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Vamos Cafeteros – i 10 giocatori colombiani più grandi del dopoguerra

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Immagine di copertina: Willington Ortiz, leggendario calciatore colombiano

Tempo fa abbiamo dedicato un pezzo a quello che potremmo definire l’altro Sudamerica, ovvero a quella parte del continente che nella storia del football riveste un ruolo più marginale, e l’abbiamo fatto raccogliendo il meglio di ciò che avevano da offrire tutte le scuole sudamericane che non siano quelle brasiliana, argentina e uruguaiana. Stante l’esaltante cammino nell’ultima Copa, che ha evocato lo splendore selvaggio della Colombia degli anni ’80 e ’90, quella in grado di ammutolire tutta Buenos Aires, di regalare uno spettacolo pirotecnico per poi spegnersi sul più bello a USA 1994, abbiamo deciso di dedicare un approfondimento al calcio colombiano. Il paese dei Cafeteros ha vissuto gli anni migliori tra ’80s e ’90s, portando spesso i propri club a contendersi la Coppa Libertadores e vincendone pura una, e regalando al pubblico di tutto il mondo uno spettacolo folle ed estasiante. Ecco quindi a voi i dieci giocatori più grandi del dopoguerra colombiano.

1) Willington Ortiz

Mi si perdoni il vezzo, una corona di numero uno che è soprattutto una scelta estetica: non è facile stabilire se Willington Ortiz, ala destra funambolica, il cui gioco possiede la scintilla, quella creatività istintiva e primordiale che è appannaggio solo dei giocatori del suo continente, sia stato effettivamente il miglior giocatore colombiano delle ultime decadi, ma io azzardo una risposta affermativa. Non sono l’unico a vederla in questo modo: anche la FIFA ha scelto Willington quale calciatore colombiano del ‘900, e l’ha fatto per ottime ragioni, in quanti l’ala destra occupa una posizione centrale nella storia e nella cultura sportive del suo paese: è stato il diamante grezzo della Colombia finalista in Coppa America nel 1975, il leader tecnico dei Milionarios e l’uomo di maggior classe dell‘America Calì tre volte finalista di Coppa Libertadores e tre volte sconfitto, punito da eventi sfortunati che assomigliano a una maledizione cosmica – maledizione che però non mi impedisce di riconoscere in lui uno dei massimi talenti sudamericani di tutta la sua epoca.

2) Carlos Valderrama

Il principale antagonista di Ortìz nell’immaginario collettivo dei tifosi colombiani è El Pibe Carlos Valderrama, una delle tante schegge di follia venute al mondo nel paese del caffè, un dieci sudamericano eccentrico fino al parossismo (la chioma, nel suo caso, è qualcosa di più di un simbolo, è quasi un proclama urlato in faccia al mondo), lento, pigro, sulla carta anacronistico già negli anni ’80 e ciononostante in grado di imporsi come uno dei migliori trequartisti del pianeta. Laurent Blanc, che ha avuto l’onore di condividere con lui maglia e spogliatoio durante l’agrodolce parentesi francese, ha riconosciuto in Carlos un giocatore tecnicamente sublime, in grado di “fare cose che la maggior parte di noi si sognava“, ma più adatto al ritmo cadenzato e al toque sudamericani che alla rigorosa organizzazione tattica e alla frenesia europee. Questo toglie poco al valore tecnico di Valderrama, che vive gli anni migliori al Deportivo Calì, quando diventa un punto fermo della nazionale e viene anche premiato come calciatore più bravo della Coppa America del 1987, venendo preferito a tale Diego Armando Maradona, e il premio è solo il preludio al primo dei due palloni d’oro sudamericani che ancora oggi adornano la sua bacheca. In nazionale, è fondamentale il contributo del Pibe alla crescita della Colombia nei primi anni ’90.

