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Ambrosiana Inter 1929-1930: la firma di Meazza sul primo campionato a girone unico

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La Serie A ha una storia lunga e meravigliosa, un percorso che tra poco toccherà i cento anni e che ha visto tante squadre parteciparvi entrando tutte a modo loro nel magico racconto che si chiama campionato. Il calcio era uno sport già molto popolare e aveva già visto diversi campioni quando nel 1929 si decise che era tempo di unire l’Italia anche sportivamente da nord a sud abbattendo qualsiasi barriera, facendo così parlare solo ed esclusivamente il campo, unico vero padrone del destino e delle sorti delle squadre chiamate a darsi battaglia. Il primo campionato ha visto tantissime squadre di livello ai nastri di partenza con il Bologna campione uscente considerato come grande favorito al pari del Torino. Felsinei e granata, questi ultimi pesantemente affaticati da una lunghissima tournée in Sudamerica, uscirono però ben presto dal giro titolato e lo scontro al vertice comprese il triangolo dell’economia con Juventus, Genova e Ambrosiana Inter.

Il cammino dei campioni

L’Inter aveva cambiato da qualche anno il proprio nome per volere del regime fascista, decisamente inaccettabile la denominazione Internazionale trasformandola in un molto più italico e meneghino Ambrosiana, e aveva mostrato al mondo già dalla stagione precedente il nuove astro nascente deo calcio italiano: Giuseppe Meazza. Allora tutti lo chiamavano Pepín, diminutivo milanese, ma c’era poco da scherzare con quel ragazzino che già a diciannove anni si comportava da grande divo, ma che soprattutto dava del tu al pallone quando calciava. I nerazzurri non vincevano dal lontano 1920 e non erano considerati tra i favoritissimi con l’inizio del campionato che sembrò effettivamente confermare questa caratteristica di squadra dotata sì di grandissimo talento, ma spesso molto anarchica in campo. Il debutto in casa del Livorno fu più difficoltoso del previsto perché, sebbene Meazza e Rivolta portarono la Beneamata sullo 0-2 già a fine primo tempo, Palandri fece partire la riscossa toscana ma il portiere Smerzi riuscì a salvare il risultato. L’estremo difensore veronese perse però molto presto il posto e a risultare fatale per lui fu la rete incassata da Casalino a Vercelli che costò la prima sconfitta stagionale. Il tecnico ungherese Árpad Weisz diede dunque fiducia a Valentino Degani ma l’annata continuava a essere di alti e bassi. La svolta si ebbe con la doppia sconfitta consecutiva prima a Roma con un netto 2-0 e poi in casa contro la Triestina e a quel punto venne rivoluzionato il centrocampo e nel 2-3-5 nerazzurro, disposto con il 2-3-2-3 che entrerà alla storia come il “Metodo“, persero il posto Gasparini e Balestrini per far posto a Serantoni e Castellazzi, oltre che al confermatissimo Viani. La prova della verità sarebbe stato nel turno seguente contro l’Alessandria che stava disputando un campionato incredibile trovandosi con un punto di vantaggio proprio sui milanesi. In Piemonte fu proprio il neoentrato Serantoni a sbloccare il risultato e Leopoldo Conti riportò il risultato in favore dell’Ambrosiana dopo il pari di Ferrari. La rincorsa al Genova capolista era appena iniziata e il momento della verità arrivò verso la fine del girone d’andata quando i ragazzi di Weisz dovettero affrontare in sequenza Torino, Genova e Juventus. Tre gare infernali, due delle quali in trasferta, ma i nerazzurri avevano ormai trovato una quadra perfetta e riuscirono nella straordinaria impresa di portare a casa il bottino pieno dando dimostrazione di grande superiorità. Il grande protagonista fu Meazza che realizzò ben cinque reti, ma dopo il 3-0 interno contro i granata fu impressionante la supremazia interista che andò a vincere a Marassi per 1-4. I bianconeri cercarono in qualche modo di limitare la straordinaria bocca di fuoco interista, ma riuscirono solamente a limitare i danni rendendo aperta la partita grazie a Della Valle che pareggiò il vantaggio di Pepín prima del secondo sorpasso di Visentin III. Il successo di Torino valse il sorpasso in classifica alla penultima del girone d’andata con la squadra che si confermò macchina da gol anche nell’ultima contro il Modena grazie a un 5-1 senza storia che garantì all’Ambrosiana il primo titolo di campione d’inverno.

Nel ritorno la squadra continuò a volare verso il primo storico titolo del Biscione imponendo la propria legge anche con risultati estremamente rotondi come il 6-0 alla Roma o l’8-0 alla Pro Patria, senza dimenticare il secondo derby della Madonnina vinto per 2-0 grazie alla doppietta di Serantoni. A sei giornate dalla fine il vantaggio dell’Inter sul Genova secondo era salito a ben cinque lunghezze, decisamente non pochi nell’era dei due punti a vittoria, ma nel finale qualcosa sembrò rompersi e il caldo di maggio e giugno sembrò essere fatale. Le pesanti sconfitte per 3-1 di Napoli e soprattutto il 4-1 di Torino con i granata riaprirono tutto in vista dello scontro al vertice contro i rossoblu che però non riuscirono pienamente ad approfittare del calo dell’Ambrosiana portandosi solo a quattro distanze. Al campo Virgilio Fossati c’era il pubblico delle grandi occasioni, ma i liguri partirono a mille all’ora portandosi già sullo 0-2 dopo solo quattordici minuti grazie alle reti di Levratto e Bodini. Meazza, sempre lui, provò a riaprire la partita ma ancora il centravanti rossoblu, diventato celebre nella canzone del Quartetto Cetra, realizzò una doppietta che sembrò piegare i ragazzi di Weisz. Pepín però era duro a morire e nel primo tempo accorciò le distanze prima di trovare il pareggio a inizio ripresa per un 3-3 che permetteva di mantenere a quattro lunghezze i principali avversari e aude giornate dal termine equivaleva allo Scudetto. La matematica arrivò al turno seguente quando la Juventus, alla ricerca della piazza d’onore, venne travolta da una rete per tempo, prima dalla rete di Gipo Viani e poi da quella conclusiva di Leopoldo Conti per un 2-0 che fece partire la festa neroblu per il terzo titolo di campioni d’Italia della propria storia.

