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L’Architetto Luis Suárez di Marco Pedrazzini, Gemini Grafica Editrice

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È stato il regista della Grande Inter. Ne ha incarnato valori, orgoglio, attaccamento e passione per la maglia. Ne ha disegnato sul campo le geometrie e contribuito in modo decisivo a costruirne le tante vittorie.
Luis Suárez Miramontes, per tutti semplicemente Luisito, rivive nella bella biografia, corredata da una ricca e suggestiva galleria fotografica, “Luis Suárez l’Architetto” di Marco Pedrazzini.

Il galiziano di La Coruña muove i suoi primi passi nella Perseveranza, squadra del Collegio salesiano della parrocchia intitolata a San Tommaso, guarda caso il patrono degli architetti.
Ben presto mostra tutte le sue qualità. Il debutto con la maglia del Deportivo La Coruña mette i brividi: l’avversario è nientemeno che il Barcellona. Nonostante la disfatta – 6 a 1 per gli azulgrana – la prestazione di Suárez è da applausi.
Il fuoriclasse ungherese Kubala, futuro compagno di squadra e asso del Barca, di lui dice: “Questo ragazzo farà molta strada, ha visione di gioco, fa girar palla. È molto bravo”.
È proprio il Barcellona a bruciare la concorrenza degli altri grandi club. Luis a 18 anni vesta la camiseta azulgrana.          La leggenda del club, Josep Samitier, lo accoglie con queste parole: “Questo moccioso con la sua classe farà dimenticare i nomi di Kubala, César e del sottoscritto”. Suárez cresce alla scuola di grandi maestri e, come riconosce, deve a Kubala i primi insegnamenti preziosi: “il modo di difendere la palla, il ‘taglio’ per servire un compagno in diagonale, i lanci lunghi”.
E si sa, spesso gli allievi superano i maestri. Così, quando a guidare il Barcellona arriva Herrera – quello che una volta all’Inter diverrà il Mago – le gerarchie si invertono e Suárez inizia a farsi preferire a Kubala. Herrera ritiene Luisito pronto sotto tutti i punti di vista: “atleta dalla vita esemplare, disciplinato, eccezionale organizzatore di gioco. Lo considero il legittimo erede di Alfredo Di Stefano”.
Proprio il fuoriclasse delle merengues, la Saeta rubia, qualche anno fa in una delle sue ultime interviste si pronunciò così: “Suárez fu un calciatore stupendo. Un crack. Tra i migliori giocatori spagnoli che sono esistiti insieme a Xavi e Iniesta”. 
Fu proprio l’immenso Don Alfredo a soprannominare Luisito ‘El Arquitecto’, l’Architetto, “per la sua capacità di capire il progetto di svolgimento di una partita e di costruirla, fino al risultato, con il gioco”.
A Barcellona Suárez vince ma non entra in totale sintonia con il popolo azulgrana. 
Si impone però alla critica e vince il pallone d’oro del 1960. Quindi accetta il trasferimento a Milano, sponda nerazzurra. Sulla decisione influì molto un aspetto – precisa Luisito – : ”Sarei tornato da Herrera, il mio maestro, ma se non ci fosse stato il Mago non avrei accettato di venire in Italia”.
E proprio all’Inter, sotto la guida di Herrera, avviene la sua trasformazione. Da rifinitore diviene regista, si fa direttore d’orchestra e detta i tempi. I primi due anni sono di rodaggio, poi con lui centro ed epicentro della squadra, l’Inter diventa Grande.
Tra il ’62 e il ’66 vince 3 scudetti 2 coppe dei Campioni e 2 coppe Intercontinentali. Nel ’64 con la Roja, la nazionale di Spagna, si laurea campione d’Europa. È bicampione europeo di club e di nazionale nella stessa stagione, un record.
Herrera stravede per lui: “Uno dei migliori giocatori al mondo, vero motore della nostra squadra. Dà il ritmo di gioco e la profondità con i suoi passaggi impeccabili da 30 e 40 metri”.

Dopo 9 stagioni e tanti trionfi si chiude l’avventura della Grande Inter. C’è voglia di rinnovamento e Suárez, pur controvoglia, viene ceduto alla Sampdoria dove conclude la sua straordinaria carriera. Passa quindi a dirigere, questa volta però dalla panchina. Saranno più dolori che gioie, l’esperienza da allenatore è tuttavia impreziosita dal titolo di campione d’Europa vinto con i giovani dell’under 21 di Spagna.
L’Inter rimarrà sempre il suo grande amore. Verrà chiamato a guidarla ben quattro volte in situazioni di transizione ed emergenza dimostrando sempre dedizione e fedeltà ai colori nerazzurri.
Di lui rimane l’insegnamento legato alla sua magistrale interpretazione del ruolo di regista: “il centrocampista – dice Luisito – deve essere il padrone del campo. È lui che imposta, che detta, che sollecita, che inventa, che conclude”. Dal progetto alla sua realizzazione, Suárez fu un vero Architetto della pelota.

di Alessandro Sartore

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