Immagine di copertina: il Real esulta dopo il faticoso successo sullo Stoccarda.
Secondo Alberto Cerruti le merengues restano comunque la squadra da battere
In principio c’era la Coppa dei Campioni: una squadra per Paese, quella che l’anno prima aveva vinto il campionato nazionale. Poi è venuta la Champions League e il numero di formazioni per ogni nazione – e di conseguenza il numero di partite – è via via lievitato sino a quota 32.
Quest’anno una nuova rivoluzione: 36 formazioni, addio alla formula dei gironi, ecco un campionato unico stile Eurolega di basket, con otto partite invece che sei (quattro in casa e quattro in trasferta, senza più l’andata e il ritorno); le migliori otto qualificate direttamente agli ottavi di finale; dalla 9ª alla 24ª ai sedicesimi; dalla 25ª alla 36ª eliminate.
Abbiamo chiesto ad Alberto Cerruti, storica prima firma del calcio per la Gazzetta dello Sport (è entrato alla Rosea dal 1974) di fare il punto su questa nuova Champions.
Le piace questo nuovo format della Champions?
Non mi convince, perché trovo illogico che non si incontrino tutti gli avversari. È come se nel campionato italiano l’Inter affrontasse la Roma e non la Lazio, mentre il Milan giocasse contro la Lazio e non contro la Roma. Sarebbe più sensata una soluzione in cui si incontrano tutti. Il vecchio formato dei gironi mi piaceva di più, c’erano scontri diretti e si poteva vedere la differenza tra andata e ritorno su due partite.
Questa nuova Champions è un antipasto della Superlega? E la Superlega secondo lei sarà il futuro del calcio europeo?
Non è un antipasto della Superlega, si tratta di due competizioni diverse. Ma non mi sorprenderei che si arrivasse alla Superlega prima o poi, anche se adesso è ancora presto, evidentemente. Quando è nata la Coppa dei Campioni non c’erano tutte queste squadre, poi è successo. Il calcio è inevitabilmente soggetto ai cambiamenti.
Lei è tifoso del Real Madrid, la squadra regina della Champions con 15 successi. Quando e da dove nasce questa passione per le merengues?
Da bambino, quando con i miei amici giocavo con le biglie sulla spiaggia, tutti erano tifosi della Juventus, dell’Inter, del Milan. A quei tempi le biglie avevano le figurine e un amico ne aveva una del Real. E mi disse: “Io tifo per il Real”. Così lo dissi anche io. Era un modo per stupire, per essere alternativo, per non sentirmi etichettato. Quando poi ho iniziato a fare il giornalista e per motivi professionali ho frequentato l’ambiente del Real, conoscendo presidenti, allenatori, giocatori, ho capito che era un club unico, di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri. La presenza di allenatori italiani come Capello e oggi Ancelotti ha rinforzato ulteriormente le mie convinzioni e il mio supporto.
Il Real è campione in carica e ha aggiunto Mbappé ed Endrick a un organico già stellare. È sempre la favorita?
È la favorita, ma non la super favorita, anche perché ripetersi è molto difficile. E ci sono tante avversarie di ottimo livello. La scorsa stagione la favorita era il Manchester City, che poi non ha vinto. Sono discorsi che lasciano il tempo che trovano, spesso essere favoriti è un peso più che un vantaggio.
A proposito di peso, quanto il Real sarà influenzato in negativo dall'assenza di Kroos?
Moltissimo, e lo stiamo già vedendo in queste prime giornate. Lo scorso anno ho parlato con Ancelotti, e lui sperava che tra Kroos e Modric rimanesse Kroos. Lo riteneva più importante, d’altronde era un titolare fisso mentre Modric entra solo nei finali, senza dimenticare che Kroos ha cinque anni in meno. Il Real sta soffrendo molto la sua assenza, concede troppo e manca un regista capace di dettare i tempi come faceva il tedesco.
Il Real non è partito a tutta, ma poi esce sempre nei momenti decisivi, e in una finale rimane l'avversario che tutti vogliono evitare...
È una squadra che emerge quando conta. Vedi anche la finale di Supercoppa Europea contro l’Atalanta. La forza del Real è quella di venire fuori alla distanza, quando ha senso farlo. Anche in questa prima giornata di Champions ha sconfitto 3-1 lo Stoccarda segnando il terzo gol nel recupero. Il Real è un club unico per carattere, storia e abilità dei suoi campioni.
Mbappé e Vinicius per ora sembrano pestarsi un po' i piedi. Riusciranno a coesistere e quanto sarà fondamentale il lavoro di Ancelotti?
