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Le figurine all’alba del tempo, prima dell’avvento della Panini

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Tutte le immagini sono tratte da http://www.cartesio-episteme.net/cicogna/cicogna-sportive.htm

Ci sono nomi che evocano epoche e fatti che sono avvolti da parole fitte di cronache, da vocali di stampa e da titoli sotto foto ingiallite prima di invecchiare, vecchie prima ancora di ingiallirsi. Nomi, per esempio, di calciatori senza fama, ma con la faccia da soldato in divisa pedatoria, da ala sinistra triste o da mezzala furba, da terzino senza scrupoli o da portiere infreddolito. Nomi di formazioni e di pose emerse dalla notte dei tempi già appena scattate e odori di carta comune, anche scadente, e di colori in bilico tra il troppo lucido e lo sfocato. È l’epopea fuggitiva delle prime figurine, quelle dell’era AP (ante Panini), molto diverse e molto più suggestive rispetto alle Panini perfettine, sacre e non mortali e incommensurabilmente più preziose di quelle DP (dopo Panini), che sono sempre state prive di spessore e di eco.

Quattro figurine della stagione 1949/1950

Nel 1958, il 3 AP dal momento che il primo album Panini è del ’61, io avevo cinque anni ed ero molto più attratto dall’aprire le bustine dei calciatori che dall’incollare poi le figurine sull’apposito album. La colla, che comunque aveva un odore buono, era sempre troppa. Quella di cartoleria usciva dagli angoli e finiva per incollare le pagine, mentre quella fatta dalla zia con acqua e ferina faceva le gobbe sotto i calciatori. Il mio poi era il gesto tipico dell’affamato di immagini, di idoli, di volti che sapevano di gesta e di gioco molto più che di collezione o, tanto meno, di documentazione. Lontanissimo, molto oltre l’irraggiungibile, era poi un atteggiamento di conservazione per il futuro, un tempo che più nebuloso e misterioso non poteva essere. Il futuro di chi, poi? Mio? E perché mai? Degli altri? Questa poi… Il presente era già così lento da sembrare complicato e così veloce da sembrare inesorabile che anche per il futuro, di qualunque dimensione fosse, non c’era spazio. A proposito di spazio, ecco dove si nascondeva il futuro con tutti i suoi pensieri fantastici. Lo spazio! Ecco dove saremmo tutti andati appena grandi, appena fossimo stati in grado di capire l’accensione di quelle macchine assurde ma vere che sarebbero approdate su Saturno. Vere, perché sorelle maggiori di quelle su cui ci si impratichiva al Luna Park, il giardino della luna. Appunto.

Ma non c’erano, quando io ero bambino, solo le bustine da comperare dal giornalaio, c’erano anche figurine di calciatori che uscivano dai distributori appositi assieme alle gomme americane, le chewingum (in dialetto nostrano ‘ciuinghe’), che avevano forma di palline coloratissime. Questi distributori, molto diffusi, erano colonnine di metallo pesante che sostenevano un cilindro di vetro pieno, appunto, di palline commestibili. O meglio, da succhiare. Nei medesimi anni, c’erano i distributori di sfere di bachelite, metà opache e metà trasparenti, che avevano stampigliata all’interno, ma in modo perfettamente visibile, la foto di un ciclista in azione sui pedali. Per fare uscire qualcosa da questi marchingegni, bisognava mettere una moneta da dieci lire in una scanalatura di un discetto di ferro posto sotto la boccia in posizione frontale e girare in senso orario una specie di rotellina simile a quelle dei rubinetti di allora. Questa operazione faceva cadere la pallina di gomma americana o del ciclista giù per un tunnel diagonale alla cui estremità interiore uno sportellino metallico solo appoggiato impediva alla merce agognata di cadere per terra. Ma non sempre. Quando cadeva la sfera con il corridore, spesso si rompeva e si incrinava in modo da renderla non utilizzabile per le gare di biglie su piste di terra o di sassi e se era una gomma da masticare, spesso si sporcava a tal punto che era meglio non metterla in bocca, ma darle un calcio e buttarla lontano.

