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Cinque doppi ex che non ricordavi con le maglie di Roma e Atalanta

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Questa sera si concluderà la trentaduesima giornata di campionato, un turno infrasettimanale che ha regalato sorprese e che ha ancora tanto da regalare. Le quattro squadre che scenderanno in campo hanno grandi ambizioni europee e soprattutto per la Roma sembra davvero essere l’ultima chiamata.

All’Olimpico arriva un’Atalanta pronta come non mai a scrivere ancora pagine meravigliose della propria storia recente e un successo porterebbe i nerazzurri al secondo posto, un risultato che se confermato a fine anno sarebbe il più grande della storia orobica. Molti giocatori hanno vestito le maglie di Dea e Lupa, ma forse questi cinque non li ricordavate.

Daniele Berretta

Centrocampista offensivo, dotato di ottime capacità di scorrazzare sulla fascia e che un’ottima abilità nell’inserimento, si è rivelato uno dei più interessanti e apprezzati giocatori di provincia per un decennio. Daniele Berretta iniziò nelle giovanili delle squadra della sua città, la Roma, da quando aveva sedici anni, ma per il debutto in prima squadra deve aspettare il passaggio al Vicenza in prestito.

Le buone prestazioni in Veneto gli permettono di ritornare alla base, con Carlo Mazzone che crede in lui anche se l’esordio in giallorosso è da dimenticare. A San Siro contro il Milan dura poco più di un tempo prima di essere espulso per doppia ammonizione e se ne va così senza acuti la sua annata nella Capitale.

Un anno di prestito a Cagliari sembra fargli bene, ma al suo ritorno in giallorosso subisce un grave infortunio che ne preclude l’utilizzo nelle due stagioni successive, anche se a Mosca con la Dinamo trovò il suo unico gol nella sua avventura romanista. Nel corso della stagione 1996-97 tornò in Sardegna per tre annate, fino a quando nel 2001 non arrivò la chiamata di Vavassaori e dell’Atalanta.

A Bergamo alternò momenti memorabili ad altri decisamente meno piacevoli, ma fu comunque grande protagonista della seconda parte di stagione molto positiva degli orobici nel 2001-02 dove segnò sei reti, in particolar modo quella della decisiva vittoria a San Siro contro l’Inter. Nel 2003 la Dea retrocedette e Berretta passò all’Ancona prima di concludere la carriera pochi mesi dopo con la maglia del Brescia.

Matteo Brighi

Centrocampista tutto corsa e grinta, abile soprattutto nell’interruzione del gioco avversario, ma capace anche di inserimenti che lo hanno portato a segnare diversi gol importanti. Matteo Brighi è uno di quei giocatori che non può non essere amato per la sua straordinaria dedizione al campo ed è proprio per questo che nel 2000 lasciò la sua Rimini per passare alla Juventus.

Poche apparizioni in bianconero prima di passare in prestito al Bologna e definitivamente a Parma, ma nella Via Emilia vive stagioni di alti e bassi. A rigenerarlo nel 2003 è una fantastica stagione nel Brescia, dove si guadagnò la convocazione all’Europeo Under 21 vinto a fine anno, e a Siena mise a segno la rete della salvezza delle Rondinelle.

Da lì iniziarono altri tre anni molto positivi con la maglia del Chievo, ma la retrocessione dei veneti nel 2007 lo portò a cambiare aria e ad approdare alla Roma dove divenne un dodicesimo uomo di assoluta affidabilità e con il vizio del gol. Il suo primo con la Lupa arrivò nel 2007 a Empoli e dopo essere stato molto apprezzato da Spalletti, la storia non cambia con l’arrivo di Ranieri e addirittura nella stagione dove viene sfiorato la Scudetto realizzò la bellezza di quattro reti.

Con l’arrivo di Luis Enrique la sua storia nella Capitale finisce e la neopromossa Atalanta aveva bisogno della sua esperienza per affrontare un campionato di Serie A che partiva con un ben sei punti di penalizzazione. La Dea si salvò alla grande, ma tra Colantuono e Brighi non scattò mai la scintilla e aggiungendo qualche problema fisico, a fine anno furono solamente undici le apparizioni in campo. Fu un momento cruciale per la sua carriera, perché da allora iniziò a vagare per la provincia italiana prima di dire basta con la sua carriera a Empoli nel 2019.

Angelo Domenghini

Una delle più grandi giocatori d’attacco della Nazionale italiana di sempre, capace di essere straordinario goleador in gioventù per poi diventare un’infaticabile ala destra negli anni della maturazione.

Angelo Domenghini iniziò nella sua Atalanta, lui bergamasco di Lallio, e il debutto in Serie A avvenne nell’ultima giornata della stagione 1960-61, quando aveva solo vent’anni, in una trasferta a Udine. Rimase aggregato alla squadra giovanile anche per la stagione successiva, fino a quando Paolo Tabanelli non decise di lanciarlo definitivamente tra i grandi facendolo diventare un titolarissimo e la prima rete è una di quelle che non si scordano.

A Torino contro la Juventus è Domingo a sbloccare il risultato e a portare la Dea in Paradiso con una fantastica vittoria per 2-3 ed è solo l’inizio di quella che sarà una stagione memorabile. I bergamaschi arrivarono in finale di Coppa Italia contro il Torino e fu proprio una tripletta di Domenghini a stendere i granata e a regalare quella che ancora oggi risulta essere l’unico trofeo degli orobici.

