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Champions League: dalla crisi dell’Italia al borsino dei quarti

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Immagine di copertina: uno sconsolato Cristiano Ronaldo al termine dell’eliminazione contro il Porto:
le difficoltà del portoghese in maglia Juve sono il simbolo della crisi del calcio italiano [Getty Images]

I numeri nello sport e nel calcio non sono tutto. Però aiutano a comprendere e inquadrare meglio un evento, una squadra, un giocatore, una tendenza. La tendenza del calcio italiano, che da diverso tempo è finito ai margini del panorama europeo. Non è solo una questione di nazionale, eliminata ingloriosamente al primo turno nei Mondiali 2010 e 2014 e neppure qualificata a quelli del 2018. Ma anche di club. L’ultimo trionfo in Champions League, la competizione per club regina del Vecchio Continente, risale al 2010 con l’Inter tutta straniera di Mourinho. Negli ultimi dieci anni solo la Juventus ha saputo arrivare in finale (due volte sconfitta), per il resto sono state ottenuto solo briciole. Una semifinale per la Roma (una volta), i quarti (una volta) per Atalanta, Inter e Milan.

Il bilancio della Champions dall’edizione 2011 ai quarti di questa edizione:
la serie A è quarta, ma potrebbe presto subire il sorpasso della Ligue 1 francese…

Già, Inter e Milan. Quando il calcio italiano dominava, le due compagini meneghine erano sulla cresta dell’onda. Il loro ridimensionamento nell’ultimo decennio serve per spiegare sicuramente la crisi in cui versa il nostro movimento a livello europeo. Perché solo Inter e Milan, in aggiunta alla Juve, hanno la tradizione, l’ambizione e la potenza di fuoco per poter primeggiare davvero a determinati livelli. Rossoneri e nerazzurri sembra stiano tornando competitivi. Per ora lo sono in patria. Già dalla prossima stagione capiremo meglio se lo saranno anche in Europa. Dal loro ritorno ad alti livelli dipende molto del futuro della serie A sui prosceni più prestigiosi. La Juventus da sola non basta.

Non è solo la crisi internazionale di Milan e Inter, ovviamente, ad aver spinto il nostro calcio così in basso. È una crisi valoriale che parte da lontano, che molti addetti ai lavori hanno tentato di analizzare a più riprese. Dalla fine degli oratori alla crisi dei vivai, da un inadeguato investimento sulle strutture (leggasi alla voce stadi e campi di proprietà) a una scarsa organizzazione manageriale. Di motivazioni se ne possono trovare parecchie. Ognuno come sempre porta l’acqua al proprio mulino, ognuno può tirare fuori argomentazioni valide a supporto della propria tesi. Resta appunto l’amaro dato di fatto, certificato dai numeri (e quelli non mentono) di un forte ridimensionamento.

Come uscirne? Come risalire la china? Sicuramente provando a rispondere meglio alle esigenze appena evidenziate: occorre continuare a investire – di più e sempre meglio – nei settori giovanili, che rappresentano il serbatoio di un Paese e formano l’identità nazionale. E nella formazione, puntando su allenatori di spessore e professionalità, che abbiano seguito un determinato percorso e siano davvero in grado di tramutare giovani talenti in giocatori fatti e finiti. Non ci si improvvisa allenatori. Lo si diventa dopo aver superato severi step. Avere un top manager nelle prime squadre e tecnici di bassa lega nelle giovanili è un concetto sbagliatissimo. I migliori allenatori devono essere anzi quelli del vivaio. Il loro compito è il più importante, devono forgiare le squadre del futuro.

Thomas Müller, David Alaba e Joshua Kimmich: tre colonne del super Bayern, tutti provenienti dal vivaio
[https://www.bundesliga.com]

Altro punto focale riguarda un’impiantistica all’avanguardia e polifunzionale (vedi modello Juventus Stadium). Basta con stadi fatiscenti. Per mettere gli allenatori e i giocatori, delle giovanili o delle prime squadre, nelle migliori condizioni per poter crescere e lavorare è fondamentale fornire loro tutti gli strumenti più adeguati e moderni, facendo uso anche della tecnologia. Bisogna avere idee chiare, a partire dai vertici, perché nessuna squadra forte può avviare un ciclo vincente se non ha alle spalle una società che sa ciò che vuole e si struttura nel modo giusto per ottenerlo.

