Sono passati ormai più di 15 anni dall’avvento di Pep Guardiola sulla panchina del Barcellona, un matrimonio destinato a cambiare definitivamente la storia del calcio, e la concezione che abbiamo di esso. I ripetuti trionfi dei blaugrana nel decennio successivo, portatori di un impatto culturale impressionante se rivisti con gli occhi di oggi, non sono però mai andati troppo a genio all’ala più conservatrice del dibattito calcistico. Non di rado infatti, in molti si sono sentiti in dovere di “smascherare” i catalani, come se non fosse possibile fare incetta di titoli esibendo al tempo stesso la proposta di gioco più affascinante che si sia mai vista.
Chi è Busquets
Tralasciando le ipotesi più complottiste, che spaziano da arbitri compiacenti (“Porquè Ovrebo? Porquè Busacca?“) a ormoni della crescita con effetto dopante, uno dei tentativi più ricorrenti di ridimensionare i giocatori del Barcellona consiste nello sminuirli appioppando loro questa infamante etichetta: “giocatore da sistema“. Soltanto un impianto di gioco collaudato ai limiti della perfezione permetterebbe infatti a giocatori poco prestanti dal punto di vista fisico di esprimersi a un tale livello, oscurandone le lacune destinate a emergere in contesti di rango inferiore. Nonostante queste accuse, a tratti, non abbiano risparmiato nemmeno lo stesso Messi (le cui sconfitte in Nazionale sembravano una prova lampante dell’impossibilità di affermarsi lontano dal Camp Nou), chi più di ogni altro ha sfruttato al massimo la propria natura di “giocatore da sistema” è stato Sergio Busquets.
A posteriori, rileggere articoli di giornale o vecchi forum in cui si parla di Busquets, può provocare diverse reazioni: una risata, un po’ di sudore freddo, oppure, come nel mio caso, l’esigenza di dovergli chiedere scusa. Chiedergli scusa a nome di un Paese che, rimasto ancorato all’epica operaia degli Oriali e dei Gattuso, non era ancora in grado di abbracciare la rivoluzione del gioco di posizione, capace di trasformare in capomastro anche quello che, un tempo, sarebbe stato il più anonimo dei manovali. Ancor più delle ottime doti di interdizione, di Busquets ricordiamo infatti una caratteristica divenuta ormai irrinunciabile per qualsiasi centrocampista di alto livello: la capacità di eludere il pressing avversario, spesso nella maniera più astuta e creativa possibile.
Per certi versi, è proprio questo suo sadismo da torero ad aver reso Busi uno dei giocatori più frustranti da affrontare nell’intera storia del calcio. Per più di 10 anni, Busquets ha disseminato di trappole i campi di gioco di tutto il mondo, tra una finta di corpo di qua, e un pallone impercettibilmente ripulito con la suola di là, obbligando attaccanti imbufaliti a spremersi di fatica per rincorrerlo senza successo. Non è un caso dunque che la genesi del Barcellona pigliatutto coincida con l’avvento tra i professionisti di un giocatore così peculiare, e in tal senso limitato nella sua grandezza.
Busquets debutta in prima squadra nel settembre del 2008, pressoché contemporaneamente all’inizio dell’era guardioliana; poco meno di 2 anni dopo, nel luglio del 2010, il pivot catalano alza la Coppa del Mondo al cielo di Johannesburg. Nel mezzo, un Sextete storico vinto con il Barça, facendo sloggiare dalla mediana Yaya Touré, campionissimo totalmente agli antipodi con l’idea di calcio incarnata da Busquets. Pur essendo l’ultimo arrivato nello stellare centrocampo della Spagna, risulta fin da subito insostituibile nello scacchiere di Vicente Del Bosque, capace di coniare la frase che più di ogni altra riassume l’impatto silenzioso di Busi nel club e in Nazionale: «Se guardi la partita, difficilmente ti accorgerai di Busquets, ma se guardi Busquets, riuscirai a capire lo svolgimento dell’intera partita».
