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Essere Mike Tyson, di Andrea Bacci

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È stato uno dei più grandi pesi massimi della storia, di certo quello che ha fatto più parlare di sé, dentro e fuori dal ring. Iron Mike – uno dei tanti soprannomi affibbiatogli  – è stato senz’altro un pugile fuori dal comune.
Andrea Bacci in Essere Mike Tyson, Lìminava alla scoperta dei luoghi, delle situazioni, dei personaggi che hanno contribuito a rendere il bambino introverso e solitario che coltivava la passione per i piccioni, il grandissimo atleta e il fenomenale pugile che abbiamo conosciuto.

Senza un padre e con una madre alcolista, Michael cresce privo di una guida, sulle strade del ghetto dove trascorre un’infanzia difficile. Viene spesso deriso per il suo fisico molto più sviluppato di quello dei suoi coetanei. Stanco dei continui abusi di cui è vittima si convince che, per essere rispettati sulle strade di Brownsville, paga di più l’uso della violenza che le buone maniere.

I continui reati lo portano a diventare ospite abituale di vari riformatori. Ed è proprio in uno di questi, quello ‘per irrecuperabili’ di Tryon, che il destino cambierà il corso della sua esistenza.  Lo nota un secondino ed ex-pugile medio-massimo professionista Bobby Stewart che lo presenta a Cus D’Amato, allenatore celebre per aver cresciuto Floyd Patterson (il più giovane campione dei massimi – dal 1956 al 1962-, prima di Mike). Il resto è storia. D’Amato, che fu per Tyson oltre al suo scopritore anche il padre che non ebbe mai, gli insegnò prima di tutto a schivare i colpi, poiché avrebbe sicuramente dovuto affrontare nella carriera pugili quasi sempre più alti di lui. Poi si concentrò nel canalizzare la devastante potenza a sua disposizione, affinandone la tecnica. Velocità di busto, gambe, braccia, precisione ed una prontezza di riflessi fuori dal comune, sono stati questi gli ingredienti che hanno prodotto il cocktail esplosivo e vincente.

È stato uno dei picchiatori più efficaci e temibili nella storia del pugilato come dimostrano i 44 ko ottenuti in 58 incontri, molti dei quali conquistati entro le prime riprese. Il libro di Bacci fa emergere in modo chiaro come la vicenda sportiva sia strettamente legata a quella umana. Il Tyson che sale sul ring si porta dietro, e dentro, le profonde cicatrici lasciate nell’anima dalla sua vita precedente. La tempesta di violenza che accompagna certi round dei suoi incontri e che lo ha reso celebre è quella frequentata a Brownsville perché, come ricorda l’autore, è vero il detto: “Puoi anche uscire dal ghetto, ma il ghetto non esce mai da te”.  Ma Tyson è stato anche altro. È stato il simbolo del male, ha fatto da catalizzatore delle paure e della rabbia di larga parte della società americana che – ad eccezione di D’Amato che lo ha trattato come un figlio, accogliendolo nella sua casa – lo ha usato, esaltato e venerato. Poi, una volta caduto in disgrazia, lo ha gettato. Di certo, la boxe con Tyson è entrata in un’altra dimensione. Nessun altro pugile, forse nemmeno Muhammad Alì, è riuscito a crearsi attorno un alone di fascino perverso e di attenzione mediatica quanto lui.

Alessandro Sartore

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