Cerca
Close this search box.

Juventus 1934-35: il quinto scudetto consecutivo della Vecchia Signora

Condividi articolo:

L’inizio della stagione 1934-35 era sulle ali dell’entusiasmo per il calcio italiano che aveva appena vissuto il primo anno straordinario e indimenticabile della propria storia. I ragazzi di Vittorio Pozzo riuscirono a vincere davanti al proprio pubblico il primo Mondiale della storia Azzurra portando per primi la Coppa Jules Rimet in Europa dopo che nel 1930 era stato l’Uruguay a uscirne vincitore. La voglia di calcio era dunque immensa in tutto il Paese e tutti erano a caccia della Juventus quattro volte campione d’Italia che rimase ancora una volta a guardare le altre fare mercato, mentre i bianconeri continuavano sulla linea della continuità. Fu una stagione molto particolare e con tanti problemi per i bianconeri e la presenza di Fiorentina e Ambrosiana Inter rese la corsa al titolo emozionante.

Il cammino dei campioni


Carlo Carcano era stato confermato sulla panchina della Juventus per il quinto anno consecutivo e oltre ai quattro successi ottenuti aveva ancora di più elevato la propria immagine essendo stato il vice di Vittorio Pozzo al Mondiale. Nessuno poteva però immaginare quello che sarebbe successo nel corso di quella pazza e incredibile stagione di Serie A che aveva visto diminuire le proprie partecipanti, passando così da diciotto a sedici squadre.

Il mercato bianconero fu di luce e ombre che non esaltarono più di tanto né la tifoseria né il tecnico, con Combi che si ritirò dopo il titolo con la Nazionale venendo sostituito dal suo vice Valinasso, l’esperto Caligaris divenne ormai una riserva di lusso nel nuovo che avanzava, dato che dalla Lazio venne acquistato Alfredo Foni, mentre come interno arrivò dall’Ambrosiana Inter Pietro Serantoni, altro fresco campione del mondo molto importante per dare ricambio soprattutto a Cesarini. A pesare e non poco fu però l’addio del piccolo brasiliano Sernagiotto che venne rimpiazzato solo con la promozione a titolare di Giovanni Varglien, che passò dall’essere interno ad ala, e il passaggio in prima squadra del giovane Armando Diena.

La stagione della Vecchia Signora partì da Brescia, con le Rondinelle che vendettero cara la pelle, ma nella ripresa Borel e Serantoni piegarono la resistenza di Peruchetti per lo 0-2 che voleva dire primi due punti in campionato. Arrivarono anche altri due successi contro Napoli e Sampierdarenese, entrambi decisi da Giovanni Ferrari, ma il gioco non era più fluido come in passato e i problemi erano dietro l’angolo. Al Mussolini fu Borel a evitare la sconfitta nel derby contro il Toro prima del tracollo di Roma contro la Lazio. I bianconeri vennero letteralmente umiliati dai biancocelesti che si divertirono per novanta minuti contro i campioni d’Italia.

Cesarini aveva illuso i ragazzi di Carcano con una rete dopo soli quindici minuti, ma l’attacco Piola, Demaría e Levratto era in giornata strepitosa e grazie al terzetto magico l’Aquila volò sempre più in alto verso un incredibile 5-1 all’ottantesimo. Una doppietta nel finale di Serantoni riuscì a rendere meno amaro il passivo, ma non evitò la grande quantità di critiche alla squadra e in particolare al tecnico, sempre più accusato di difensivismo eccessivo per aver schierato come ala destra Cesarini al posto di Giovanni Varglien o Diena. L’oriundo era sicuramente un giocatore offensivo, ma preferiva partire dalla trequarti e le perplessità crebbero anche verso Foni, molto negativo contro i suoi ex compagni, e un Valinasso che faceva rimpiangere il grande Combi.

La partita successiva sarebbe stato l’attesissimo scontro diretto contro l’Ambrosiana Inter a Torino con Carcano che decise di ascoltare i suoi detrattori avazando la squadra a tal punto da togliere Monti per inserire Diena e la mossa fu vincente. Fu di Giovanni Ferrari la perla che bastò per trafiggere Ceresoli per l’unica rete dell’incontro che sembrò salvare la panchina traballante del tecnico varesotto. La Juventus però non riusciva proprio a girare e dopo una difficoltosa vittoria in rimonta arrivata grazie a Borel sul campo del Livorno ecco arrivare il 2 dicembre, data che cambierà per sempre la storia della Signora.

