Anche in omaggio a Gianluca Vialli, proseguiamo la saga delle grandi stagioni che avrebbero meritato più visibilità e maggiori riconoscimenti.
Gianluca Vialli 1994-1995 e Diego Costa 2013-2014
Nel settembre del 1994 Gianluca Vialli è reduce da due stagioni fatte più di ombre che di luci; nella Juventus di Trapattoni non è riuscito a replicare le gesta che l’hanno reso un grande campione a Genova e Vialli ha vissuto non solo all’ombra del Divin Codino, ma anche dei di lui scudieri, da Mozart Moller a un gregario di lusso come Dinone Baggio. L’approdo di Lippi a Torino, come noto, inaugura una nuova fase della storia bianconera, e la prima stagione di questo rinascimento vede in Gianluca il leader e il portabandiera, nonché il giocatore cardine accanto al regista lusitano Paulo Sousa (di cui palerò infra).
Vialli in serie A ritrova la continuità smarrita dopo il 1992, mette a segno 17 reti e mette una firma a caratteri cubitali sulla partita che rivela al mondo lo spessore tecnico, agonistico e soprattutto caratteriale della Juventus di Lippi, la celebre rimonta del 4 dicembre 1994 contro la Fiorentina. Vialli è l’anima della squadra che nell’ultimo quarto d’ora sconfigge il destino e segna due reti pesantissime non solo per l’esito di quella gara, ma per tutta la stagione bianconera. In Europa, Gianluca si traveste da Superman e in un paio di occasioni sfodera prestazioni degne del suo repertorio maggiore, ivi compreso un capolavoro acrobatico che colma di meraviglia il cuore di tutti gli spettatori accorsi a San Siro per la finale di Coppa UEFA. Ci penserà Dino Baggio, come sappiamo, a rovinargli la festa. A fine 1995, nonostante la caratura della prestazioni e l’impatto decisivo per la squadra, Vialli viene pressoché ignorato da quasi tutti premi internazionali, con la felice eccezione di World Soccer.
Mi sono grattato la testa alla ricerca di un’annata che presentasse analogie rilevanti con quella di Gianluca, e dopo qualche minuto mi è venuto in mente il Diego Costa del 2013/2014. L’attaccante ispano-brasiliano, nel 2013, è ritenuto un’ottima prima punta, dotata della cattiveria e della qualità necessarie per farsi valere nel campionato più esigente del pianeta. Difficile però pronosticare, a settembre 2013, che sarà lui l’uomo cardine del team: Diego Costa invece nell’annata che si conclude con il titolo segna a raffica, è il terminale offensivo ideale per un Atletico Madrid camaleontico e cholista nel migliore dei sensi possibili, l’uomo decisivo per un successo straordinario, conquistato a discapito di Real e Barcellona, ovvero due delle prime tre o quattro squadre d’Europa. In Champions Diego Costa non è meno efficace: la sua caparbietà e la sua cattiveria agonistica lo rendono il bomber implacabile che trascina i Colchoneros fino alla sfortunata finale di Lisbona, persa all’ultimo secondo contro un Real tecnicamente superiore e dotato di risorse numeriche e tecniche impareggiabili per la banda di Simeone. Nonostante una stagione superlativa, Diego Costa viene un po’ trascurato dai giurati della FIFA, finendo alle spalle di giocatori che, a mio modesto avviso, non hanno disputato una stagione pari alla sua (Robben, Kroos e Neymar, solo per fare alcuni esempi).
Paulo Sousa 1994-1995 e Francesco Romano 1986-1987
Il regista portoghese è uno dei maggiori rimpianti degli appassionati di football degli anni ’90. Nel corso della sua carriera si è tolto soddisfazioni importanti (non è da tutti portare a casa due Champions con Juventus e Borussia Dortmund), ma i ricorrenti problemi fisici gli hanno impedito di imporsi con la continuità necessaria a venire riconosciuto come un fuoriclasse assoluto nel ruolo. Il rapido declino del portoghese, in ogni caso, non toglie nulla alla sua eccezionale stagione di debutto nel nostro calcio: Sousa è il cervello, il giocatore di trama e ordito della Juventus tutta forcing e verticalità del primo Lippi, e domina le graduatorie stagionali di rendimento, incalzato da pochissimi altri giocatori. A fine 1995, tuttavia, in pochi si ricordano della grande stagione del portoghese, che viene relegato nelle posizioni di rincalzo nella graduatoria del pallone d’oro.
Non era altrettanto dotato sul piano tecnico, ma credo che abbia avuto un impatto simile sulla manovra e sui meccanismi della sua squadra (il Napoli del primo, leggendario scudetto) anche Francesco Romano. Il Napoli della stagione 1986/1987 si aggrappa al genio di Maradona e ai suoi numeri da illusionista, ma questo toglie poco al ruolo cardinale del regista campano, che viene strappato alla Triestina a metà ottobre e scende in campo circondato da ali di scetticismo, vista la poca abitudine a giocare in una squadra di vertice. Mai previsione si è rivelata meno azzeccata: Romano si dimostra subito il giocatore più funzionale della squadra di Bianchi, il suo gioco razionale, lucido e intelligentissimo consente al Napoli di trovare l’equilibrio, e a fine anno Romano è tra i dominatori delle classifiche di rendimento del campionato. Diego, in segno di stima e riconoscenza, lo soprannonima Tota, come sua mamma, e direi che questo basta e avanza per comprendere il peso di Romano ai fini del titolo.