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Lev Yashin: il “Ragno Nero” tra leggenda e realtà

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Era il 27 maggio 1971 a Mosca. In un pomeriggio tiepido, con il termometro che segna 17 gradi e un lieve vento da est, lo stadio Lenin di Mosca è testimone di un evento storico.
Gli spalti sono stracolmi, con oltre 103.000 spettatori secondo le stime. Alcuni giornali riferiscono che più di 700.000 persone avevano tentato di assistere all’addio al calcio di Lev Yashin, il più grande portiere della storia del calcio.

La partita, un incontro tra una selezione All-Stars (che tra le sue file vede gente come Pelé o Beckenbauer) e la Dinamo Mosca, si conclude in pareggio, ma il vero protagonista è Yashin, il “Ragno Nero”, che lascia il campo tra le lacrime, salutando i tifosi e la carriera che lo ha reso immortale.

Per decenni, l’aura misteriosa che avvolgeva i giocatori sovietici, nascosti dietro la cortina di ferro, ha alimentato miti e leggende. Lev Yashin incarna questa fascinazione meglio di chiunque altro, diventando nel tempo una figura leggendaria ben oltre i confini sovietici. Per comprendere il suo impatto, dobbiamo però immergerci nel contesto dell’epoca.

Lev Ivanovič Jašin (che nella traslitterazione anglosassone, una delle più usate, diventa Yashin) nasce nel 1929 a Mosca, la capitale di un’Unione Sovietica che sta attraversando un profondo cambiamento sociale, politico ed economico. Nonostante la durezza del regime stalinista, Mosca e la neo-nata URSS fecero enormi progressi economici e industriali negli anni ’30. La capitale si trasformò da una città prevalentemente agricola a un importante polo industriale e politico; la collettivizzazione dell’agricoltura e il piano quinquennale contribuirono a questo sviluppo. Mosca inoltre si espanse notevolmente anche da un punto vista demografico: nuovi quartieri residenziali vennero a luce per alloggiare la crescente popolazione della città. L’espansione urbana fu parte di uno sforzo più ampio per trasformarla in una metropoli moderna e industriale. Ed è proprio in una delle innumerevoli industrie siderurgiche e metallurgiche della città che il giovane Lev Yashin inizia la sua avventura: figlio di due operai, il giovane Lev lavora fin da giovanissimo in fabbrica per sostituire molti operai impegnati al fronte. Il lavoro è duro e massacrante, specie per un bambino, ma è in fabbrica che Yashin irrobustisce il proprio fisico, sviluppa notevoli riflessi e – soprattutto – inizia ad appassionarsi allo sport.

Un giovane Lev Yashin

A circa 19 anni entra nella Dinamo Mosca, Polisportiva del Ministero degli Affari Interni. Permettetemi un piccolo excursus: la Dinamo Mosca era una giovane polisportiva nata nel 1923 ed era strettamente associata alla polizia segreta sovietica, la NKVD. Per questo motivo la squadra spesso era vista di cattivo occhio dal pubblico, in quanto accusata di corrompere arbitri o avversari. Durante l’epoca sovietica, le squadre di calcio spesso avevano legami con istituzioni statali o organizzazioni come parte della struttura del sistema sportivo sovietico e – a differenza di quanto accadeva in altri paesi – il regime comunista imponeva a tutti i calciatori stipendi normalissimi, equiparabili a quelli di un soldato o di un’insegnante.

Oltre a quanto detto, le squadre erano spesso utilizzate come mezzo per dimostrare la forza e il prestigio del paese sia a livello nazionale che internazionale. Nel contesto dell’era sovietica, il calcio aveva quindi una forte componente politica, e – come già detto – le squadre erano spesso associate a organizzazioni statali o industriali (es: il CSKA era la squadra dell’esercito).

Dicevamo, Yashin entra giovanissimo nella polisportiva e viene subito dirottato nell’hockey su ghiaccio, sport amatissimo all’epoca nei confini nazionali.
Lev diventa subito un beniamino del pubblico grazie ad un grande carisma e a riflessi pazzeschi. La svolta avviene nel 1954: il portiere della società calcistica, Aleksey Khomic, subisce un grave infortunio, e il giovane Yashin viene chiamato a sostituirlo.

Le migliori parate del “Ragno Nero”

Quest’opportunità segnò l’inizio di una straordinaria fase nella sua carriera, durante la quale Yashin consolida la sua posizione come il guardiano impenetrabile dei pali per la Dinamo. Da quel momento in poi, non abbandona mai più la squadra (anche perché sarebbe stato difficile), contribuendo in modo cruciale ai diversi successi. Nel corso della sua lunga carriera, che si estese per diversi anni, Yashin conquista ben cinque titoli di campione nazionale sovietico nel 1954, 1955, 1957, 1959 e 1963, dimostrando una costanza e una eccellenza straordinarie nel suo ruolo.

Il culmine della sua carriera lo raggiunse nel 1963, un anno che si rivelò essere un preludio al prestigioso Pallone d’oro. In quella stagione, oltre a condurre la Dinamo alla vittoria del campionato, egli dimostrò la sua formidabile abilità difensiva subendo appena sei reti in 27 partite, un record che sottolinea la sua straordinaria freddezza nei momenti critici. Le sue prestazioni non solo contribuiscono al successo della Dinamo, ma attirano anche l’attenzione internazionale, aprendo la strada per il suo futuro riconoscimento con il prestigioso Pallone d’oro, unico portiere della storia del calcio a raggiungere questo trofeo in quasi settant’anni di storia.

