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Un salto al VAR (quinta puntata): limiti e polemiche del “figlio” della moviola in campo

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Arriviamo dunque finalmente all’attualità del nostro calcio che, alla vigilia di un Mondiale che vede di nuovo assenti i nostri colori, vive, prospera e si alimenta anche di tutte le problematiche relative a questo nuovo marchingegno, alla sua applicazione e alla complessità delle forme che prevedono o escludono, addirittura impediscono, il ricorso ad esso. Quasi a dimostrare l’ironia del titolo che abbiamo voluto dare a questo pur lacunoso excursus: il salto al VAR è infatti maledettamente più complicato e infinitamente più insicuro di quello che si possa credere. Altro che caffè o bibita dissetante come al bar! Qui si tratta spesso di complicare e complicarsi la vita…

Un paio di brevi, necessarie precisazioni. La prima è che, parimenti a quello che ho detto all’inizio sulla mia narrazione priva dei crismi incontrovertibili di una presunta verità storica, anche adesso confesso e dichiaro di non essere mai stato arbitro e che quindi le mie considerazioni non sono “giuridicamente inattaccabili”, ma solo appassionatamente giornalistiche e quindi doverosamente discutibili. La seconda è che prometto in questa puntata (al VAR…), che è anche la penultima, di non compiere più digressioni o salti all’indietro nel tempo. Adesso si corre spediti al punto! (che solitamente occhieggia tra le panchine…)

Innanzitutto, cominciamo con il dire che l’introduzione del VAR prevede giocoforza anche l’inserimento nello staff direzionale dal vivo di altre due figure in carne e ossa imprescindibili. Un arbitro, o ex arbitro che torna però così in servizio a pieno titolo, e un tecnico specializzato in immagini al computer. Insomma, una quinta giacchetta nera (desueta sineddoche) e un nipotino digitale del vecchio Heron Vitaletti. L’arbitro sull’erba mantiene le sue prerogative, ma viene dotato di dispositivi interfonici per colloquiare con in giudici di linea, con il ‘quarto uomo’, figura presente già da tempo, e appunto con i due della sala VAR. Quest’ultima, almeno in Italia, non è più fisicamente nell’impianto dove si gioca, ma “in remoto”. Esiste un centro, mi pare a Lissone in Brianza, da cui gli arbitri e i tecnici del mezzo tecnologico controllano ogni partita e coadiuvano ogni collega impegnato sul campo.

Non voglio, sia ben chiaro, fare la cronistoria dell’infinita casistica delle vicende legate al VAR e, tanto meno, tentare di dirimere le questioni che sembrano più coinvolgere appassionati, addetti ai lavori e tifosi. Per tutte queste, alcune spinose altre di finissima lana caprina, credo siano sufficienti i quotidiani e le trasmissioni televisive. Il tutto, poi, con il rilancio infinito del web. Ho intenzione di limitarmi a prendere in considerazione aspetti poco frequentati e comunque interessanti che riguardano il ricorso al consulto in diretta. E sottolineo subito al riguardo la mancanza di una statistica che faccia luce e ci ‘dia i numeri’ sui diversi comportamenti dei vari direttori di gara. Del tipo: quante volte vi si ricorre, quante altre ci si limita a un colloquio interfonico con il collega in studio ecc ecc. L’idea di addentrarmi in questa selva di gesti, che sembrano a volte contradditori, mi è venuta vedendo qualche tempo fa in tv la gara di Champions Bayern-Inter. Orbene, durante quel match, l’arbitro è stato invitato dai colleghi ad andare a controllare al monitor un’azione che era stata da lui giudicata regolare. Il direttore di gara ha accettato il suggerimento ma, una volta controllate le immagini, non ha cambiato parere non assegnando un possibile rigore a favore dei milanesi. Non è tanto importante entrare nel merito della correttezza della decisione ultima, ma sarebbe invece interessante sapere la percentuale della volte, appunto, in cui un arbitro chiamato al VAR, rimane sulle proprie posizioni.