3) James Rodriguez

Come può definirsi un incompiuto un ragazzo che fa il vuoto sia un campionato del mondo (nel 2014) che in una edizione della Coppa America (2024), benché chiusa con una dolorosa sconfitta? Può, se si chiama James Rodríguez e porta sulle spalle il fardello di domande destinate a rimanere senza risposta per sempre. Gli americani usano due paroline per descrivere i giocatori che si smarriscono quando il vento della storia sembra soffiare alle loro spalle – “what if?” – e nella storia dei Cafeteros non esistono “what if” più cubitali e tormentati di quello dedicato a James. Il suo esordio con maglia del Monaco è fulminante: a 23 anni James è una delle stelle del campionato francese e in Brasile, durante il mondiale, si consacra come stella planetaria, giocando come nessun altro nel corso della rassegna iridata. Il suo rendimento e i suoi colpi di genio stuzzicano l’appetito del Real Madrid, che lo porta in Spagna e pregusta di scatenarlo alle spalle delle sue bocche da fuoco. La prima stagione madrilena, nonostante alcuni alti e bassi, lo vede brillare, tanto che la stampa specializzata spagnola lo celebra come uno dei giocatori chiave del campionato. Le stagioni successive, anche in ragione di ripetute rogne fisiche, lo vedono tuttavia progressivamente relegato ai margini e incapace di diventare quel punto di riferimento che il colombiano, all’esordio in maglia bianca, sembrava poter essere. Il resto della carriera assomiglia a una corsa sulle montagne russe, in cui i bassi tuttavia prevalgono per durata e intensità sugli apici, e il cui epilogo sembra giungere quando James torna al San Paolo, dimostrando di poter dire ancora la sua, sì, ma senza brillare particolarmente, nel calcio brasiliano. Viste le premesse, le prestazioni con cui ha illuminato il firmamento americano nel corso delle ultime settimane sono da mandibola per terra, e contribuiscono a consolidare la sua posizione sul podio. Chi scrive crede che, essendosi misurato anche con i maggiori club europei, James potesse ambire anche alla corona di Ortìz, che tuttavia gli sfugge in ragione dei numerosi passaggi a vuoto, che non vengono cancellati dalle magie in maglia Cafeteros.

4) Radamel Falcao

Valgono per Radamel Falcao considerazioni analoghe a quelle spese per James, e forse anche in forma amplificata. Getto subito la maschera: a mio parere, il Falcao ammirato tra 2009 e 2013 è senza troppi dubbi il giocatore colombiano più forte e decisivo mai apparso su questa Terra. Radamel era una sentenza: dotato della tecnica del giocatore sudamericano, era in grado di spostare la palla in una frazione di secondo, alla maniera di Hugo Sánchez, e univa il pregio della serialità a quello della decisività. I numerosi infortuni e una seconda parte della carriera più ombre che luci, fatta eccezione per un paio di stagioni in Francia, lo confinano al quarto posto, ma se mi chiedessero di scegliere un solo giocatore nato in Colombia, al top della condizione, opterei per El Tigre e la sua precisione quasi preternaturale sotto porta.

5) Luis Fernando Díaz

Chiaramente, la sua è una collocazione provvisoria, e sarei stupito se a fine carriera l’ala del Liverpool non fosse almeno sul podio. L’esterno di Barrancas, giovanissimo protagonista in patria, a 22 anni è emigrato in Portogallo (campionato che presenta diverse analogie con quelli sudamericani e che infatti diventa spesso la loro porta d’ingresso nel Vecchio Mondo) e ha dimostrato subito di possedere doti tecniche in dosi industriali e la capacità di saltare con frequenza sorprendente l’uomo nell’uno contro uno. A Liverpool, nel corso di tre stagioni brillanti, Luis si è confermato come il giocatore più estroso della squadra, di cui è diventato un punto fermo inamovibile. In nazionale, ha già messo a referto 14 reti in 54 partite, confermandosi un campione.

6) Andrés Escobar

Un campione dal tragico destino, come il nostro Gaetano Scirea, ecco cosa è stato il difensore colombiano Andrés Escobar. Destino che fa ancora oggi schiumare di rabbia, anche più di quello di Gai, perché come sappiamo tutti Andrés ha trovato la morte per mano della criminalità organizzata del suo paese, che l’ha punito per un autogol sfortunato in quel di Pasadena, cittadina californiana che per noi italiani è maledetta a causa di un rigore sparato alle stelle, mentre per i colombiani è la madre di tutte le sventure e di una morte precoce, violenta e inaccettabile. A prescindere da quanto avvenuto a Medellín il 2 luglio di trent’anni fa, Escobar merita una posizione alta in graduatoria per il giocatore che ha dimostrato di essere: “libero” elegante, tecnico e determinato, leader statuario e persona colta (tanto da guadagnarsi l’ammirazione di Gabriel García Márquez), Andrés per otto anni ha guidato la difesa dell’Atlético Nacional e ha condotto per mano la sua squadra a vincere la Coppa Libertadores e a far sudare le proverbiali sette camicie al Milan degli invincibili. L’Atlético di Maturana incarnava la versione latina del sacchismo, sfruttava più dei rossoneri il possesso palla prolungato e cadenzato, ma sapeva anche soffocare gli avversari con il pressing, e proprio l’efficacia del palleggio e del pressing fu l’arma che mise in crisi i più quotati rossoneri.

