Abbiamo raggiunto e intervistato il leggendario difensore degli anni ’80 e ’90 Filippo Galli, soprannominato lo “squalo bianco di Villasanta”, fondatore e titolare del blog www.filippogalli.com, un blog che esplora “la complessità del calcio” presente e passato e su cui si trovano alcune delle analisi e riflessioni più originali in materia di football: Galli non è mai stato banale in campo e non lo è neppure oggi che si occupa di raccontare il suo sport.
Iniziamo dagli albori della tua carriera. Hai debuttato a Pescara nel 1982 e subito dopo hai traslocato a Milano, alla corte di Castagner. Dopodiché, sulla panchina del Milan, si è accomodato il Barone Liedholm. Quali sono i tuoi ricordi degli anni trascorsi alla corte dello svedese?
Liedholm era una persona straordinaria, quando ha fatto ritorno sulla panchina del Milan era reduce dalle trionfali stagioni di Roma e per me è stato un maestro, sia sul piano umano che sul piano sportivo. Ha introdotto nella nostra organizzazione alcuni principi della zona e ci ha aiutati a vedere il calcio in maniera diversa, anticipando quella che sarebbe stata la rivoluzione di Sacchi.
Nel 1987 arriva Arrigo e ancora oggi, tra appassionati, si discute del suo impatto sulla vostra squadra e più in generale sul calcio italiano dell'epoca.
Arrigo (leggi qui per un approfondimento su di lui) ha rivoluzionato la nostra mentalità, il nostro approccio: voleva sempre vincere e dominare la partita, sia in casa che in trasferta, e preparava in maniera certosina tutti i dettagli di ogni sfida, anche sul piano tattico. I suoi insegnamenti hanno avuto un grande impatto su tutto il movimento italiano, perché hanno introdotto un approccio che prima si vedeva molto raramente: e invece, dopo il nostro Milan, diversi club anche meno grandi hanno adottato una strategia più aggressiva e hanno cercato di controllare il gioco anche in trasferta.
Arrigo è stato fondamentale anche per come ha lavorato sulla preparazione fisica e sul piano agonistico?
Sicuro. Oggi non allenerei mai una squadra nello stesso modo in cui lo faceva Arrigo al tempo: i suoi allenamenti erano molto duri e sfiancanti, ma lavoravamo tantissimo a secco (senza palla, quindi) e oggi nessuno adotta una strategia simile. Ciò non toglie che, al tempo, proprio il duro lavoro di Sacchi sulla preparazione fisica ci ha consentito di giocare ad altri ritmi e con grande intensità per novanta minuti, specie nelle partite più importanti.
Per quali ragioni, a tuo parere, non è riuscito a replicare altrove i risultati straordinari ottenuti al Milan, anche sul piano del gioco e della resa collettiva?
In nazionale Arrigo ha perso una finale ai rigori e non credo quindi che i suoi risultati siano stati negativi. Per il resto, le sedute diradate della nazionale non favorivano l’assimilazione delle sue regole e non gli consentivano di plasmare la squadra a sua immagine e somiglianza. Credo poi che gli anni di Milano e da CT l’abbiano logorato sul piano fisico e mentale, impedendogli nell’ultima parte di carriera di allenare con la stessa intensità.
Veniamo a quello che reputo, e immagino condividerai, l'apice della tua carriera, ovvero la finale di Atene del 1994.
Per noi quella fu una serata perfetta (leggi qui per cronaca e pagelle). Il Barcellona partiva favorito, era una squadra tecnicamente fortissima e molto spettacolare, ma noi fummo bravi a contenerli bene in difesa, nonostante le assenze di Baresi e Costacurta, e poi a punirli con i nostri campioni. Il Barcellona ci capì poco, forse sottovalutò l’impegno e la nostra forza, e per noi fu un trionfo. Credo che quella sia la partita più importante di tutto quel lungo ciclo, anche con Capello abbiamo giocato senza accontentarci come negli anni di Sacchi, continuando ad attaccare e surclassando un grande avversario.
Due considerazioni su Franco Baresi e Paolo Maldini?
Parliamo di due fuoriclasse assoluti, Franco per me è stato e rimane tuttora IL capitano, un difensore e un leader straordinario. Quando ero un ragazzino mi recavo a San Siro per ammirarlo e l’ho visto vincere lo scudetto della stella, nel 1979, giocando come un fenomeno a 18/19 anni.