Non è solo questione di merchandising, di saper vendere magliette e cappellini, di griffare con il marchio del club tazze della colazione e portafogli. È un discorso più ampio, che si rifà a un’organizzazione di ampio respiro, un’organizzazione che poi a catena consenta di influenzare le scelte societarie in tutti gli aspetti.

Bisogna avere pazienza. L’antico detto “Roma non è stata costruita in un giorno” viene oggi abusato. Ma il concetto di fondo è vero. Per cambiare una mentalità e dare il via a una riorganizzazione serve un lavoro di anni. E il fine non deve essere la vittoria di una coppa o di un campionato. Costruire un’identità e un gioco, far crescere i propri ragazzi, migliorare la struttura sono l’obiettivo. Il risultato sarà una conseguenza nel momento in cui tutte queste condizioni verranno soddisfatte. La vittoria diventerà un approdo naturale.

A corredo di tutto questo, va sempre tenuto d’occhio il bilancio. Gli investimenti devono essere pianificati e mirati. Niente spese folli, ma una gestione oculata. E una base di soci il più possibile ampia, in modo da dipendere il meno possibile da un unico finanziatore. Probabilmente sono concetti banali e ripetuti già da anni. In Italia siamo bravissimi a dare lezioni a parole. Il problema è capire quanto poi – un po’ per il nostro sistema troppo schiavo della burocrazia, un po’ per la nostra mentalità eccessivamente individualistica – siamo in grado realmente di passare ai fatti.

Un’idea può essere sempre quella di osservare gli altri. Non copiarli. Perché ogni Paese è differente, ha una storia differente, ha una cultura differente, ha un approccio differente. Ma guardare ad esempi virtuosi per prendere alcuni insegnamenti e calarli nella nostra realtà è sempre possibile. Anzi. Non è solo possibile. È consigliabile.

Paga di più – lo dimostra la storia – creare un’identità dal basso e costruire dal basso piuttosto che acquistare a peso d’oro il campione straniero che fa vendere le magliette, senza poi avere intorno la possibilità di costruirgli un contesto adeguato poiché quasi tutti i denari sono stati spesi per lui. Le tre squadre che hanno probabilmente più inciso nella storia della Coppa Campioni – insieme al Real Madrid del quinquennio 1955/1960 – ossia l’Ajax degli anni ’70, il Milan a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, il Barcellona di Guardiola, hanno avuto tutte alcuni denominatori comuni. Una società alle spalle che aveva una visione organizzativa e gestionale tale che ha permesso di fare investimenti molto cospicui sulle risorse interne.

Il Barcellona di Guardiola: spettacolo, organizzazione e una filosofia che nasce dal vivaio

Sia l’Ajax sia il Milan sia il Barcellona avevano nelle loro fila molti elementi provenienti dal settore giovanile o che comunque sono stati acquistati a costi contenuti da formazioni minori del proprio Paese. Sono stati forgiati gruppi di giocatori autoctoni. È stata forgiata un’identità. E solo una volta che determinate fondamenta sono state gettate, si è proceduto con investimenti mirati per potenziare ulteriormente l’organico e portarlo a un livello superiore. Il Bayern Monaco di oggi, da molti additato giustamente come modello di società sana, virtuosa e vincente, segue la stessa linea. Non è un caso che nella formazione dei campioni d’Europa e del mondo la metà dei giocatori o più siano sempre tedeschi, ragazzi in alcuni casi cresciuti nel settore giovanile e in altri acquistati da club tedeschi. Lewandowski è una ciliegina su una torta artigianalmente preparata, non un ufo che non c’entra niente con il progetto. E qualsiasi riferimento alla scelta operata dalla Juventus con l’acquisto di Cristiano Ronaldo è voluto…

Bilancio degli ottavi: top& flop

IL MIGLIORE Kylian Mbappé PSG
Il nuovo che avanza. Forse con Erling Håland il futuro dominatore del calcio mondiale. Demolisce quel che resta del Barcellona con una prova superba all’andata, va in gol anche al ritorno e conferma quelle doti di velocità, scaltrezza e prepotente atletismo con cui aveva stupito il mondo al Mondiale 2018.