7) Faustino Asprilla

A Parma e credo anche a Newcastle circolano ancora voci leggendarie sulle nottate di Tino Asprilla, altro autentico pazzo che poteva nascere solo in quella parte del mondo, grande talento, atleticamente esplosivo e tecnicamente eccellente, utile più come apriscatole che come uomo gol, ma non allergico alla rete e soprattutto alla rete che pesa (qualcuno ricorda la punizione capolavoro che scrive la parola fine sul record del Milan, nel 1993?). L’uomo più imprevedibile del Nacional che mette in crisi il Milan, dopo tre stagioni in crescendo, si trasferisce nella ricca Serie A e fa innamorare una città intera, con le sue sgroppate palla al piede, le sue mattane e le sue invenzioni. Tino con il Parma vince la Coppa delle Coppe e quindi, esaltato da un partner come Zola, chiude un paio di stagioni in doppia cifra e conferma di essere un giocatore di spessore internazionale. La breve esperienza a Newcastle sarà meno felice ma lo vede comunque protagonista di una storica tripletta al Barcellona in Champions. In nazionale, Asprilla è il giocatore “dispari” di una Colombia che è tutta dispari e ed grande protagonista soprattutto delle qualificazioni ai mondiali del 1994 e del 1998.

8) Arnoldo Iguarán

Arnoldo Iguarán è stato una sorta di precursore di Falcao: uomo gol preciso e continuo, dotato di una tecnica superiore alla media, ha fatto le fortune di Milionarios e Cúcuta Deportivo, ha conquistato titoli di capocannoniere ovunque, sia in Libertadores che nel campionato del suo paese che, infine, nella Coppa America del 1987, torneo rappresenta il suo apogeo personale accanto alla Copa dell’anno successivo, nell’ambito del quale Arnoldo è il trascinatore dei suoi Milionarios. A fine anno, la sua super stagione gli vale un posto nella squadra ideale del Continente. Ancora oggi, Arnoldo è il secondo marcatore all time della nazionale colombiana e viene sempre nominato dai giornalisti del suo paese quando si parla dei massimi giocatori colombiani di sempre.

9) Adolfo Valencia

Zingaro del calcio, Adolfo Valencia, noto per la sue eccezionali doti in progressione, che gli valgono il soprannome di Treno, deve a mio parere trovare un posto in questa lista. Dopo una vita da talento emergente a Santa Fé, Valencia emigra in Germania, sulla carta un luogo lontanissimo dalla sua terra natìa, e contro ogni pronostico si ambienta bene, diventando un’arma importante del Bayern Monaco campione di Germania del 1994 – con i bavaresi, Valencia segna 11 reti in 26 partite, ma soprattutto fa strabuzzare gli occhi ai suoi tifosi con le sue magate e i suoi actos de indisciplina, che inducono la società tedesca a spedirlo a Madrid, sponda Colchoneros, dove il colombiano si ambienta meno, pur confermandosi un giocatore capace di colpi da campione. L’avventura in chiaroscuro nella disastrosa Reggiana lo induce a riprendere la strada per casa e a vestire la maglia dell’America Calì. In ogni caso, il meglio Valencia lo lascia vedere con la maglia dei Cafeteros: strepitoso uomo di punta della squadra che umilia l’Argentina nel 1993, è il migliore dei suoi in America un anno dopo e gioca da titolare anche il mondiale francese; anche nel 1998, pur avendo ormai perso la velocità delle stagioni migliori, si conferma un giocatore di spessore.

10) Iván Córdoba

Chiedo perdono al sovrano di tutti i folli del Sudamerica, sua maestà René Higuita, e anche all’artista del dribbling, che progressivamente diventa anche un difensore disciplinato, Juan Cuadrado, entrambi meritevoli di una citazione quantomeno come undicesimo di lusso, ma per il decimo posto alla fine non posso esimermi dal premiare Iván Córdoba, solido, rapidissimo (“Speedy Gonzales“) e atipico centrale di scuola sudamericana, che per anni sarà colonna dell’Inter e della nazionale, con la quale vince da titolare e uomo chiave la Coppa America del 2001, decidendo anche la finale. La sua capacità di imporsi anche in Europa e in uno squadrone di vertice mi suggerisce di premiarlo quantomeno con un meritato decimo posto.

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