La formazione


L’Ambrosiana Inter era allenata in panchina da una delle migliori menti calcistiche di sempre, quell’Árpad Weisz che impose il suo marchio in modo perentorio nella nostra Serie A e risulta dunque essere un più che degno primo vincitore del campionato a girone unico. La squadra rimane più o meno la stessa della stagione appena trascorsa con l’unica differenza derivata proprio dalla guida tecnica capace dopo qualche difficoltà di dare blasone e lustro alla sua rosa. In porta aveva iniziato Smerzi per poi passare Valentino Degani, un vero e proprio gatto tra i pali apprezzatissimo per le sue straordinarie doti di portiere acrobata, e davanti a lui erano intoccabili i terzini Guido Gianfranconi e soprattutto Luigi Allemandi, uno dei più grandi della storia del calcio italiano e tra i migliori del mondo nella sua epoca. Il cervello del centrocampo era affidato a Gipo Viani, giocatore estremamente statico ma che compensava la sua scarsa fisicità con un intelligenza tattica che avrebbe poi mostrato anche in panchina molti avvenire. In mediana l’unico vero giocatore capace di creare filtro tra i due reparti era Armando Castellazzi, una vita in nerazzurro, perché dall’altra parte del campo Enrico Rivolta, interno estremamente amato ma anche molto libero nei movimenti ed erano ben note le sue incursioni in attacco. Per questo motivo divenne fondamentale l’inserimento di Pietro Serantoni, nato come la mezzala d’attacco con la capacità di segnare grandi quantità di gol, ma anche molto più disciplinato e capace di coprire le sortite offensive del compagno, aiutato a sinistra da Valentino Blasevich. Il trio delle meraviglie in attacco a completamento di una squadra fortissima prevedeva l’infaticabile Umberto Visentin sulla destra, l’estroso e amante del dribbling “PoldoConti e soprattutto al centro c’era la prima grande vera stella del firmamento calcistico italiano, quel Giuseppe Meazza che tra i diciannove e i vent’anni si prese la ribalta segnando la bellezza di ben trentuno reti diventando così il primo leggendario capocannoniere della storia della Serie A.

Il capocannoniere


Come già detto il volto del primo Scudetto italiano ha un solo nome: Giuseppe Meazza. Il campione di Milano visse una stagione da assoluto e grandioso protagonista segnando ben trentuno reti e fin da subito non perse tempo. Il suo primo centro avvenne nella gara inaugurale in quel di Livorno dove sbloccò il risultato dopo sei minuti dando il via alla vittoria per 1-2, ma i problemi iniziali dell’Ambrosiana ricaddero anche sul suo rendimento. Tre partite senza segnare, prima di timbrare una grande e decisiva doppietta nel 3-2 interno contro la Cremonese e diventare il padrone di Milano il 10 novembre 1929 quando pose fine ai sogni di gloria rossoneri segnando il punto del decisivo 1-2. Il momento era d’oro e la prima tripletta arrivò nel largo 6-1 al Padova, prima di segnare nella sconfitta interna contro la Triestina ed entrare in un altro momento no con quattro gare di stop. Meazza si era però tenuto per le grandi partite e il massimo lo diede nei tre scontri diretti contro Torino, Genova e Juventus dove segnò ben cinque gol, due a granata e liguri e uno alla Vecchia Signora garantendo così all’Ambrosiana il sorpasso in classifica. Nel girone di ritorno iniziò a infilare gol a ripetizione, dalle doppiette con Livorno e Pro Vercelli fino alla seconda tripletta stagionale contro la Lazio, ma il vero capolavoro arrivò subito dopo la rete messa a segno al Padova. La Roma aveva vinto in casa la gara di andata e lo sgarro non poteva essere accettato, così Pepín segnò una tripletta dopo soli quattro minuti di gioco chiudendo immediatamente ogni possibile discussione sull’esito del risultato e a fine primo tempo calò il poker personale. Una doppietta alla Pro Patria e un gol al Brescia rinforzarono la sua posizione in classifica marcatori portandolo a ventotto, ma la firma decisiva per la vittoria dello Scudetto arrivò con la memorabile tripletta di Milano contro il Genova quando permise di rimontare i rossoblu facendo terminare la sfida sul 3-3 che di fatto valse lo Scudetto. Non andò a segno contro Juventus e Modena ma la differenza con il secondo miglior marcatore della Serie A fu enorme perché i suoi trentun gol finali furono alla fine ben dieci di più rispetto ai ventuno del romanista Volk secondo.

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