knows, come direbbero i Beach Boys.


Chi è Fulvio Bernardini

Nato il 28 dicembre 1905 a Roma
Morto il 13 gennaio 1984 a Roma
IL BERNARDINI CALCIATORE
Ruolo: centromediano metodista
Squadre di club: Lazio (1919-1926), Inter (1926-1928), Roma (1928-1939), Mater (1939-1943)
Nazionale: 28 presenze e 3 gol; un bronzo olimpico e una Coppa Internazionale
IL BERNARDINI ALLENATORE
Squadre: Roma (1949-1950), Vicenza (1950-1953), Fiorentina (1953-1958), Lazio (1958-1960), Bologna (1961-1965), Sampdoria (1965-1971), Italia (1974-1977)
Palmares: 2 campionati italiani (Fiorentina 1956, Bologna 1964), 1 Coppa Italia (Lazio 1958), 1 Coppa Grasshoppers (Fiorentina 1957), 1 Coppa Mitropa (Bologna 1961)

Giampiero Galeazzi intervista Fulvio Bernardini

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