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Torino 1942-43: il primo squillo degli Invincibili

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La Guerra era sempre più nel vivo e l’ingresso da parte degli Stati Uniti stava cambiando completamente le sorti della battaglia e ormai le bombe stavano tristemente accompagnando la vita degli italiani. Non era semplice concludere il campionato 1942-43, ma alla fine venne portato a termine per l’ultima volta prima di uno stop che durerà per ben tre anni. La Roma campione d’Italia in carica aveva già esaurito le sue carte migliori e si stava apprestando a vivere una Serie A anonima nelle retrovie, le grandi continuarono a steccare, mentre il Torino si era ormai innalzato come solida realtà d’Italia, ma per vincere dovette vedersela con il sorprendente Livorno.

Il cammino dei campioni


Nei tempi di crisi non è mai facile capire quale possa essere la giusta direzione da prendere e soprattutto gli investimenti possono rivelarsi un boomerang estremamente dannoso. Il Presidente Ferruccio Novo aveva però troppo assaporato il titolo di campione d’Italia nel 1942 e anche se la logica avrebbe voluto una maggiore attenzione al bilancio, decise che quello era il momento di investire e di mettere le basi per la creazione di una delle più grandi squadre della storia.

Furono diverse le cessioni con un profondo rinnovamento della squadra, ma furono gli acquisti a ribaltare il destino del calcio italiano. In difesa arrivò dal Napoli Luigi Cassano, ma fu il centrocampo a essere rinnovato con l’arrivo dalla Triestina di Giuseppe Grezar e soprattutto il magico duo di interni del Venezia composto da Ezio Loik e Valentino Mazzola, e per averli il Presidente sborsò l’incredibile cifra di un milione e duecentomila lire. Il tutto venne affidato ancora una volta all’ungherese András Kuttik, anche se l’uomo di Budapest non riuscì a far girare appieno la favolosa macchina granata. La partenza dei piemontesi fu infatti un vero e proprio incubo perché non è di certo facile far coesistere fin da subito tanti nuovi campioni soprattutto in un modulo, il Sistema, non ancora pienamente assorbito da tutti.

L’esordio all’Arena Civica di Milano contro l’Ambrosiana vide i nerazzurri trionfare per 1-0 grazie al gol di Demaria e il crollo ancora più incredibile arrivò alla seconda giornata. Nessuno pensava che il Livorno potesse essere in grado di lottare per il titolo, ma quando arrivò al Filadelfia lo fece senza paura reverenziale rovinando così la festa per il primo gol di Loik col Toro. Il primo tempo infatti si concluse 1-0 in favore dei padroni di casa, ma nella ripresa furono Zidarich e Degano a ribaltare il risultato permettendo ai toscani di ottenere i due punti relegando così i granata in fondo alla classifica con lo zero che non si era ancora mosso dopo due partite. C’era già aria di crisi e di sfiducia attorno al tecnico nato sulle sponde del Danubio e il Presidente Novo non era affatto contento della situazione tanto che venne dato una sorta di dentro o fuori nell’attesissimo derby contro la Juventus.

Oltre trentamila persone riempirono il Mussolini convinti in una vittoria della Vecchia Signora, ma quel giorno iniziò quello che sarebbe diventato il mito del Grande Torino. Fu una stracittadina a dir poco leggendaria con i granata che non fecero vedere palla ai rivali che rimasero a bocca aperto d’innanzi a tanta bellezza. Pietro Ferraris e Romeo Menti permisero di concludere il primo tempo sullo 0-2, con l’attaccante vicentino che raddoppiò nella ripresa prima del poker di Loik. Sullo 0-4 i granata abbassarono i ritmi, ma la festa per essere completa aveva bisogno del primo storico gol di Valentino Mazzola che batté Lucidio Sentimenti per l’1-5 a otto minuti dal termine.

Da quel momento il Toro divenne una macchina meravigliosa che sembrò non avere rivali e non potersi inceppare e il Filadelfia iniziò a vedere le proprie tribune sempre più piene. Dopo il derby infatti furono ben venticinquemila gli spettatori per la sfida contro il Genova vinta con un netto 3-1, ma il bello doveva ancora arrivare. Già alla quinta giornata vi era la trasferta di Roma contro i campioni d’Italia che vennero travolti già nel primo tempo da un tripudio di gol e spettacolo. In soli trentacinque minuti furono ben quattro le marcature dei piemontesi con ancora una volta lo straripante Menti protagonista con una doppietta e ormai la squadra giocava sulle ali dell’entusiasmo. Anche la Fiorentina venne travolta da un pesantissimo 5-0 e la particolarità dei ragazzi di Kuttik era l’estrema facilità nel chiudere le partite già nella prima frazione di gioco.