Gallo e Sentimenti IV

Se si mettevano cinquanta lire, venivano giù tre palline da masticare, bombe di coloranti e glucosio, e quattro cartoncini con i ritratti di giocatori di calcio. Ricordo la sagoma di Gustavsson dell’Atalanta, Panetti portiere della Roma, Tozzi della Lazio, Pentrelli dell’Udinese o Fongaro dell’Inter e tanti altri. Sono volti di vecchissima infanzia e di vite fermate per sempre su carta preziosa, banconote fuori corso di una memoria che già allora voleva fuggire, sono appigli sfocati di un passaggio remoto e sempre più scivoloso. Sono esistenze in posa assolata, facce dure me stupite, capelli con la riga, zigomi da fornai e occhi senza luce. Cartoncini con il bordo bianco e nessun album per conservarli o incollarli. Erano tratti di memoria già sul ciglio dell’oblio, ma tenaci come i polpacci di quei difensori arcigni dai nomi robusti come le loro entrate: Scagnellato, Cancian, Carantini, Bolchi, Occhetta, Seghedoni. Erano figure fisse di un presente traballante, immagini votate al nulla di fronte a sé, in bilico precario sulla mensola fissata male e inclinata da sempre di fronte all’immenso dimenticatoio. Le spalle del vivere e gli sguardi senza appello di un piccola pletora di operai mancati, di soldati scampati e di oriundi in fuga di ritorno, tutti ancora spaventati dalla fame e resi increduli dal tempo che ancora scorre.

Ci sono nomi che evocano storie, silenzi, capricci, piccole ingiustizie vissute, angoli di corridoio, odori di parquet, bisbigli di esistenza pomeridiana, paura di nubi scure e scrosci in giardino. Le prime figurine di calciatori che ho amato, al punto da rimpiangerne la perdita definitiva per tutta la vita, sono quelle edite dalla VAV di Verona del 58’, appunto. Erano molto approssimative sia dal punto di vista storiografico sia nelle diciture accanto ai giocatori e anche sotto il profilo fotografico gli errori, alcuni proprio comici, e le imperfezioni abbondavano. L’errore più strano, al limite dell’inverosimile riguarda un certo Buzzin, mezzala del Catania, la cui immagine, il consueto mix tra foto ritoccata e disegno, lo ritraeva in abiti borghesi, camicia cravatta giacca e cappotto con bavero alzato, perfettamente bicolori come la divisa del Catania. Metà rossa e metà azzurra.

Tutto ciò, però, accanto al fatto che ogni bustina da 10 lire conteneva quattro figurine più un dischetto metallico con l’effige di un calciatore, ne hanno fatto una collezione unica nel suo genere e ammantata, ancora oggi, di un fascino irraggiungibile. Il fascino dell’impreciso, dell’approssimativo, del nebuloso e quindi dell’irripetibile, del certamente irripetibile. La trovata del dischetto aveva poi il senso, veramente geniale, di duplicare di fatto la collezione, specialmente per i bambini molto piccoli come me (5 anni), non ancora in grado di gestire una collezione con album, spazi da rispettare, colla da maneggiare. Io, come ho già detto, disdegnavo le carte e, quando aprivo voracemente la bustina, mi impossessavo dei dischetti e collezionavo quelli. E con quelli compilavo le formazioni, sia quelle di squadre a me già note, Inter, Juve, Milan e altre, sia di quelle assolutamente sconosciute, come Parma, Livorno, Zenith Modena. Le mie erano monete sonanti dell’esistenza, dobloni luminosi di un tesoro che mai avrei speso e da cui mai e poi mai mi sarei separato. Non avevo fatto i conti con una madre ipersalutista che, in combutta con destino e oblio, i due loschi figuri di sempre, mi ha nascosto quel forziere nel nulla. Eppure lì ho imparato i volti e ho imparato nomi che faccio fatica a scordare, che per me sono memoria remotissima, prima coscienza del tempo e fondamenti dell’esistere. Ho imparato proprio a leggere su quelle facce e anche ad associare e l’eco muta di quei cognomi in maglietta si mescola ancora con quello del secchiaio di cucina, della poltrona che si trascina in salotto, della radiolina che fischia sul comodino di mio padre, della tapparella che crolla per la notte, delle fibbie della cartella di scuola che si chiudono perché per mio fratello è ora di andare.