Il lavoro di Carletto sarà determinante, riuscirà a farli coesistere nello spogliatoio senza creare gelosie e divisioni. Con il tempo troveranno il legame ideale, ne sono convinto. Il problema del Real non è la coesistenza tra Mbappé e Vinicius, è la difesa. Rischia troppo e non potrà essere sempre salvata dalle parate di Courtois, del quale si parla sempre poco, ma che oggi è il miglior portiere del mondo.
Il Manchester City sembra la rivale più accreditata, ma potrebbe essere distratto dal processo in seno alla Premier che lo vede accusato di 115 irregolarità finanziarie. Quanto sarà influenzata da questa vicenda la squadra di Guardiola?
Non penso che il processo influirà, anzi. Potrà essere un motivo di unione in più per dimostrare che la squadra è forte.
Ancelotti e Guardiola sono i migliori allenatori del mondo al di là del fatto che allenino i migliori club?
Il migliore è Ancelotti perché ha vinto dappertutto e ha vinto più di Guardiola. Ha conquistato cinque Champions, due in più del catalano, e il titolo nei cinque campionati più importanti d’Europa: quello italiano, quello inglese, quello spagnolo, quello tedesco e quello francese. Guardiola è un grande allenatore, ma ha un’esperienza più ridotta, ha vinto la Champions al Barcellona e al City, per altro al termine di una finale in cui ha rischiato di perdere contro l’Inter. Guardiola ha sempre vinto da favorito. Ancelotti ha vinto anche quando favorito non lo era.
Abbiamo parlato delle due favorite, Real e City. La terza incomoda chi sarà? Il Bayern, il Psg, un redivivo Barcellona, l'Arsenal, la nostra Inter?
Dico il Bayern Monaco. È partito benissimo. Ha la finale in casa. È una squadra assetata di rivincita, perché viene da un anno in cui non ha vinto nulla. Ha una storia alle spalle, e la storia in Europa conta.
Chi sarà la stella della Champions? Mbappé, Vinicius, Bellingham, Håland oppure il giovanissimo ma già fenomenale Yamal?
Potrebbero essere Yamal ed Endrick, mi piacciono molto tutti e due. Sono i più giovani, hanno meno esperienza di altri campioni conclamati, ma potrebbero essere i giocatori in più, questo senza nulla togliere a Mbappé e Håland.
Quale potrebbe essere la squadra sorpresa?
Punto sull’Arsenal, che negli ultimi anni ha compiuto un bel salto di qualità, viene da due ottime stagioni in Premier League e ha una squadra molto forte.
Parliamo delle italiane. Analizziamole una ad una e vediamo dove possono arrivare...
Partiamo dall’Inter, che è sicuramente la nostra squadra più forte. È arrivata in finale due anni fa, ha una struttura e un’esperienza consolidate. Penso non avrà problemi a entrare nelle prime otto, qualificandosi direttamente agli ottavi. Idem la Juventus, che dopo l’Inter è l’italiana più forte. Il Milan non lo vedo bene, credo che potrà qualificarsi tra il 9° e il 25° posto per i sedicesimi, ma sarà difficile che si spingerà oltre. L’Atalanta è una mina vagante, non ha molta continuità, ma è un progetto in crescita e con vocazione europea. Penso che ai sedicesimi, come il Milan, potrà arrivare, ma tutto dipenderà da come Gasperini saprà gestire il turnover con il campionato. Infine, la sorpresa Bologna. Non penso arriverà lontano, ma giocherà senza pressioni, senza nulla da perdere.
Negli scorsi giorni è uscita una statistica secondo la quale in Serie A solo il Monza ha più del 50 per cento di giocatori italiani in rosa. E la nazionale fatica a produrre talenti. Qualche tempo fa l'allenatore Gianni De Biasi ci ha detto che per lui i talenti in Italia ci sono, ma non si ha l'attenzione e la pazienza di valorizzarli. Lei che ne pensa?
Sono d’accordo con De Biasi: i giocatori italiani ci sarebbero, anche se mancano i campioni di una volta. Porto l’esempio di Cutrone, oggi uomo chiave del Como. Lui era del Milan, ma il Milan se ne liberò subito senza dargli una reale chance. Credo che oggi Cutrone sarebbe un titolare del Milan al posto di Morata. Ci sono tanti, troppi, giocatori che vanno via presto dai club in cui sono cresciuti. L’idea di spedire i giovani in prestito “a farsi le ossa” è una stupidaggine. I giovani devono stare in panchina, attendere il loro momento e quando questo verrà dimostreranno se valgono o meno la titolarità nel loro club. I giovani che vanno in provincia nove volte su dieci si perdono.