A Torino arrivò la Triestina, ma i bianconeri erano nervosi tanto da rimanere anche in dieci per l’espulsione di Serantoni e questa volta Valinasso riuscì a riscattarsi compiendo grandi parate e salvando il risultato sullo 0-0. Alla fine di quella giornata Carcano e tutta la dirigenza juventina si riunì per decidere del futuro dell’allenatore e la decisione fu clamorosa: esonero. In molti cercarono di spiegare questa decisione attribuendone una motivazione personale, in quanto le voci sulla presunta omosessualità dell’allenatore diventavano sempre più insistenti, però va anche detto che i suoi presunti “amanti”, Luís Monti e Mario Varglien, non vennero affatto cacciati, anzi rimasero a Torino l’uno fino al 1938 e l’altro addirittura fino al 1942.

Il mistero non è stato mai pienamente svelato, ma l’unica cosa certa era che la Juventus dal 16 dicembre 1934 avrebbe avuto in panchina Carlo Bigatto che debuttò nella difficilissima trasferta di Bologna. I bianconeri erano ancora scioccati dall’esonero e la partita venne chiusa immediatamente dai felsinei con le reti di Schiavio e Fedullo. La Signora perdeva così altri due punti sulla Fiorentina capolista che si portò a quattro lunghezze di vantaggio e venne scavalcata al secondo posto anche dalla Roma. Il cambio di allenatore venne inizialmente bollato fin da subito come un grave errore, ma l’ex Capitano juventino fu bravo a ripercorrere le orme del suo predecessore proponendo una squadra ancora più chiusa e attenta a non subire reti. Valinasso alzò la saracinesca e la coppia Foni-Rosetta divenne un muro insuperabile.

Dopo la sconfitta emiliana servivano tante reti per risollevare il morale a Torino e un bel 4-1 all’Alessandria fu accolto positivamente, ma il 6 gennaio la Befana portò del carbone nella trasferta di Palermo con un mesto 0-0, il primo dell’era Bigatto. La seconda trasferta consecutiva a Roma era la prova del nove e dopo il vantaggio giallorosso nel primo tempo con Scaramelli, fu la doppietta di Farfallino Borel a cambiare la storia di quel campionato permettendo alla Vecchia Signora di superare la Lupa in classifica e ottenere due punti d’oro nella rincorsa ai Viola. Ancora il grand Felice e Mumo Orsi piegarono di misura Milan e Pro Vercelli portando così a soli due punti il distacco prima dello scontro diretto che concludeva il girone d’andata.

La Juventus schierò una squadra estremamente offensiva con Borel, Orsi e Diena nel trio d’attacco e la pesante assenza di Giovanni Ferrari venne sopperita dall’ingresso contemporaneamente di Serantoni, Giovanni Varglien e Cesarini. Guido Ara non sbottonò la sua Fiorentina che si accontentò di uno 0-0 in trasferta estremamente prezioso e che significava titolo di campioni d’inverno per i toscani.


La difficoltà a trovare la via delle rete per i bianconeri continuò anche a inizio girone di ritorno con il risultato che non si sbloccò mai né contro il Brescia né contro il Napoli e questi continui passi falsi permisero ai gigliati di allungare a tre punti di vantaggio e all’Ambrosiana di agganciare la Juve. La squadra di Ara però iniziava a essere a corto di ossigeno e di lì a breve tutti capirono che il titolo si sarebbe ancora conteso tra Torino e Milano.

I ragazzi di Bigatto tornano alla vittoria con un rotondo 4-0 alla Sampierdarenese, mentre i viola cadono incedibilmente in casa della Pro Vercelli ultima in classifica e l’aggancio arriva nella giornata più importante. La Fiorentina non va oltre lo 0-0 nella trasferta di Palermo, mentre il Derby della Mole è un autentico trionfo bianconero con Borel, Monti e Orsi che trafissero Maina per un netto 1-3 al Filadelfia che vuol dire aggancio in classifica. La folla accorse numerosa al Mussolini per la gara contro quella Lazio che nella partita di andata era stata così tanto dominante da essere una delle cause scatenanti dell’esonero di Carcano e che il 17 marzo 1935 venne travolta da un dominio juventino. Il grande protagonista fu Giovanni Ferrari che segnò una straordinaria tripletta già nel primo tempo prima della rete di Orsi, l’ultima della su carriera in bianconero.

