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Garrincha vs Best: due geni dalla vita dissoluta a confronto

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Geniali, irridenti, decisivi. Ma anche sornioni, discontinui, sregolati. Aggettivi che calzano a pennello per molte ali, ruolo così affascinante e struggente al tempo stesso. Aggettivi che calzano a pennello per due interpreti sublimi, per talento e iconicità probabilmente i due massimi mai ammirati: il brasiliano Mané Garrincha e il nordirlandese George Best. Sono loro i protagonisti del nostro nuovo confronto. Un duello appassionante a colpi di dribbling, cross, gol, pause e capricci. Dentro e fuori dal campo.

Francesco Buffoli

Mané Garrincha è uno dei personaggi più bizzarri e affascinanti della storia del calcio, forse il vero emblema del futebol moleque, di un calcio puramente sudamericano e anzi brasiliano, allergico a schemi e dettami tattici, incline a esaltare solo la fantasia e a cercare il puro divertimento. Come e più dei suoi illustri successori, Garrincha è stato un malandro, un artista del dribbling e del gioco civettuolo, un estroso allo stato brado, ma è stato anche e soprattutto un giocatore decisivo come pochi altri, specie ai Mondiali, quando ha composto con Pelé la coppia più bella e vincente di ogni epoca. I gravi problemi fisici e una condotta di vita lontana dal professionismo ne accorceranno la carriera, ma per diversi anni, e specie tra ’57 e ’62, Garrincha ha incarnato il calcio nella sua dimensione più selvaggia e anarchica, ma al tempo stesso efficace.
George Best, incoronato genio quando ha 15 anni, è stato dotato da madre natura di un talento sconfinato, come Garrincha. Giocatore forse anche più moderno, era un sudamericano nato in Nord Irlanda, figlio della sua epoca e dei suoi eccessi. La sua parabola nell’empireo del calcio fu breve – anche se meno di quanto si pensi – eppure intensa ed esaltante: come Garrincha, Best era un artista del dribbling e un giocatore che faceva leva sul proprio estro per sollevare il mondo. Tra due talenti che al meglio reputo di pari spessore premio Garrincha perché è durato un po’ di più e perché il suo impatto sui Mondiali non teme paragoni.

Piroette e numeri di Garrincha

Jo Araf

Scelgo Garrincha. Due simboli del tanto decantato genio e sregolatezza nonché due delle più grandi ali della storia, sebbene Garrincha lo sia stato, forse, in un’accezione un po’ più classica. La ribalta mondiale mi fa propendere per Garrincha, che vince e domina due competizioni iridate in una fase nella quale il Brasile si sta iniziando ad imporre sulla passerella internazionale.

Tommaso Ciuti

Due talenti puri, estrosi ed innamorati del dribbling e della giocata spettacolare, tatticamente anarchici e poco avvezzi a schemi e moduli, Best e Garrincha sono accomunati, oltre che dalla stessa attitudine in campo, dal precoce declino, dovuto alla “passione” per l’alcool e per il sesso. Li reputo le due più grandi ali della storia, ma se devo fare un nome vado su Garrincha, che ha deliziato il mondo in ben due mondiali consecutivi, oltre ad assicurare annate di qualità in patria soprattutto nel periodo giovanile.

Best, gloria del Manchester United

Niccolò Mello

Forse le ali pure più famose del mondo. Garrincha un destro che però ha dimostrato anche in alcuni frangenti della sua carriera – vedi il Mondiale ’62, il suo apice – di saper assolvere anche ad altri compiti e mansioni; Best, destro e sinistro, esterno offensivo non solo dedito al cross e al dribbling, ma anche particolarmente prolifico (più del brasiliano), come attesta il fatto che è andato in doppia cifra 7 volte nel campionato inglese e su tutte il favoloso 1968 quando timbrò 28 reti.
Per entrambi è valida l’espressione “genio & sregolatezza”, perché entrambi erano capaci di lampi geniali su un rettangolo di gioco, ma una volta fuori hanno mostrato tutte le contraddizioni e gli eccessi di una vita dissoluta, tra alcol, donne e vizi di vario genere.
Nessuno dei due è stato particolarmente longevo, ma il brasiliano è durato un po’ di più: Garrincha è esploso nel 1953, toccando quota 20 reti stagionali (cifra mai più sfiorata in carriera) e salendo poi nel gotha mondiale grazie al Mondiale ’58, quando fu uno dei simboli del Brasile campione mondiale. Quattro anni dopo in Cile, con la stella Pelé costretta in infermeria dopo la prima partita, Garrincha salì un ulteriore gradino diventando il vero leader della nazionale verdeoro che bissò il titolo. Ma dopo quell’acuto per lui cominciò un lento ma inesorabile declino.
Sorte simile quella di Best, diventato grande già in giovanissima età nel Manchester United di Busby, capace di sbriciolare il Benfica in Coppa dei Campioni nel 1966 e poi ripetutosi in modo ancora più evidente e sempre contro i lusitani due anni dopo nella finale di Londra: splendido il suo gol in dribbling, a coronamento di un’annata super che lo portò giustamente al Pallone d’Oro. Pur senza più toccare quegli apici nelle stagioni seguenti, Best è rimasto a ottimi livelli fino a 26 anni quando stracciò il contratto professionistico che lo legava ai Red Devils e avviò una rivedibile seconda parte di carriera, annegando negli eccessi di una condotta dissoluta fuori dal campo.
Globalmente il mio voto va a Garrincha, che in Brasile si gioca con Ronaldo e forse Zico il secondo posto alle spalle di Pelé e che viene universalmente ritenuto la più grande ala pura della storia. Best grandi picchi e grande giocatore sicuramente, ma anche la sensazione che venga a volte un po’ mitizzato per il personaggio che è stato fuori dal rettangolo verde.

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