Vittorio Bergamo, figurina davanti e… dietro

Crollavano il silenzio della mente e il tepore, anche sotto i fiocchi di neve, e prendevano avvio i movimenti del tempo e con essi la nebbia, i corner pericolosi, i gol subiti e i capricci senza esito, le lacrime in soffitta e le notti in agguato, in attesa poi di compiti in classe, di paure camuffate da disagi, di specchi ingrati e di fughe di ogni tipo. In avanti, di fianco, di sotto e perfino di nascosto pur di chiudere gli occhi per non vedere il futuro in arrivo, scomodo e sgangherato come una sveglia assurda di domenica mattina. Ma questo era già il tempo delle Panini e di quella marea di doppie e di collezionisti integrati, di figurine usate per i soliti scambi al suono di ‘celo manca celo celo celo manca’, ma usate anche per giochi di abilità e perfino di azzardo, di foto sempre più ambiziose e, dopo qualche anno, di retro adesivi per mandare in pensione ogni tipo di colla e in bestia ogni categoria di cartolai. Ma erano spariti i dischetti, ritenuti forse pericolosi, come da mia mamma, e comunque inadatti ai più piccoli, ed era sparito quel loro rumore festoso di monete di gioia sonante con cui comprare sogni e affittare desideri di ogni tipo.

I fratelli Panini di Modena (leggere qui l’intervista al direttore marketing di Panini Antonio Allegra del nostro Alessandro Sartore), geniali editori votati al successo, avevano inventato due sistemi infallibili per assicurarsi utili e, in qualche modo, moltiplicare le aspettative. Il primo, mutuato alla lontana dalla VAV, era quello di creare una sorta di raccolta nella raccolta: alcune figurine di cartone riportavano sul retro la scritta VALIDA e il loro accumulo con la relativa consegna all’edicolante comportava la riscossione di un premio. Il valore del quale aumentava in relazione del volume del pacchetto di figurine valide consegnato. Si andava dal semplice pallone di plastica, per cui bastavano pochi punti, al molto più ambito esemplare di cuoio come quello delle vere partite di calcio. Poi, salendo di valore, si potevano ottenere dei giocattoli tipo automobiline o soldatini, dei giochi da tavolo come l’agognato Monopoli, dei pattini o ancora una bicicletta fino al premio dei premi, il più sognato, quello per cui ci voleva un pacchetto assurdo di Valide e addirittura un’attesa di diversi giorni per la consegna: la maglietta da gioco della squadra del cuore con il numero voluto stampigliato sul retro ( i nomi erano di là da venire…). La distribuzione commerciale di questa sorta di figurina a punti, in realtà sempre uno, era assolutamente casuale e non prevedibile. Non ce ne era infatti una in ogni bustina, ma in alcune non se ne trovava nessuna mentre in altre ce ne potevano essere due e, in casi molto rari, perfino tre. Il problema era quando ne trovavi una doppiamente preziosa, importante sia per ottenere un certo regalo sia per completare la raccolta. Scelta spesso dilaniante e quasi sempre, chissà perché, non differibile.

Una copertina

Il secondo sistema per garantirsi una richiesta costante del prodotto da parte del mercato e la conseguente distribuzione commerciale delle bustine il più a lungo possibile, era quello di non fare uscire tutte le figurine nello stesso momento, ma di differirne la diffusione in vari tempi. L’uscita dell’album era sempre nei primi giorni di gennaio ed era attesa con vera trepidazione dai piccoli collezionisti. Nel giorno fatidico, mai annunciato prima con precisione, le edicole erano letteralmente assaltate ed esaurivano la primissima fornitura in poche ore, il tempo che il passaparola facesse il giro che doveva. Poi, alla ripresa delle lezioni dopo la lunga pausa natalizia, spesso si trovavano all’uscita della scuola incaricati che distribuivano l’album omaggio e con esso addirittura un paio di bustine. Quelle che, destinate a diventate familiari e inconfondibili, riportavano stampato un disegno ispirato alla famosa rovesciata di Parola.

