“Ah, da quando Baggio non gioca più … non è più domenica”
Cesare Cremonini – Marmellata#25
Novanta minuti sono troppo pochi per condensare l’oceano di emozioni che Baggio ha dispensato sui campi di calcio nel corso della sua lunga carriera.
Per questa ragione, nel film biografico “Il Divin Codino” diretto da Letizia Lamartire, prodotto da Fabula Pictures e distribuito da Netflix , e dedicato a Roberto Baggio, la scelta narrativa è stata quella di concentrarsi unicamente su due aspetti: il rapporto tra il fuoriclasse di Caldogno ed il padre Florindo – interpretato da Andrea Pennacchi – e quello del numero 10 con la maglia della Nazionale.
Lo sforzo è stato notevole, ma la ricostruzione risulta limitata e, visto l’intento di indagare il Baggio più intimo, risultano troppi i momenti della carriera che avrebbero meritato un maggior approfondimento e che sono invece stati completamente trascurati.
Il film che annovera un ottimo cast – Baggio è interpretato da Andrea Arcangeli – ha il pregio di non essersi esposto troppo sugli aspetti sportivi, si divide sostanzialmente in tre momenti : l’epifania del giovane ‘predestinato’ in serie C con il Vicenza ed il grave infortunio in una partita contro il Rimini di Sacchi che rischia di mandarne in frantumi i sogni a soli 17 anni. Quindi, il Baggio protagonista assoluto dei Mondiali di Usa ’94 conclusi con il rigore volato via nel cielo di Pasadena. Infine, l’ultimo nel quale il Codino, per raggiungere la convocazione ai Mondiali nippo-coreani del 2002, risorge a tempo di record da un grave infortunio dando prova della sua forte tempra e di un amore sconfinato per la maglia azzurra.
In mezzo, però, il film presenta troppe omissioni: innanzitutto il trasferimento dalla Fiorentina alla Juventus che provoca i tumulti di piazza del popolo viola. Qui sarebbe stato interessante indagare il dissidio interiore del campione vicentino che, approdato alla Juve, proprio contro i suoi ex compagni si rifiuta di tirare un calcio di rigore.
Solo accennato anche il grande successo personale rappresentato dalla conquista del Pallone d’Oro 1993.
Altro aspetto non sufficientemente affrontato è il suo ‘rapporto difficile’ con gran parte dei suoi allenatori. Da Eriksson a Lippi, da Sacchi a Capello, da Ulivieri fino a Trapattoni, sono stati tanti quelli con cui il Divin Codino non ha legato. Al riguardo, il film si concentra unicamente sul dissidio con Sacchi, scoppiato ai Mondiali americani e sul rapporto invece idilliaco tra Baggio e Carletto Mazzone, mister del Brescia – nella pellicola interpretato da Martufello – dal Codino considerato come un padre.
I
l film non trascura però l’adesione al Buddismo, altra chiave di lettura dell’uomo Baggio, che abbraccia – su suggerimento di un commerciante di musica di Firenze – nel momento di più profonda crisi interiore successiva al primo grave infortunio, ritrovando con questa la serenità.
Certamente l’aspetto più intimo del film è il rapporto tra Baggio e il padre Florindo, uomo di un’altra epoca, severo e poco avvezzo ai facili complimenti, che senza dimostrarlo apertamente riconosce il talento del figlio e nei momenti chiave della sua vita gli sta accanto.
Il Divin Codino si chiude sulle note della canzone di Diodato, il cui titolo ed il testo risultano azzeccati alla scelta della regista Lamartire di svelarci L’uomo dietro il campione.