Chi è Rodri
Risulta difficile invece, guardando una partita del Manchester City o della Spagna odierna, non accorgersi di Rodrigo Hernández Cascante, o più semplicemente Rodri. Separato da otto anni di differenza con Busquets, di cui è da sempre l’erede designato, la continua crescita dell’ex mediano dell’Atletico Madrid nelle ultime tre stagioni agli ordini del solito Guardiola, è stata semplicemente impressionante. La svolta della carriera di Rodri avviene nel 2021, al termine di una stagione chiusa in maniera abbastanza amara; dopo avergli fatto raccogliere il testimone di Fernandinho come uomo chiave davanti alla difesa, Pep lo esclude dalla formazione titolare dei Citizens in occasione della finale di Champions League contro il Chelsea. Un errore madornale, tra i più incomprensibili della carriera di Guardiola (forse il picco dell’overthinking su cui si è tanto ironizzato nel corso della sua esperienza inglese), che costerà la Coppa dalle grandi orecchie al City.
Da quella notte in poi, le cose dalle parti dell’Etihad Stadium cambieranno per sempre: il Manchester City ammirato nelle 3 annate successive è sostanzialmente composto da Rodri ed altri 10 uomini, diventando una squadra ancora più orientata al controllo del gioco rispetto a prima. Lui stesso, con la somma supervisione di Guardiola, scopre di avere qualità fin lì inespresse, o esplorate soltanto in parte. Da semplice mediano posizionale, Rodri entra in una dimensione completamente nuova, quasi da centrocampista box-to-box; la sua prestanza fisica, abbinata a una protezione del pallone tipicamente iberica, lo rende estremamente efficace nelle conduzioni in verticale, fondamentali per risalire il campo. La vera arma segreta del ragazzone madrileno tuttavia è un’altra, ossia un insospettabile feeling con la porta avversaria: i gol di Rodri, oltre a non essere affatto pochi per un vertice basso, non sono mai banali per fattura e per importanza.
Nel 2022, così come in quest’ultima stagione, i Citizens si sono aggiudicati la Premier League soltanto all’ultima giornata, e in entrambi i casi, nel momento più decisivo della stagione, non è mancata la firma indelebile di Rodri, specializzatosi nel finalizzare dal limite dell’area i tipici cut-back guardioliani. Proprio in questo modo, del resto, Rodri ha messo a segno il gol più importante della propria carriera (oltre che dell’intera storia del Man City), nella finale di Champions League del 2023 ad Istanbul contro l’Inter. L’ascesa inarrestabile di quello che, ad oggi, è indubbiamente il miglior centrocampista al mondo, è proseguita in Germania in occasione di EURO 2024. Rodri si è infatti imposto fin da subito come leader tecnico di una Spagna nuova ma fedele ai propri principi, capace di eliminare in sequenza le principali favorite per il titolo (Germania, Inghilterra e Francia), sciorinando ininterrottamente il miglior calcio della competizione.
Il confronto
Non potrebbe dunque esserci momento più insidioso di questo per mettere a confronto Busquets e Rodri; il primo ha imboccato da diverso tempo il viale del tramonto, abbracciando un pre-pensionamento da sogno all’Inter Miami, mentre il secondo, eletto MVP dell’Europeo, sembra più che mai in odore di Pallone d’Oro. Provando a tirare le somme, dunque, i punti a favore di uno o dell’altro sembrano coincidere quasi perfettamente: a parità di età (fermandoci dunque al 2016 per Busquets), il catalano può vantare un palmarés più ricco, ed un’impronta maggiore nella storia recente del gioco, complice anche l’aver fatto parte della squadra più influente del nuovo millennio. Il castigliano, d’altro canto, è diventato probabilmente un giocatore più completo e decisivo del suo predecessore, non limitandosi a lavorare da ingranaggio silenzioso, ma capace anche di ergersi a primo violino all’occorrenza.
Il potenziale ingresso di un mediano nell’albo del Pallone d’Oro tuttavia, potrebbe costituire un’enorme vittoria anche per lo stesso Busquets, il quale, pur non riuscendo mai a competere neanche lontanamente per tale premio (classificandosi tuttalpiù al 20° posto nel 2012), ha indubbiamente spianato la strada a tutti i suoi successori, Rodri in primis.