Tornando alla trovata commerciale di cui si diceva, il primo periodo di acquisto delle bustine per la raccolta si trasformava in una messe copiosa di figurine mancanti, una vera gioia di appagamento dopo un acquisto a volte un po’ strappato alle regole o un premio ricevuto per un buon voto. Questa luna di miele felice non durava però a lungo e dopo qualche settimana il ritmo con il quale si trovavano le doppie aumentava inesorabilmente e, a un certo punto, trovare una mancante diventava una vera rarità, oltretutto molto dispendiosa. Il fatto anomalo, e che insospettiva, era che tutto il gruppo di piccoli collezionisti, gruppo spesso numeroso, si trovava più o meno nella stessa situazione, con gli scambi del ‘celo-manca’ che finivano per non dare più alcun frutto. Più della metà dell’album ancora da completare, quindi quasi duecento figurine mancanti e spese di cento o duecento lire, a dieci lire a bustina, per trovarne si e no una! Ci si consolava giocando a ‘ciumbali’ che era una sorta di varie sfide d’azzardo che scimmiottavano, utilizzando i pacchetti enormi di doppie, il gioco dei dadi o il biliardo o il tirassegno o, addirittura la lotta sul ring.

Quando la disperazione aveva già abbracciato la demotivazione, tipicamente verso la metà di febbraio, ecco che uno del gruppo lanciava l’urlo di gioia, una sorta di ‘Terra, terra’, che suonava più o meno così: “È arrivato il secondo turno!” Tutti a correre allora in edicola e poi a casa per strappare letteralmente quelle bustine che avevano un odore fresco, nuovo e poi, ecco lo stupore di foto nuove, quasi inimmaginabili. E poi ancora ecco l’album che colma i buchi, riempie qualche pagina. Ma alla fine di questa festa quasi inaspettata, almeno i primi anni, la collezione era tutt’altro che completa e non sarebbe bastato a farlo la richiesta delle figurine mancanti all’editore attraverso l’apposito modulo e l’ovvio invio di denaro. Dopo pochi giorni di questo eldorado e la ricomparsa a iosa di vecchie e nuove doppie, bisognava arrendersi all’idea di attendere un ulteriore turno di nuove, il terzo. Il quale arrivava, con il solito trionfante annuncio della vedetta designata, dopo Pasqua, quasi a maniche corte. Nonostante le rassicurazioni in senso opposto degli editori, i mitici fratelli Panini di Modena, tutti gli anni era così. Altro che “tutte le figurine vengono immesse nel circuito contemporaneamente e in ugual numero”… Ma Panini era la consapevolezza, l’ordine, la rinuncia alla fantasia. E ogni gesto replicava senza molto successo quelli degli albori del tempo, quando lacrime e sorrisi zoppicavano assieme e di sera, sotto il cuscino, facevano capolino boati e rovesciate, colpi di testa e parate plastiche.

Ci sono nomi che sanno di epoche ventose e di musiche gracchianti, di cortili forse immaginati e di cancelli profumati di giardino. Sono volti mai stati riconoscibili, sfatti dal vento e dalle notti trascorse chissà quando, dai pasti saltati e dai viaggi persi, dai baci immaginati e dalle folle acclamanti. Sono angoli di fatti pur esistiti e di palloni respinti alla bell’e meglio. Sono musiche ascoltate tanto tempo fa e scolpite come pensieri che non si compiono, ma neppure si muovono, come i cardini di una porta d’ingresso. E quando ti capita di chiederti ancora chi fossi e che cosa ci facessi lì, le risposte si presentano liquide, fluttuanti, perfino sinuose di un passato inconcepibile e profumate di aromi che non esistono più.
Ci sono nomi che sono sguardi e occhi, movimenti e gesti. Ci sono nomi che sono il volo e il sonno del tempo. Ci sono nomi che confondono la logica e ubriacano la memoria. Sono i colpi dell’essere, sotto il torace o nell’angolo perso del timpano, sulla via che si allontana e nel suono che ti rincorre. Sono colpi assorbiti o imparabili, figli dell’esserci stato e rimbombi di risate in cortile, in spiaggia, in viaggio, in mare, in ombra, in silenzio, nel tramestio, in piazza, a letto, a scuola, in treno, al buio. Sono i nomi che echeggiano ancora, diffusi da un altoparlante posti in cima al traliccio del sogno, al vento dell’epoca, con la voce rauca della nostalgia.

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