Il controverso episodio del mani di Mané su tiro di Barella in Bayern-Inter che ha suscitato le proteste di molti tifosi nerazzurri

Bisogna puntualizzare, ma forse è noto a tutti, che la tecnologia può intervenire solo nei casi di: rigore, quindi fallo in area, correttezza di un gol, quindi fuorigioco e fallo dell’attaccante eventuali o irregolarità varie durante l’azione che ha portato alla marcatura e, infine, fallo grave, sanzionabile eventualmente con l’espulsione. Forse non è noto invece a tutti che il primo caso è facoltativo, il secondo è, o dovrebbe essere, obbligatorio, mentre sul terzo l’atteggiamento tenuto finora in tutta Europa è stato ondivago anziché no. È ovvio, infine, che l’intervento di supporto può essere ambivalente, può quindi indurre sia a comminare e concedere sia a derubricare o togliere. Ed è per quest’ultimo motivo, anche se la cosa pare non essere ancora chiara a giocatori, allenatori e spettatori, che nel caso di offside dubbio il guardalinee lasci terminare l’azione. Quindi, alla luce di questi ambiti e ribadendo che un fallo evidente, ma non visto, avvenuto fuori dalle aree di rigore e che non sia da cartellino rosso (anche giallo? bella domanda…) o non dia adito a un’azione da gol non consente alla VAR di intervenire, possiamo tornare all’episodio di Bayern-Inter.

Ci torniamo per tentare di stilare una sorta di casistica sui contatti verbali tra arbitro in campo e collega al monitor. Nella stragrande maggioranza dei casi il fischietto di turno accetta il suggerimento di chi controlla e misura al computer e, una volta controllate lui stesso le immagini, cambia la propria decisione iniziale. Questo, lo si può tranquillamente definire così, è l’accadimento “normale” o, per lo meno, consueto. I casi in cui il direttore di gara non lo fa si dividono in tre diversi comportamenti. Uno è quando l’arbitro fa capire ai colleghi, con gesti o con comunicazioni interfoniche, di essere sicuro di aver visto e giudicato bene dal campo (tipo il contatto RanocchiaBelotti, netto ma non sanzionato, in Torino-Inter dello scorso torneo) e non va nemmeno a dare un’occhiata; un secondo è quando tra l’arbitro sull’erba e quello alla scrivania c’è un consulto a distanza e i due concordano nel sanzionare o meno (tipo il presunto fallo di mano di Dumfries in un recente Inter-Barcellona); l’ultimo, più spinoso e delicato, è quando il “fischietto” si reca al monitor a bordo campo e, appunto come a Monaco di Baviera, rimette in modo cocciuto al mittente la ‘chiamata’ ribadendo la propria decisione.

Contatto Ranocchia-Belotti: niente rigore per il VAR

Sono tutti casi, questi tre, che fanno imbestialire gli animi e che, con buona pace del povero Aldo, invece che smorzare le polemiche, le aizzano. «Perché non la va a rivedere?» è il mantra accusatorio di chi ha subito “ingiustamente”. E, in realtà, a parte i casi di fuorigioco che sono misurati in studio e non necessitano di un ulteriore parere ma che meritano invece altre nostre considerazioni e approfondimenti, rimane non del tutto chiaro il motivo di tale rifiuto. Si dice, per esempio, che in presenza di una spinta, solo l’arbitro ‘dal vivo’ può valutare l’esatta intensità. È una considerazione accettabile, ma non del tutto convincente e che lascia un pertugio per l’errore piuttosto largo. C’è chi propone, per evitare questo problema, di poter prevedere una cosiddetta “VAR a richiesta”, come avviene in altri sport (tennis volley basket), ma gli organi competenti finora si sono sempre opposti temendo, a detta loro, di “aumentare la confusione».

La questione, anche in questo frangente, è piuttosto intricata (ma va..?). La sterminata quantità di immagini diffusa in tempo reale e l’altrettanto enorme numero di apparecchi riproduttori delle stesse e presenti ovviamente in ogni mano dei presenti all’evento, panchinari compresi, moltiplica infatti le opinioni e le letture, le interpretazioni e quindi le rivendicazioni possibili. Anche il divano di ogni tifoso accoglie un ribollio di sobbalzi mentre le linee telefoniche dei correligionari di divisa toccano zenit di improperi e urla rivendicative. È il calcio di oggi, baby! Un calcio dove il calcio al VAR, in luogo del doveroso salto anche da noi evocato fin dal titolo, diventa un sopruso inaccettabile, un torto d’indicibile tracotanza, l’ennesima conferma della bontà dei soliti, vecchi sospetti. Poi addirittura quando, con magno gaudio e rinnovata fiducia o con il terrore stupito e irritato, il vecchio padrone di pallone e destini si avvia verso il monitor di servizio…

5 – Continua

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