La corsa a tre continuava e il 31 marzo l’Italia si fermò per assistere o ascoltare alla radio la sentitissima partita dell’Arena Civica di Milano tra Ambrosiana e Juventus. Bigatto alzò le barricate e avendo già intuito quale sarebbe stato il vero rivale al titolo optò per un astuto e intelligente 0-0 che permetteva così di mantenere quel punto di margine sulla Beneamata, mentre la Fiorentina non approfittò dello scontro diretto venendo fermata sul pari a Napoli. Nel capoluogo lomabrdo si concluse definitivamente anche la storia d’amore tra Orsi e la Vecchia Signora, che terminò con una triste espulsione, perché la guerra in Etiopia era alle porte e l’oriundo non voleva rischiare la chiamata alle armi facendosi così rispedire in Argentina.

Il problema era dunque capire chi avrebbe potuto sostituire il leggendario Mumo e la totale assenza di mercato in attacco creò un vuoto incredibile. Venne lanciato il giovane Alberto Tiberti, esterno d’attacco che bene aveva fatto nella stagione precedente in Serie B a Perugia, ma che non aveva ancora debuttato in bianconero in quella stagione, con l’esperimento che non andò a buon fine. La doppietta di Giovanni Varglien valse la vittoria interna contro il Livorno che portò così la Signora in vetta al campionato, ma la gioia durò poco. Ancora una volta fu la Triestina a essere la bestia nera dei piemontesi che vinse per 2-1 e la contemporanea vittoria dell’Ambrosiana nel derby della Madonnina spediva i nerazzurri al comando della classifica.

Bigatto allora accantonò Tiberti per lanciare un giovane del vivaio che negli a venire diventerà un mito nella Torino granata: Gugliemo Gabetto. Il torinese aveva solo diciannove anni, tanta voglia di mettersi in mostra ma scarsa esperienza per non farsi travolgere dalle emozioni in un finale di campionato così intenso. La sua presenza non ravvivò di certo l’attacco juventino, ma si dedicò pienamente alla causa e il nuovo aggancio alla vetta arrivò già la settimana seguente grazie alla stoccata di Giovanni Varglien a soli dieci minuti dalla fine dalla sfida interna con il Bologna.

I bianconeri non approfittarono del pari nello scontro diretto tra Inter e Fiorentina, andando a impattare per 0-0 ad Alessandria, mentre fu al cardiopalma il successo interno contro il Palermo con Cesarini che trovò il gol del 2-1 proprio allo scadere. Le reti del piccolo dei fratelli Varglien e Borel valsero il successo interno anche contro la Roma, ma la scarsa fiducia nei confronti di Tiberti e Gabetto portò Bigatto a schierare Borel unico vero attaccante nella trasferta contro il Milan, con un mediana estremamente attenta alla fase difensiva con Mario Varglien, Depetrini, Monti e Bertolini e il ritorno di Caligaris al posto di Foni.

La decisione fu un autentico disastro e il Diavolo schiacciò la remissiva Juventus con un perentorio 3-0 grazie a Romani e alla doppietta di Pietro Arcari. Doveva essere la giornata del controsorpasso, ma l’Ambrosiana riuscì solo ad agganciare i bianconeri a seguito del pareggio contro la Sampierdarenese e dopo la penultima giornata lo spareggio sembrava ormai una certezza. La Vecchia Signora vinse comodamente per 3-0 contro la Pro Vercelli e l’Inter ne rifilò quattro al Torino rendendo unica e memorabile l’ultima giornata. Le due duellanti al titolo erano chiamate a due trasferte impegnative, a Roma contro la Lazio per la Beneamata e a Firenze per la Juventus.

In molti prevedevano lo spareggio, ma i nerazzurri, dopo essere passati in vantaggio con Porta, crollarono clamorosamente sotto i colpi dell’ex Levratto e di Silvio Piola, autore di una tripletta, e a nulla servì la rete di Meazza. Lo 0-0 sembrava essere il risultato più giusto in quel di Firenze, ma a suggellare il trionfo bianconero fu Giovanni Ferrari che a dieci minuti dal termine superò Amoretti in uscita e di destro calciò in rete la palla dello 0-1.

Era il 2 giugno 1935 e al termine di una Serie A a dir poco pazzesca ed emozionantissima, era ancora la Juventus a ergersi come regina del campionato per il quinto anno consecutivo. Un ridimensionamento iniziato da un paio di stagioni e la morte in estate di Edoardo Agnelli pose fine per diversi anni alle vittorie juventine, ma quel quinquennio fu tra i più grandiosi della storia del calcio italiano.