Partecipò anche alla Coppa delle Coppe dove realizzò una rete a Bergamo contro lo Sporting ma ben presto avrebbe dovuto cambiare tipologia di nerazzurro. L’Inter del Mago Herrera aveva bisogno di un centravanti per il campionato e così, mentre lo spagnolo Peirò poteva essere usato in Coppa dei Campioni, in Serie A fu Domenghini a diventare l’uomo gol per portare la squadra alla vittoria di due campionati consecutivi, in particolar modo nella seconda stagione dove segnò 12 reti, il suo record personale.

Divenne anche campione d’Europa nel 1965, seppur con un ruolo minore, ma iniziò la sua trasformazione da centravanti ad ala destra e questa sua nuova posizione gli permise di diventare una colonna della Nazionale, anche se i problemi col neopresidente Fraizzoli lo portarono a cambiare maglia per andare a Cagliari.

Nell’isola divenne uno degli eroi dello straordinario Scudetto del 1970 e nello stesso anno sfiorò la vittoria del Mondiale in Messico. In Sardegna vi rimase fino al 1973 prima di passare alla Roma in quella stagione dove contribuì allo Scudetto della Lazio perché una sua rete permise ai giallorossi di battere la Juventus per 3-2 all’Olimpico alla terz’ultima giornata di campionato, evitando un sensibile avvicinamento dei bianconeri alla vetta. Dopo Verona, Foggia e Olbia, chiuse a trentotto anni in quel di Trento.

Simone Loria

Difensore centrale noto prevalentemente per la sua capacità di segnare piuttosto che per quella di difendere è stato per anni ricordato per un suo gol memorabile, prima di diventare un oggetto misterioso.

Simone Loria iniziò nelle giovanili della Juventus, ma la Vecchia Signora non puntò mai su di lui e le esperienze immediatamente successive furono nelle serie minori tra Olbia, Battipagliese, Nocerina e Lecco. Sono proprio le prestazioni con i lombardi che gli permettono di approdare in Serie B con il Cagliari dove diventò un titolare e una colonna della promozione del 2004 dove mise a segno sette reti.

In A però perse il posto e nel 2005 venne dunque chiamato a Bergamo per diventare protagonista di un’altra promozione e visse un’altra stagione da sogno. L’Atalanta dominò il campionato con Loria che segnò altre sette reti, la più importante senza dubbio la schiacciata che diede il vantaggio nerazzurro nel sentissimo derby con il Brescia.

C’erano molti dubbi sul suo reale valore se riproposto in Serie A, ma Colantuono ebbe fiducia in lui e fu tra i protagonisti anche della salvezza, regalando all’Italia il gol più bello della Serie A di quell’anno, quando con una splendida mezza rovesciata mise all’incrocio dei pali un cross di Doni in una trasferta a Verona. Le sue reti facevano dimenticare qualche errore in difesa e nel 2007, dopo essere passato a Siena, disputò probabilmente la sua stagione migliore, tanto che la Roma lo volle in squadra per il 2008-09, ma fu un totale disastro.

Divenne il capro espiatorio di un’annata fallimentare per i giallorossi, nonostante riuscì a mantenere una media gol pazzesca in due anni mettendo in rete tre reti in sole quindici partite. L’avventura nella Capitale e il breve deludente approdo al Torino ne stroncarono la carriera, così dopo poco apparizioni al Bologna chiuse carriera in Serie D al Cuneo.

Ervin Zukanović

Difensore molto duttile e capace di interpretare sia il ruolo di centrale che quello di terzino è stato per qualche anno considerato un possibile prospetto di primo livello in Serie A, prima di diventare però una cocente delusione.

Ervin Zukanović iniziò in Patria in Bosnia al Željezničar e le buone prestazioni lo portarono prima nelle serie minori austriache e successivamente in Belgio, dove venne valorizzato in ordine da Dender, Eupen e Kortjk, ed fu proprio quest’ultima esperienza che gli consentì di passare al più blasonato Gent.

Arrivato ormai a 27 anni sapeva che era la sua grande occasione e fu bravissimo a sfruttarlo diventando uno dei migliori del ruolo nel campionato, riuscendo così a guadagnarsi la chiamata del Chievo. In gialloblu si rivelò per tutto il suo valore e con il sinistro incantò anche su punizione con una gran rete su punizione al Parma diventando in estate uomo mercato.

Fu la Sampdoria ad anticipare la concorrenza dell’Inter a Genova visse un girone d’andata da sogno, tanto che già a gennaio la Roma lo individuò come uomo giusto per poter sistemare la difesa, ma non riuscì mai a guadagnarsi il posto da titolare definitivamente e dopo soli sei mesi dove deluse le aspettative passò in prestito all’Atalanta dove contribuì sono in modo parziale e secondario alla straordinaria cavalcata verso il quarto posto di quella stagione.

I due fallimenti a Roma e Bergamo ne decretarono il lento e inesorabile declino, così dopo un paio di annate nella Genova rossoblu, passò all’Al Alhi e ora ai turchi del Fatih Karagümrük, dopo un breve passaggio alla Spal.

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