Sin dal titolo, che si rifà a quello di una canzone degli Stadio – dedicata al quartetto di Liverpool – , si coglie la dimensione del personaggio. Sì, perché come dice l’autore, “se chiedi di Merckx, chiedi di qualcuno che ha prodotto nel ciclismo la stessa folgorante deflagrazione che i Beatles produssero nella musica”.
Questa completissima biografia ripercorre l’intera cavalcata del fenomeno belga dall’epifania al congedo. Tanti successi e anche qualche dolore, perché “Mercks è stato più di quello che doveva essere: la luminosa monarchia di un Re solo. Senza la vana democrazia del gruppo compatto”.
Jacques Goddet, grande patron del Tour, non volendo scegliere, definiva il Cannibale come il “più forte” ed il Campionissimo come il “più grande”.
Quella di Mercks è stata una carriera (1965-’78) davvero straordinaria, che conta 426 corse vinte, tra le quali cinque Giri d’Italia, cinque Tour, 7 Milano-Sanremo, cinque volte Liegi e tre campionati del Mondo. Non a caso, il soprannome di “Cannibale”. Voleva vincere tutto, sempre e comunque. Una cosa esagerata. Ai tempi attuali, improponibile.
Ma, quelle passate in rassegna, sono anche le stagioni in cui vivono i protagonisti di un tempo magico per il ciclismo: Adorni, Gimondi, Zilioli. In cui la radio portava nelle case la voce magica di Sergio Zavoli e la parola squisita di Bruno Raschi. Ma pure l’immagine vivida di quei gregari della Faema o della Molteni, che scandivano il passo, legionari fedeli e non mercenari fiamminghi, a un condottiero belga il cui incedere pareva quello di Annibale alla conquista dell’Italia.
Il lavoro di Porreca è quanto mai minuzioso, passati in rassegna gli anni del regno assoluto e delle vittorie su strada del belga, viene offerto spazio al record dell’ora, quindi affrontato il rapporto che il Cannibale ebbe con il doping d’antan. Adeguata attenzione è riservata poi ai grandi, e a volte sfortunati, avversari stranieri. Basti pensare a Luis Ocaña e a Raymond Poulidor. Ma altri tennero testa a Mercks, su tutti Felice Gimondi.
Una carrellata di testimonianze ad illustri nomi del nostro ciclismo, da Castellano a Martini, dallo storico del giro Figini a Francesco Moser, contribuiscono a delineare i tratti sportivi e umani del Cannibale. Si iscrivono negli ‘effetti personali’, e come tali sono inseriti in chiusura del libro, l’arrivo tra i professionisti del ciclismo di un nuovo Mercks, Alex, il figlio del Cannibale, ed il nuovo confronto tra il belga e Gimondi riproposto nel ‘98 dal figlio di Eddy e dal nipote di Felice. Un’intervista finale sublima e completa questo emozionante ritratto.
Chiedimi chi era Merckx, sulla filigrana dettata dagli anni e dalle imprese, è l’originale controcanto sentimentale, scandito in parallelo alla passione per uno sport che era fantasia e alla devozione per un campione che resta supremo, dettato da uno scrittore da sempre fedele allo swing delle bici, come alle più intime cadenze del cuore.
di Alessandro Sartore