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Da Dachau al tricolore, di Stefano Bedeschi

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Dagli orrori della prigionia in un campo di concentramento alla gioia per la conquista dello scudetto.
In mezzo, la vita con le sue pagine liete e tristi, tutte attraversate con coraggio, simpatia e semplicità.
È riassumibile così la storia di Čestmír Vycpálek, raccontata da Stefano Bedeschi in Da Dachau al tricolore, Urbone publishing.

È, come dice l’autore, la dedica ad un uomo eccezionale. Ma anche un uomo come tanti, con un grande amore per il pallone e per l’Italia, sua terra di adozione.
Il viaggio di Cesto, diminutivo affibbiatogli da un amico, parte dalle periferie della vecchia Praga. Qui, inizia a ‘menar pedate a tutte le palle di pezza’. Il padre crede in lui e lo vede calciatore, magari della ‘sua’ Slavia, la madre lo vuole diplomato. Čestmír riesce in entrambi i campi. Ma sul suo cammino incontra la guerra. Viene internato nel lager nazista di Dachau. Il racconto di Vycpálek: ‘Solo chi c’è entrato può sapere quanto sia stato difficile, quasi un miracolo uscirne. Vi passai otto mesi di sofferenze inaudite, di privazioni enormi. Solo chi è passato attraverso queste esperienze può capire che valore ha la vita e non impressionarsi più di nulla’.


Il ritorno alla vita significa per Čestmír il raggiungimento dei suoi sogni. Lo Slavia lo accoglie tra le sue fila e lui mostra di che pasta è fatto. Così lo descrive Bedeschi: ‘Giocatore di classe, aveva un carattere forte, trascinatore, da leader. Assomigliava come tipo di gioco a Giovanni Ferrari: aveva un’ottima tecnica, un eccellente controllo di palla e una buona visione di gioco e la capacità di valutare le situazioni tattiche per comportarsi di conseguenza. Quando si avvicinava all’area di rigore diventava molto pericoloso per gli avversari perché era dotato di un tiro molto potente e preciso’. Conclusa la carriera di calciatore, si rimette in gioco come allenatore, confermando tutte le sue qualità. Dopo esserci stato da atleta nel ’46, torna alla Juventus da ‘mister’ nelle stagioni ’71-’72 e ’72-’73. Sotto la sua guida i bianconeri conquistano due scudetti consecutivi. Il primo dopo un testa a testa con il Torino di Giagnoni, il secondo dopo una clamorosa rimonta sul Milan che a sei giornate dalla fine aveva cinque punti di vantaggio.

In un’intervista di Hurrà Juventus del ’73 si  descrive così: ‘leale, tranquillo, comprensivo, non serbo rancore e sono cordiale con tutti’. È il grande Vladimiro Caminiti a dare la misura del Vycpálek allenatore: ‘ è un preparatore che usa la dolcezza al posto della frusta, la persuasione al posto del comando. I suoi allenamenti sono ispirati a immenso amore per il calcio; i suoi allenamenti atletici sono dosati nel modo giusto per un calciatore professionista di serie A. Nei momenti difficili, davanti alle disavventure più crudeli la saggezza di Vycpálek aiuta i ragazzi a maturare in fretta. Ecco cos’è un trainer, un padre di famiglia’. Un’analisi perfetta quella della grande firma del Tuttosport. Insieme a Nils Liedholm, Vycpálek è l’unico allenatore non italiano ad aver ricevuto il prestigioso premio del Seminatore d’oro. 

Alessandro Sartore

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