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Gonzalo Higuain, l’eroe-fanciullo davanti alla Storia

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Se consideriamo il calcio nel suo aspetto più romantico, come se fosse un’opera teatrale o una tragedia greca dove gli spettatori empatizzano con i personaggi sulla scena, allora Gonzalo Higuain rappresenta uno dei personaggi più emblematici di questo gigantesco palscoscenico dal manto erboso.

Il Pipita appartiene alla schiera di quei giocatori troppo particolari per avere una narrazione lineare. Partiamo dal principio, prima di tutto: i piedi. Gonzalo nei piedi ha classe purissima, con i quali alterna schiaffi e carezze, tiri assordanti e assist sussurrati. Non a caso Allegri (ma anche Sarri) alla Juventus e Rafa Benitez al Napoli non lo usavano come puntero fisso in area, bensì gli chiedevano continui movimenti a scendere fino a centrocampo, in modo tale da guidare l’azione offensiva con morbide aperture verso gli esterni o con deliziose sponde al compagno d’attacco.

Era ottimo nel dribbling nello stretto, toccava la palla per eludere l’intervento del difensore e scaricare a rete. Un 9 molto tecnico, capace di essere più morbido nelle giocate rispetto alla durezza “Apache” del compagno di nazionale Tevez, che assomigliava di più ad Ardito con il pugnale tra i denti che faceva strage di nemici piuttosto che ad un eroe maledetto come l’ex pupillo di Napoli.

Se il punto di forza erano i piedi, la spada di Damocle, il tallone d’Achille – se vogliamo rimanere nella mitologia greca – era la testa: Gonzalo era un “fanciullino”, aveva la sensibilità e la purezza del bambino, che di fronte alle avversità dell’esistenza reagisce con quelle lune dei geni sudamericani e/o balcanici: Savicevic e Vucinic erano geni malinconici, Riquelme, Veron e Dybala anche. Persino un mostro sacro come Messi, indiscutibilmente uno dei giocatori più forti della storia del calcio, non era immune a questa cupezza, soprattutto nella prima parte della carriera, quando, una volta tanto, le giornate erano buie e la palla non ubbidiva ai piedi del suo padrone.

Higuain è un giocatore che ha bisogno di sentire fiducia intorno a sé per rendere al meglio. Nelle finali ha spesso deluso. Eppure in tanti grandi momenti delle sue squadre di club – Real Madrid, Napoli, Juventus – il suo apporto in termini di gol e contributo alla manovra è stato determinante.

Come un bambino che cerca con lo sguardo l’assenso dei genitori, il Pipita ha sempre cercato fiducia intorno a sé: non a caso il miglior Higuain – dal punto di vista realizzativo – è stato quello che ricevette la fiducia totale e incondizionata di Maurizio Sarri ai tempi del Napoli, che ripagò con 36 gol in campionato, record assoluto in Serie A.

E non è altrettanto casuale che la sua peggiore stagione dal punto di vista prestazionale sia iniziata con il suo “ripudio” da parte della Vecchia Signora: dopo due anni da protagonista in bianconero, in cui sono arrivati due scudetti timbrati dai gol pesanti di Gonzalo (e su questo ci torneremo dopo), la Juventus lo dovette sacrificare a causa dell’arrivo del Re Cristiano Ronaldo.

Venne così parcheggiato al Milan, senza troppa convinzione dell’argentino, la cui frustrazione diventava evidente partita dopo partita, con l’apoteosi del rigore sbagliato seguito dall’espulsione nella gara di San Siro proprio contro la Vecchia Signora.

Fece poi altri sei mesi altrettanto deludenti al Chelsea, nonostante la vittoria di una Europa League, da comprimario. Quella rabbia mista a gioia dopo un gol, come un bambino che aspetta dai genitori un premio dopo un castigo, quegli sfoghi nelle interviste ai giornalisti (soprattutto durante i ritiri con la maglia albiceleste) di quanto gli avessero fatto male le critiche, miste all’orgoglio su quanto di buono avesse combinato il carriera; quella fuga nel cuore della notte da Torino in piena pandemia, per volare oltreoceano dalla madre gravemente malata indicano come dietro il campione ci sia semplicemente una persona con tanta voglia di normalità, una normalità tanto cercata quanto difficilmente avuta.