Il neopromosso Vicenza fece le barricate per evitare la sconfitta tra le mura amiche, ma alla fine fu una rete di Grezar a piegare i veneti per 0-1 e la Toro mania era ormai esplosa in tutta la città. Il Filadelfia era ormai diventato troppo piccolo per contenere il pubblico che voleva seguire quella squadra stellare, tanto che il 22 novembre 1942 per la gara contro il Milano venne scelto lo stadio Mussolini. Il Fila era sì piccolo, ma allo stesso tempo molto caldo e infatti l’esordio nel nuovo impianto causò un triste ritorno alla realtà. I rossoneri infatti vinsero per 0-1 grazie alla rete di Morselli e questo permise al sorprendente Livorno di allungare in classifica portandosi addirittura a cinque punti di vantaggio.

La sconfitta con il Diavolo però fu solamente una piccola interruzione di un’opera di rimonta che ripartì a pieno ritmo e che soprattutto riuscì a sfruttare pienamente il crollo dei toscani. Dopo la sfida con i meneghini infatti ci fu l’attesa trasferta a Venezia con i due grandi ex che non delusero le attese segnando due dei tre gol nella vittoria per 0-3 del Toro. Digerito il passaggio nel nuovo stadio i granata divennero fenomenali e anche in quello che sarà il Comunale arrivarono le prime due perentorie vittorie. La prima fu contro la Triestina, dove paradossalmente la rete del vantaggio arrivò tramite un autogol di Aldo Ballarin, con un 4-1 senza storia e soprattutto il 3-0 ottenuto contro il Liguria permise alla squadra di agganciare il Livorno a quota sedici in testa alla classifica. Il 1942 si stava concludendo nel migliore dei modi, ma anche le migliori storie hanno sempre degli scossoni clamorosi.

Il 20 dicembre arrivò la quarta sconfitta del campionato, con l’Atalanta che a sorpresa si impose per 1-0 al Brumana grazie a un gol a inizio secondo tempo di Cassani e il rapporto tra Novo e Kuttik iniziò a incrinarsi con l’ultimatum che venne dato il 27 dicembre nella gara interna contro la Lazio. Il grande freddo non permise alle due compagini di mostrare il loro miglior gioco e a tempo quasi scaduto fu Pisa a superare Cavalli per il 2-2 che portò al clamoroso ribaltone. Il tecnico ungherese decise di dare le dimissioni e il Presidente non fece nulla per fargli cambiare idea e così il 1943 si aprì con la novità in panchina chiamata Antonio Janni, leggenda della squadra tra gli anni ’20 e ’30 con la quale aveva vinto lo Scudetto del 1928.

I labronici intanto ne avevano solo parzialmente approfittato, ma la vittoria seguita dalla sconfitta valse comunque il sorpasso in classifica e dunque il nuovo tecnico dovette entrare in una situazione di rincorsa. Il Sistema era sì bello da vedere eppure serviva maggiore solidità e continuità, così si alternarono molto spesso i due sistemi di gioco prediligendo ancora un Metodo molto più assorbito dalla squadra.

L’impatto fu di quelli importanti e al Littoriale di Bologna furono Menti e Gabetto a regalare la vittoria per 1-2, mentre l’aggancio arrivò proprio alla fine del girone d’andata. Al Mussolini fu festa grande contro il Bari con Gabetto e Mazzola che stesero i Galletti pugliesi per 3-0, mentre il Livorno veniva fermata sull’1-1 in casa del Milano e così al giro di boa furono granata e amaranto i campioni d’inverno con ventuno punti, ma alle loro spalle Juventus e Ambrosiana Inter erano pronte al sorpasso.