La formazione


Il Mondiale italiano ha dato grandi certezze alla Juventus che partiva ancora una volta con Carlo Carcano in panchina, ma che da metà dicembre si ritrova con Carlo Bigatto. I cambiamenti questa volta non mancano rispetto al passato, anche se prevalentemente si tratta di riserve del passato capaci di scalare le gerarchie.

È il caso infatti del portiere Cesare Valinasso che dopo una stagione alle spalle di Combi sfruttò il ritiro del campione del mondo per prenderne il posto tra i pali. In difesa Virgino Rosetta continuò a essere un intoccabile, mentre Umberto Caligaris divenne un panchinaro di lusso perché il suo posto come terzino sinistro venne preso da Alfredo Foni, acquistato in estate dalla Lazio. Sugli esterni della linea mediana furono sempre confermatissimi Mario Varglien e Luigi Bertolini, mentre al centro, a causa dell’età e di qualche acciacco fisico di troppo fermarono più del dovuto Luís Monti che dovette spesso alternarsi con l’ottimo Teobaldo Depetrini.

Gli interni del centrocampo furono a sinistra il solito e confermatissimo Giovanni Ferrari, mentre a destra l’ingresso di Pietro Serantoni portò l’ex interista ad avere un ruolo chiave nel successo bianconero, alternandosi però molto spesso con Renato Cesarini, che nel corso della stagione venne schierato spesso e volentieri nei tre davanti. Al centro dell’attacco non poteva mancare Felice Borel, mentre sulla destra divenne titolare e pedina importantissima nel titolo Giovanni Varglien, che ogni tanto dovette accomodarsi in panchina per far posto ad Armando Diena. Mumo Orsi faticò molto in zona gol per tutta la stagione, a causa delle fatiche post Mondiale, e quando a fine anno tornò in Argentina né Alberto TibertiGuglielmo Gabetto riuscirono a sopperire alla sua assenza.

Il capocannoniere


Il cannoniere juventino per il terzo anno consecutivo fu Farfallino Felice Borel, ma i numeri furono ben lontani da quelli delle ultime due stagioni. La Vecchia Signora passò dal segnare ottantotto gol a metterne in rete solamente quarantacinque, scendendo in campo spesso con un atteggiamento ai limiti del rinunciatario. Enrique Guaita della Roma vinse il titolo di capocannoniere con ventotto reti prenendo così l’eredità del centravanti bianconero che si fermò a quota tredici.

L’inizio di stagione del giovane cannoniere fu comunque molto positivo, dato che timbrò la rete che sbloccò il risultato nella complicata trasferta di Brescia e nel turno seguente firmò il pareggio che contribuì alla vittoria juventina in casa contro il Napoli. L’aria pesante attorno a Carcano divenne un limite per tutti, ma fu proprio Borel a rallentare la sua cacciata grazie al gol del pareggio nel derby contro il Torino e fu decisiva la sua zampata nel finale della trasferta contro il Livorno. Furono gli ultimi centri con il suo maestro in panchina e con l’arrivo di Bigatto iniziò a conoscere le difficoltà della solitudine in attacco.

L’inizio con il nuovo tecnico fu comunque promettente e fu sua la prima rete della nuova gestione contro l’Alessandria e soprattutto non mancì di timbrare il cartellino con una sensazionale doppietta nella gara del Campo Testaccio contro la Roma. Il suo ottimo girone d’andata si concluse con la rete che sbloccò la difficile partita interna con il Milan regalando così due punti preziosi, prima di dar vita a un ritorno difficile per Farfallino. Quattro partite consecutive senza segnare, prima della doppietta scaccia crisi contro la Sampierdarenese, seguita immediatamente dopo dalla rete che sbloccò il derby e dal sigillo su rigore nel 6-1 con la Lazio.

Per tre gare consecutive trovò la via delle rete, ma da lì in poi venne limitato da qualche guaio fisico e l’impossibilità di avere un turno di riposo lo costrinsero a scendere in campo mai in perfette condizioni. Segnò solamente il secondo gol contro la Roma nella vittoria per 2-1, il tredicesimo gol di una stagione vincente ma cbe iniziò a decretarne il lento declino.

Seguici

Altre storie di Goals

Euro 1976: semifinale Cecoslovacchia-Olanda

Né Olanda né Germania Ovest: le due favorite dell’Europeo 1976 devono arrendersi alla sorpresa Cecoslovacchia. La nazionale dell’Est mette in fila prima gli olandesi in

Questo sito utilizza cookies per migliorare la tua navigazione, se procedi nella navigazione ne accetti l'utilizzo.