I suoi fantasmi: le finali

Il “peccato originale” che condanna all’inferno Gonzalo Higuain avvenne il 13 luglio 2014 allo stadio Maracanà di Rio De Janeiro durante la finale del Mondiale 2014, durante il primo tempo. Nel limbo dello 0-0, Kroos compie uno sciagurato retropassaggio di testa, che spalanca al Pipita l’autostrada della gloria, in un modo totalmente inaspettato. Davanti a Neuer, però, ciabatta fuori dallo specchio il tiro del vantaggio.

L’Argentina avrà altre occasioni per passare in vantaggio, fino a quando, per la cruciale legge del contrappasso, Goetze da buon tedesco apparentemente freddo e glaciale, non fallisce ai supplementari la palla che vale la Coppa del Mondo.

Mondiale 2014, partita finale: la grande occasione di Gonzalo Higuain davanti a Neuer

L’anno dopo in Coppa America va anche peggio. In una finale contro il Cile ricca di tensione e davvero poco spettacolare uno dei rari lampi argentini avviene ad un minuto dalla fine dei tempi regolamentari: Messi si accende in contropiede, serve Lavezzi che scarica (male) al centro per Higuain. Gonzalo è a pochi centimetri dalla linea di porta, ma il pessimo passaggio del Pocho e la posizione defilata non lo aiutano a inquadrare lo specchio. Come se non bastasse, l’apoteosi della tragedia si realizza durante i tiri di rigore finali, quando il Pipita manda alto il suo. La Coppa va al Cile e Higuain finisce di nuovo sul banco degli imputati.

Nel 2016 c’è un’altra Coppa America: Higuain ci arriva bene, dopo la miglior stagione della carriera. Dopo Messi è il migliore argentino del torneo e trascina la Seleccion a un’altra finale con gli stessi rivali dell’anno prima, la Roja campione in carica. Gonzalo arriva di nuovo da solo dinanzi a Bravo, ma la maledizione è senza fine: il suo scavetto supera il portiere cileno, ma lambisce il palo e va sul fondo. Terza finale, terzo errore, terza sconfitta.

In Argentina c’è un accanimento bestiale su di lui. L’ombra del paragone con Batistuta, altro grande 9 argentino e da molti considerato l’antesignano del Pipita, lo demolisce. Napoli, città che lo ha amato con un sentimento che ha riservato solo a Diego Armando Maradona e che lo avrebbe protetto dalle critiche, lo scarica dopo che viene a sapere del suo passaggio alla Juventus, e un amore ferito, si sa, può diventare odio, di cui ne condivide natura e intensità.
Queste tre finali perse, unite alla finale di Champions del 2017 persa con la maglia della Juventus, a qualche rigore sbagliato di troppo e a qualche Clasico sbiadito, rafforzano nell’immaginario comune l’idea che Higuain non sia un giocatore decisivo, un giocatore inadatto a chi vuol vincere. Èdavvero così?

Real Madrid

Partiamo dai freddi numeri, che certamente non possono dire tutto, ma dicono molto: 264 presenze da gennaio 2007 a maggio 2013 e 121 gol. Quattordicesimo marcatore all time della storia del Real Madrid, davanti ha quasi solo bandiere storiche dei Blancos. Nel suo palmares spagnolo ci sono un paio di successi in Liga, ma quello più prestigioso è il secondo: con 22 reti in 35 presenze porta a casa un trionfo storico in Liga nel 2011/12, quando la squadra di José Mourinho batte la nemesi barcellonista di Pep Guardiola in uno scontro all’ultimo sangue, toccando quota 100 punti in Liga.

Solo Cristiano Ronaldo segna più del Pipita, mentre Karim Benzema, con cui Higuain vivrà un eterno dualismo per tutto il suo periodo in Spagna, si ferma a quota 21. Negli anni 2009 e 2010 segna rispettivamente 22 e 27 reti, dimostrando che a Madrid può starci, in un periodo in cui il campionato spagnolo si stava per affermare come il campionato con più qualità al mondo tra le prime squadre e dove bastava un pareggio o una sconfitta di troppo per compromettere la corsa alla vittoria della Liga.

Le spagnole avrebbero cominciato a breve a instaurare una dittatura su tutto il continente, facendo collezione di finali di coppe con Barcellona, Atletico Madrid, Siviglia, Real Madrid, Athletic Bilbao, oltre a due europei e un mondiale conquistati dalle Furie Rosse.