Quelli più intenzionati a rovinare i piani dei ragazzi di Janni fu proprio la Beneamata che dopo aver vinto all’Arena Civica nella gara di andata concedette il bis anche nel ritorno in Piemonte. Nel finale furono Gaddoni e Rebuzzi a regalare la vittoria per 1-3 portando così i toscani a due punti di vantaggio in classifica proprio alla viglia dello scontro diretto. Ivo Fiorentini schierò una formazione estremamente offensiva, ma nonostante un pubblico carico come non mai la sfida non riuscì mai a sbloccarsi. Janni capì che quella sfida avrebbe potuto essere la fine dei sogni Scudetto e dunque sarebbe stato meglio accontentarsi di un pareggio a reti bianche mantenendo i due punti di ritardo.

Questo provocò però anche il sorpasso da parte dell’Ambrosiana al secondo posto e alle porte c’era il derby. La Juventus quell’anno non sembrava aver la squadra per lottare per il titolo eppure era riuscita ad agganciare i cugini al terzo posto, ma quell’anno le stracittadine parlarono solo granata. Sergio Piacentini sbloccò il risultato e a fine primo tempo fu l’eterno Pietro Ferraris a trovare il raddoppio per il 2-0 finale che sancì definitivamente i padroni cittadini per la stagione 1942-43. La notizia di quel giorno fu però il ritorno al proprio amato Filadelfia e da quel momento non lo si abbandonò più.

Il pari spettacolare per 3-3 di Genova rallenta la marcia dei piemontesi che ora devono inseguire entrambe le formazioni che la precedono in classifica dato che l’Inter ha agganciato in vetta i toscani, ma da quel momento i nerazzurri subiscono un inspiegabile crollo. La Roma era l’ombra di sé stessa eppure quel Tricolore cucito sul petto aveva sempre il suo fascino e i ventimila del Fila poterono gioire per il secondo 4-0 rifilato ai giallorossi con protagonista Franco Ossola autore di una doppietta.

Da cardiopalma fu la trasferta al Berta di Firenze, dove i viola rimontarono una doppietta di Mazzola, ma a pochi minuti dal termine fu Ferraris a battere Griffanti per il 2-3 che mantenne invariate le distanze sul Livorno e che permise il sorpasso sui milanesi. Il campionato era entrato nella sua fase calda e fu un grosso rammarico lo 0-0 casalingo contro il Vicenza, dato che non permise di approfittare del pareggio di Bari degli amaranto, mentre la mazzata definitiva al campionato sembrò arrivare la settimana seguente. Il 7 marzo le due pretendenti al titolo dovettero vedersela con le due meneghine e se il Livorno strapazzò l’Ambrosiana per 4-2, il Toro tornò a casa con le ossa rotte da San Siro con Cappello che regalò il successo al Diavolo.

A sette turni dal termine il divario di quattro punti sembrava ormai incolmabile e la Toscana stava clamorosamente per vincere il proprio primo Scudetto con la squadra meno attesa di tutte. Janni sapeva che non si poteva più sbagliare e la buona sorte aiutò il Torino contro il Venezia, dato che la vittoria per 3-1 arrivò grazie a due autoreti, mentre fu epica la trasferta di Trieste. I giuliani diedero non poco filo da torcere ai piemontesi che però ebbero in Franco Ossola l’uomo della svolta, il quale realizzò una tripletta e ci fu da dire grazie anche alla Juventus che liquidò il Livorno per 3-0.

Il campionato era più aperto che mai e serviva decisamente una stagione del genere per far distrarre parzialmente i cittadini italiani. La corsa all’oro continuò ancora una volta con un successo per 2-3 in trasferta, questa volta contro il Liguria con Gabetto uomo della vittoria e il 4 aprile il mondo si ribaltò. Al Filadelfia arrivò una grande Atalanta che dopo un’ora di gioco si trovava in vantaggio per 1-2, ma in nemmeno venti minuti furono Ferraris, Loik e Mazzola a ribaltare la situazione, mentre a Roma i campioni d’Italia in carica avevano un lampo d’orgoglio e con Amadei batterono il Livorno.

Quel giorno si concretizzò il sorpasso quando mancavano solamente tre partite al termine della stagione. I toscani forse essendosi tolti le vesti di inseguitori tornarono a macinare calcio e ora erano i granata a non poter più fallire. Arrivò il terzo 2-3 consecutivo in trasferta, questa volta ottenuto contro la Lazio, mentre per l’ultima al Filadelfia furono Gabetto e Ossola a confezionare il 2-1 che stese il Bologna. Il 25 aprile 1943 il campionato avrebbe visto disputare la sua trentesima giornata, quella decisiva che avrebbe assegnato un nuovo Scudetto. Il Livorno giocava in casa contro il Milano, mentre il Toro scendeva a Bari per affrontare una squadra dal disperato bisogno dell’ultimo punto salvezza.