Questo periodo d’oro nella carriera del portiere fu caratterizzato da una combinazione di talento individuale, dedizione straordinaria e successi collettivi, che ne fecero una figura leggendaria nel mondo del calcio sovietico e internazionale.



Il sovietico festeggia il pallone d’oro

Ma da un punto di vista tecnico cos’aveva Yashin? Perché è ancora oggi considerato il più grande portiere di tutti i tempi?

Ci sono almeno due motivazioni. La prima è di carattere prettamente tecnico e psicologico, la seconda è legata alla sua iconicità.

Andiamo con ordine: Lev Yashin è stato un innovatore straordinario di un ruolo storicamente poco soggetto a cambiamenti. Come l’ha fatto ? Innanzitutto spostandosi dalla linea di porta. Alla sua epoca c’erano grandissimi portieri, su tutti Vladimir Beara, di cui il sovietico aveva grande stima, ma spesso il portiere era un “palo” piantato sulla porta, quasi mai impegnato in uscite basse sugli attaccanti o sui cross. Con Yashin le cose cambiano: il portierone sovente si lancia in spericolate uscite sui piedi dell’attaccante. Ma la più grande innovazione è il fattore psicologico: con la sua divisa completamente nera che sembra rendere i suoi arti innaturalmente lunghi (da qui il soprannome “Il Ragno Nero“) e un’approccio autoritario in campo, Yashin è una figura imponente e autoritaria e diventa un vero e proprio spauracchio per gli attaccanti avversari.

Cominciano a spargersi voci che ipnotizzi gli attaccanti avversari sui calci di rigore: lo stesso Sandro Mazzola – cui Lev parò rigore – ne racconta lo straordinario carisma, quasi con tinte sovrannaturali. Mai (o quasi) si era visto un portiere comandare non solo la difesa, ma addirittura la squadra! Era impensabile che il portiere fosse il capitano, idea che ancora oggi ha i suo proseliti.

Yashin era un gigante nero: lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra, potevo tirare dall’altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin

Sandro Mazzola

Dal punto di vista prettamente tecnico il sovietico era un portiere di altissimo profilo: aveva riflessi straordinari e un’eccellente reattività su tiri ravvicinati, coraggio e tempismo nelle uscite ed un posizionamento pressoché perfetto. La sua iconicità è perciò legata ad un insieme di fattori che hanno contribuito a creare una vera e propria figura leggendaria che quasi trascende i campi dai calcio. Sono tanti i “si dice” che nel corso degli anni hanno alimentato la sua figura : si dice che ipnotizzasse gli attaccanti avversari, si dice che in carriera abbia parato più di 100 rigori (probabilmente il numero vero è tra gli 80 e 90, comunque altissimo), si dice che dopo ogni rigore parato raccogliesse un quadrifoglio nei pressi della porta, si dice…

Yashin con la sua iconica coppola

Il debutto mondiale di Lev Yashin nel 1958 in Svezia segna l’inizio della sua ascesa internazionale. In quel torneo, l’URSS si fa strada fino ai quarti di finale, ma è eliminata dalla Svezia, nonostante le prestazioni notevoli del “Ragno Nero”. Yashin inizia a far parlare di te, con sei gol subiti in cinque partite. La sua presenza tra i pali inizia ad attirare l’attenzione globale.

Passiamo al 1960, in Francia. È il primo campionato europeo e l’URSS, sotto la guida sicura del portierone, mostra la sua forza. Dopo aver battuto l’Ungheria, avanzano ai quarti grazie al forfait della Spagna e successivamente superano la Cecoslovacchia. Nella finale contro la Jugoslavia, Yashin è impenetrabile, subendo solo due gol in tutto il torneo. La sua prestazione nella finale è più che memorabile: è leggendaria.

Ma la strada verso la gloria non è sempre liscia. Nel Mondiale del 1962 in Cile, l’URSS viene eliminata ai quarti dai padroni di casa. Yashin gioca nonostante un infortunio all’occhio, una testimonianza della sua tenacia e del suo impegno. E poi c’è il Mondiale del 1966 in Inghilterra. Durante una partita contro il Brasile, Yashin subisce un infortunio al ginocchio. Rifiuta di lasciare il campo, gioca nonostante il dolore, e la sua prestazione eroica contribuisce a una storica vittoria

Lev Yashin non è solo un nome nella storia del calcio. È un simbolo di resistenza, innovazione e spirito indomito. Dai campi innevati di Mosca ai palcoscenici mondiali, Yashin ha scritto capitoli indelebili nella narrazione dello sport. Il suo addio, in quel pomeriggio moscovita, non è stato solo un saluto a una carriera: è stato un tributo a un’eredità che trascende il tempo, le epoche, i regimi. Yashin rimane, in eterno, il “Ragno Nero” della porta, un gigante su cui si sono infranti innumerevoli attacchi, un mito che continua a ispirare.

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