Certamente le avventure delle Merengues in Champions League durante la permanenza di Gonzalo Higuain non andarono mai oltre le semifinali, ma ciò non può essere imputabile a un singolo giocatore. Altrimenti che dire del PSG degli sceicchi, che nonostante i miliardi spesi per acquistare fuoriclasse del calibro di Ibrahimovic, Neymar, Cavani, Di Maria, Mbappé solo l’anno scorso sono riusciti a centrare l’agognata finale?

Che dire dei fuoriclasse del Manchester City di Pep Guardiola (De Bruyne, Aguero, Kompany, David e Bernando Silva, Gundogan) che al momento non sono ancora riusciti ad arrivare fino in fondo in Champions, mentre in Premier hanno dettato legge per anni?

Napoli

Gonzalo Higuain a Napoli, alla corte di Rafa Benitez, non ha un compito semplice. Deve sostituire il Matador Edinson Cavani, autentico idolo della tifoseria partenopea nonché bomber assoluto del club: 104 reti in 3 stagioni, mai nessuno lì aveva segnato così tante reti in così poco tempo.

A differenza dell’uruguaiano, che si era mostrato un letale “9 d’area” e che tuttavia non lesinava ripiegamenti difensivi e progressioni devastanti palla al piede in contropiede degne del miglior Weah, l’argentino si è dimostrato essere un miglior attaccante di manovra e più organico alla squadra e alla costruzione delle trame di gioco.

L’abbiamo visto diverse volte arretrare il raggio d’azione a centrocampo, quasi come se fosse un trequartista, fare sponde, distribuire assist al bacio per i compagni e dettare i tempi. È indubbiamente vero che, nei primi due anni, i numeri realizzativi del Pipita sono inferiori a quelli del Matador, ma è altrettanto vero che il Pipita fu grande protagonista in una sfida secca che regalò ai tifosi azzurri una delle migliori gioie di quel periodo ai danni della Juventus che tirannicamente proseguiva il suo dominio nei confini italiani: la Supercoppa Italiana di Doha.

La sfida a ritmo di tango con l’altro grande fuoriclasse argentino Carlos Tevez si conclude con un ricco pareggio di due reti a testa per le squadre, Higuain e Tevez segnano, manco a dirlo, una doppietta a testa. Ai rigori l’Apache prende il palo, il Pipita no. Il trofeo va a Napoli ed è grande festa.

Higuain segnerà un’altra doppietta di pregevole fattura nello scontro-spareggio Champions contro la Lazio all’ultima giornata, anche se tutti ipocritamente si ricorderanno solo l’errore di Gonzalo dagli 11 metri. Nell’Europa che conta ci andranno i romani.

È però l’anno con Maurizio Sarri, il terzo a Napoli, che Gonzalo Higuain sprigiona tutta la sua potenza: il tecnico toscano lo mette al centro del progetto, con Insigne, Mertens e Callejon a fargli da scudieri. Il fanciullino ripaga la fiducia con 36 gol, record tuttora imbattuto, offrendo al pubblico la sensazione di poter essere inarrestabile e poter fare qualunque cosa a livello tecnico e atletico. Secondo i critici e gli osservatori, un paragone con Luis Suarez e Robert Lewandowski – in quel periodo i migliori centravanti in circolazione – non era certo peregrino.

Higuain a Napoli con Maurizio Sarri

Juventus

A 29 anni, Higuain capisce che se vuole alzare i trofei che contano deve lasciare Napoli, ambiente eternamente imbrigliato in una mentalità provinciale da una parte e in un immobilismo nostalgico dei tempi che furono dall’altra, e si accasa dai “nemici giurati” bianconeri, che per lui arrivano a pagare una clausola rescissoria di 94 milioni. Gonzalo ovviamente accetta la destinazione, mandando su tutte le furie l’ambiente partenopeo, che l’ha amato come un figlio, lui, argentino come il Pibe de Oro.

La Juventus vede nell’attaccante argentino la pedina decisiva per rimpiazzare il trascinatore Carlos Tevez, che ha lasciato Torino l’anno precedente, per perpetuare il dominio in Italia e per provare una volta per tutte l’assalto decisivo alla “Coppa delle grandi orecchie”.