IL PEGGIORE Cristiano Ronaldo Juventus
Nella fragorosa eliminazione della Juventus (la grande delusione degli ottavi con l’Atletico Madrid), il flop per eccellenza è il suo. Malissimo all’andata, ancora peggio al ritorno, quando – a parte l’assist un po’ fortuito per Chiesa – è stato davvero un fantasma, risultando addirittura nocivo per le sorti bianconere con quel saltello senza guardare il pallone sulla punizione decisiva di Sérgio Oliveira.

Il borsino dei quarti

BAYERN MONACO – PSG
Pronostico:
50-50.
Forse la finale anticipata. La riedizione dell’ultimo atto 2020 che vide il successo tedesco. Da un lato la corazzata di Flick, organizzata, solida, completa, flessibile tatticamente, capace di sprigionare un calcio tecnico, fisico e moderno. Quasi senza punti deboli, a parte una difesa non perfetta (ma alle spalle c’è pur sempre il miglior portiere del mondo). Dall’altra l’esuberanza dei parigini, formazione in crescita e più sicura dei propri mezzi rispetto a qualche anno fa, con alcune individualità straordinarie: su tutti Neymar e Mbappé. Ma anche il “nostro” Verratti, oramai campione maturo e affidabile.

MANCHESTER CITY – BORUSSIA DORTMUND
Pronostico:
60-40.
Sulla carta, il City è favorito. Squadra forte e strutturata, capace di giocare un grande calcio. Un difetto? Non sembra avere le individualità eccezionali di altre contender. Alla lunga è un handicap che potrebbe costare caro, soprattutto in una competizione tirata come la Champions, dove a fare le differenza sono anche le grandi giocate dei singoli. In pratica, per rendere al massimo, il City deve giocare sempre al massimo. Contro avrà il Borussia Dortmund. Più debole, ma con alcuni nomi da tenere d’occhio. Su tutti il micidiale Håland, mister un gol a partita. A proposito di quei picchi individuali che al City forse un po’ mancano, il norvegese potrebbe fare malissimo alla difesa inglese. Dopo le clamorose eliminazioni subite nei quarti da Monaco, Tottenham e Lione, stavolta la squadra di Guardiola ce la farà a centrare la semifinale?

REAL MADRID – LIVERPOOL
Pronostico:
65-35.
Due squadre che hanno poco o nulla da chiedere ormai al fronte interno e riverseranno tutto il loro arsenale sulla Champions. Due squadre di grandissima tradizione europea (13 Champions per i blancos, 6 per i reds). Il Real, tornato sotto la guida dell’ottimo Zidane, sembra più solido, quadrato e determinato. Gioca molto all’italiana, con una difesa bassa e accorta e ripartenze di qualità, sfruttando capacità tecniche che tra Modric e Kroos, Benzema e alcuni giovani rampanti, hanno pochi eguali in Europa. Il Liverpool ha nei soliti Salah e Mané gli uomini in più. Ma il Real ha qualcosa in più.

CHELSEA – PORTO
Pronostico:
65-35.
Sulla carta, il quarto di finale meno elettrizzante. Il Chelsea con Tuchel ha ritrovato la gioia di giocare e di vincere. Ha eliminato da sfavorito l’Atletico Madrid e punta a ritrovare una semifinale di Champions che a Stamford Bridge manca dal 2014. Anche il Porto negli ottavi ha preso uno scalpo illustre, quello della Juventus. Portoghesi meno forti, ma guai a sottovalutarli.

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