In Toscana fu Morselli a sbloccare il risultato per il Diavolo, ma Traversa e Capaccioli ribaltarono a fine primo tempo il risultato, mentre in Puglia il risultato non si sbloccava. Raccis calò il tris e lo spettro dello spareggio era ormai incombente, fino a quando a quattro minuti dal termine non si erse a eroe della Patria lui: Valentino Mazzola. L’ex Venezia trovò l’angolo giusto per battere Costagliola per lo 0-1 più importante della storia granata regalando così un momento unico e indimenticabile. Dopo quindici anni dall’unico precedente successo il Torino tornava a essere campione d’Italia e lo faceva per la prima volta nel tempo del girone unico. Quella che era nata era una squadra leggendaria che nemmeno le tragica Seconda Guerra Mondiale riuscì a interrompere.

La formazione


Il Torino del 1942-43 era solo l’inizio di quello che sarebbe poi diventato lo squadrone leggendario post conflitto bellico, ma già si intravedeva l’enorme potenziale. András Kuttik aveva provato a portare immediatamente il Sistema come modo di giocare, mentre Antonio Janni lo alternò con il più consolidato Metodo e per questo ci furono molti cambi di formazione durante l’anno. Già in porta ci fu un lunghissimo dualismo tra Filippo Cavalli ed Alfredo Bodoira, ma alla fine fu quest’ultimo ad avere la meglio.

La difesa era formata da tre grandi marcatori, con Giacinto Ellena al centro, a destra l’alternanza tra Sergio Piacentini e il neoarrivato Luigi Cassano e a sinistra vi era il Capitano Osvaldo Ferrini. Il duo a creare di centrocampo davanti alla difesa vedeva in Giuseppe Grezar un elemento fondamentale, mentre al suo fianco la scelta ricadeva tra Fioravante Baldi o Cesare Gallea.

Il quintetto d’attacco non veniva mai vagamente scalfito perché quei cinque campioni si trovavano alla perfezione. Ezio Loik e Valentino Mazzola arrivarono da Venezia per alzare la qualità sulla trequarti, Pietro Ferraris visse una seconda giovinezza a trentun’anni come ala sinistra, mentre a destra a farla da padrone vi era Romeo Menti e al centro il centravanti Guglielmo Gabetto, finalmente sbocciato e maturo e non più talento incompiuto. Inoltre ogni tanto entrava anche un ragazzino di ventun’anni che sapeva sempre come dare il proprio contributo: Franco Ossola.

Il capocannoniere


In quella stagione il Toro fu una vera e propria macchina da gol, ma non aveva in un singolo giocatore il finalizzatore dell’azione, bensì era un insieme di gruppo e di squadra. A risultare il migliore di tutti fu però Guglielmo Gabetto che dopo un inizio di stagione un po’ in ombra seppe come farsi amare. Il primo gol arrivò alla quarta giornata contro il Genova e la marcatura diede vita a un periodo decisamente prolifico. Si ripeté infatti per altre due domeniche, nelle due goleade contro Roma e Fiorentina. Una breve pausa prima di segnare i suoi ultimi due gol con Kuttik, in altre due rotonde vittorie contro Triestina e Liguria, ma sapè come farsi voler bene fin da subito da Janni.

Fu sua infatti la rete decisiva per la vittoria di Bologna nell’esordio del nuovo tecnico e contro il Bari realizzò ancora una doppietta. Nel girone di ritorno fu rallentato da qualche problema fisico e nella prima parte del campionato segnò solo nel 3-3 con il Genova prima di riprendersi per il momento decisivo dell’annata. Segnò contro il Venezia e soprattutto si scatenò nelle partite della rimonta che valsero lo Scudetto. Timbrò la terza e decisiva rete a Genova contro il Liguria, aprì le marcature nel 4-2 all’Atalanta, trovò la via del pareggio a Roma contro la Lazio e infine segnò contro il Bologna il quattordicesimo e ultimo gol del suo grande campionato.

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