La domanda che ancora oggi i tifosi e gli addetti ai lavori si pongono è: Gonzalo Higuain è stato decisivo?
Anche qui partiamo dai freddi numeri: nei primi due anni in bianconero, quelli precedenti l’anno di esilio forzato tra Milano e Londra, Higuain ha segnato ben 55 reti. In Serie A ne fa 24 in primo anno, di cui due rivestono un’importanza capitale, perché segnati contro le due squadre con le quali la Juventus si è contesa lo scudetto per tutto l’anno, ossia Napoli e Roma. È suo il sinistro all’angolino che brucia Reina e decide lo scontro di Torino, è suo l’altro mancino che si spegne sotto l’incrocio dei pali dopo aver ubriacato in dribbling il romanista Fazio al limite dell’area.

Nel secondo campionato bianconero, segna molto meno – dando però un notevole apporto in termini di manovra e regia, similmente agli anni con Benitez a Napoli, non dimentichiamolo – ma dai suoi gol passano gli episodi decisivi per la conquista del Tricolore: il gol vittoria allo Stadio San Paolo, davanti a 60.000 persone urlanti che lo ritengono un traditore assoluto, gol che vale il sorpasso il classifica ai danni proprio del Napoli, e soprattutto il gol del 3-2 a un minuto dalla fine contro l’Inter a San Siro, che in concomitanza con la sconfitta per 3-0 dei partenopei a Firenze, è universalmente riconosciuto come il gol-scudetto.

La Coppa Italia è un trofeo minore, ma anche lì c’è lo zampino del Pipa: nel 2017 stupra il Napoli – ancora lui! I casi del destino, sempre davanti ad un pubblico che lo odia – con 5 gol nelle semifinali di andata e ritorno, spalancando le porte per la finale vittoriosa contro la Lazio.

Veniamo all’Europa: tutti ricordano la debacle di Cardiff e le due gare contro il Real Madrid, dove non ha inciso. Ma è tutto lì? No, perché oltre ai gol pesanti nei gironi di qualificazione – in particolare nel secondo anno, dove Olympiakos e Sporting Lisbona stavano creando qualche problema di troppo a una Juventus imballata – abbiamo due acuti importanti: una doppietta decisiva contro il Monaco di Mbappé in semifinale e tre gol al Tottenham di Kane e Son agli ottavi, conditi con l’assist decisivo a Wembley per Dybala.

Personalmente non mi sento di gettare la croce addosso a Higuain per la finale di Cardiff 2017, a maggior ragione se un’intera squadra perde la testa all’intervallo e toppa completamente l’approccio al secondo tempo, subendo il massacro dei cannibali del Real Madrid.

E non è finita: c’è un’altra appendice importante dell’avventura di Gonzalo in bianconero, che è il suo terzo anno – dopo il momentaneo addio. Pur essendo entrato nella fase calante della carriera, riesce a mettere lo zampino anche in un campionato, che si rivelerà il più anomalo della storia, in quanto l’epidemia di coronavirus ha costretto il mondo dello sport a fermarsi a febbraio: sigla il gol decisivo ancora contro l’Inter (che chiuderà seconda) a Milano. Con il senno di poi, a fine anno, sono i tre punti che permettono ad Agnelli di intascarsi il nono scudetto consecutivo.
Mica male, per non essere decisivo!

La storia del calcio è spietata con certi giocatori. Ci sono fuoriclasse che restano nella memoria più per dei gol sbagliati nel momento topico che per tante annate realizzative importanti. Ma può una partita, fosse anche una finale, spostare a tal punto il giudizio sul valore di un giocatore?

La storia del calcio è spietata, anche con altri giocatori. Ci sono partite che per momenti e prestigio rimangono nella memoria più di altre, e ciò che avviene in quelle partite sembra etichettare per sempre agli occhi della massa un giocatore, nel bene e nel male.

Un fuoriclasse come Arjen Robben viene spesso associato ai suoi celeberrimi gol mancati in finali mondiali e di coppa, mentre in realtà dovrebbe essere celebrato come uno dei primi fuoriclasse della sua epoca, nella ristretta cerchia alle spalle del duo Messi-Cristiano Ronaldo.

Un altro fuoriclasse, Alessandro Del Piero, si è portato per lungo tempo sul groppone quegli errori della finale degli europei del 2000, che vennero assorbiti dall’immaginario collettivo come punto focale dei momenti no del capitano bianconero in azzurro.


Personalmente ritengo che il calcio vada analizzato a 360 gradi, in tutte le sue sfaccettature e non può essere una partita a fare la differenza sul valore di un giocatore, fosse anche una finale.

La miglior annata nella carriera di Higuain: 36 gol a Napoli

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