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A testa bassa: analisi di una sconfitta

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La “sconfitta a testa alta” è forse l’allocuzione più falsa, beffarda e perfino fastidiosa che si possa usare nel mondo dello sport. Quando viene usata dal vincitore, essa aumenta di fatto i propri meriti facendo in modo, con eleganza, di aumentare quelli del vinto; quando è il soccombente a usarla, essa ha tutti gli odori acri del rammarico, dei rimpianti e del sogno svanito. È il coitus interruptus nell’avventura più improbabile, ma incredibilmente e realmente successa.

L’ho presa larga, ma è inutile che io tergiversi ancora: il Manchester City si è aggiudicato la Champions per la prima volta nella sua storia (leggere qui), completando il Triplete o Treble, battendo in finale l’Inter, una delle squadre meno pronosticate l’estate scorsa e meno attese anche alla fine dei gironi eliminatori. Si è trattato insomma, dal momento che gli inglesi di Pep Guardiola erano indicati, come più o meno sempre, nel novero ristretto dei grandi favoriti, di una delle finali più sbilanciate nella storia recente della Champions. Come valore tecnico dei singoli, come lignaggio appunto recente, come spessore culturale dell’allenatore, come capacità economica delle rispettive società. In sintesi, come pronostico. I bookmakers, gente che non regala neanche gli spiccioli, quotava il Man City poco oltre la parità, mentre in nerazzurri erano dati a 7,5, la classica quota degli underdog.

Sono ancora un po’ in mare aperto, ma arrivo alla sabbia. Anzi, allo scoglio. Io, che la sera della finale, a differenza dell’amico Buffoli, ero sì pieno di sincera ammirazione per Pep e i suoi ma che avevo il cuore che traboccava nerazzurro, mi ero preparato all’evento nel modo classico delle vittime sacrificali che però non hanno nulla da perdere. O almeno lo pensano… Ecco, e qui è stato l’errore mio, mi sarei accontentato di non fare figuracce di fronte a un team in cui un solo giocatore, Grealish, monetizza quanto tutto l’undici titolare di Inzaghi. Mi sarei accontentato di “perdere a testa alta” e, perché no, “altissima“. E, tanto per affondare il coltello, nei miei deliri visionari da Davide contro Golia, immaginavo di rubarla facendo un gol con un tiro e mezzo in porta, con un Onana super e fortunato, con qualche legno che mi tiene in vita e con Håland o chi per esso che si divora l’inimmaginabile. Così si vincono le Coppe, no? Siamo italiani e questo trucco l’abbiamo inventato noi, che diamine! Lasciamoli sbraitare i Soloni del Calcio sulla torretta mentre si stracciano le vesti contro questo calcio insopportabilmente provinciale che premia i furbi e penalizza i geni dello spettacolo!

Delusione, ma anche orgoglio, dei tifosi interisti per la sconfitta in finale di Champions League

Ragazzi, che vi debbo dire? È andata proprio così, ma a ruoli rovesciati. Pep ci ha fregati all’italiana e noi abbiamo esagerato nella testa alta, altissima, tra le nuvole. L’Inter di Inzaghi, in Europa, ha questo talento raro e prezioso: sa mettere i sassolini negli ingranaggi del gioco avversario, anche di quelli fortissimi come il Man City. Nessuno di quelli che dovevano eliminarla facilmente o quasi è mai riuscito a essere se stesso. Non il Benfica, non il Barcellona, il Porto, non parliamo del Milan, ma nemmeno il Bayern che pure ha vinto due volte, ma senza produrre il suo power play, tipico marchio di fabbrica.

La sera della finale, dopo il primo tempo, ero molto contento. L’Inter teneva e il mio cuore, tutto sommato, anche. Stavamo facendo un’ottima figura, ben sapendo che non sarebbe bastato per portarla a casa e stavo pensando, nel contempo, alle figure che contro Pep avevano fatto il Real o il Bayern, tutte avversarie di “finali anticipate”. Adesso sul campo turco c’erano gli sprovveduti nerazzurri e tenevano testa ai questi mostri orchestrati sul campo dal tanto osannato Stones (???) e guidati da un Pep sempre meno sereno.

È vero, era uscito De Bruyne, ennesimo mostro abituato, purtroppo, a giocare spezzoni di finali, ma Foden che gli è subentrato non l’ha fatto certo rimpiangere. Per 65’ è stata una gara un po’ noiosa, diciamo il giusto. Poi… e il mattino seguente mia moglie, nella sua logica sbrigativa, mi ha detto: «Loro hanno fatto un gol e voi no». Chi vince nel calcio? Non ci avevo pensato, la prossima volta (ci sarà? ci sarò?) dormo. Poi guardo il risultato.

Della gara in sé scrive Buffoli, ottimamente coadiuvato da Ciuti, per cui i nostri lettori, specialmente chi ieri sera era impegnato altrove, sono in ottime mani. A me non resta che ribadire la scomodità di ruolo del Davide che perde contro Golia in un contesto ormai non più contemplabile dal mito, nemmeno a testa bassa…

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