Domanda banale ma inevitabile: quali sono stati gli avversari più difficili che hai dovuto marcare nel corso della tua carriera?
I nomi sono abbastanza scontati: ho affrontato Zico, Maradona, Platini e altri grandissimi giocatori, a volte ho dovuto anche marcarli direttamente, nonostante giocassero da dieci classici, e mi sono reso conto di quanto fossero bravi. I due giocatori che in assoluto ho sofferto di più sono però stati Roberto Pruzzo, per la sua forza e l’incredibile cattiveria agonistica che metteva su ogni pallone, e l’attaccante brasiliano Walter Casagrande, che in Italia ha giocato con le maglie di Ascoli e Torino. Walter mi metteva in difficoltà per la mole fisica e perché era bravissimo a proteggere il pallone, rendendomi molto difficile giocare in anticipo, e l’anticipo è sempre stata la mia dote migliore.
Da bresciano non posso risparmiarti una domanda sugli anni che hai vissuto nella mia città. All'epoca ero abbonato al Brescia e quindi ho avuto la fortuna di ammirare in numerose occasioni la squadra dove hai giocato.
A Brescia ho vissuto tre stagioni splendide. Durante le prime due, in serie B, eravamo allenati da Baldini. Nel corso della seconda stagione è arrivato Nedo Sonetti e con lui abbiamo spiccato il volo, vincendo il campionato e ottenendo la promozione. Il Brescia della stagione 2000/2001 è stato una grande squadra, con Baggio, Pirlo arretrato a regista, i gemelli Filippini, Bachini, Hübner, e ovviamente Carletto Mazzone in panchina. Giocavamo un calcio molto piacevole e anche efficace, abbiamo ottenuto un ottavo posto storico per il Brescia.
Confermo, eravate una squadra bellissima e in grado di mettere in difficoltà anche le grandi. Per noi bresciani quelle stagioni restano indimenticabili, anche perché non vantiamo la storia dei nostri vicini bergamaschi. Dopo il triennio bresciano, sei emigrato in Inghilterra, e so che ancora oggi sei un grande amante del calcio inglese. Cosa ricordi della stagione di Watford? Quali sono le differenze più evidenti tra calcio italiano e calcio inglese?
Fu un’esperienza bellissima, seguii Gianluca Vialli e mi trovai quindi nella seconda divisione inglese, oramai prossimo ai quarant’anni. Ancora oggi ammiro le atmosfere che si respirano nei loro stadi. Sul piano stilistico, il calcio inglese, specie prima di Wenger e dello sbarco di tanti allenatori del continente come Guardiola, era ancora legato alle antiche regole del kick and run, durante la partita sentivo continuamente pronunciare le parole “in the box”, tutte le squadre volevano mettere ripetutamente il pallone in area con i cross e i duell aerei erano molto rustici e difficili. In generale, il calcio italiano è più tattico e ragionato, nel calcio inglese si punta di più sul ritmo e sui continui ribaltamenti di fronte e c’è meno organizzazione.
Passiamo, se sei d'accordo, all'attualità: so che sei un tifoso milanista di lunga data e allora ti chiedo, cosa pensi del Milan di questo inizio stagione?
Credo che la débâcle del derby non impatterà in maniera negativa sulla stagione, con il Newcastle ho rivisto un Milan in grado di imporre il proprio gioco e di sviluppare una manovra fluida. I nuovi arrivati secondo me hanno qualità e si stanno inserendo bene. Da un po’ di tempo purtroppo fatichiamo molto nei derby, il gioco di attesa dell’Inter e la sua capacità di farci male con gli inserimenti è per noi molto difficile da leggere e quindi abbiamo perso tutti gli ultimi derby. Le mie sensazioni sul prosieguo della stagione restano comunque positive.
Ultimissima domanda: come è cambiato il calcio dai tempi in cui tu eri uno dei suoi maggiori protagonisti?
Come in ogni altro sport, anche il calcio si registra una continua evoluzione. Oggi si punta molto sull’intensità e sul piano fisico le partite sono estremamente impegnative, corsa, mole e capacità di giocare ad altro ritmo sono essenziali. Io però apprezzo molto un calcio in cui, anche se non disponi di un fisico eccezionale, puoi fare la differenza con intelligenza, qualità etc.. Penso alla Spagna di alcuni anni fa: i suoi campioni erano chiaramente degli atleti ma non erano delle forze della natura, non facevano la differenza con l’altezza, la velocità, la forza pura, e anche per questo il loro calcio era molto bello da vedere.