Gordon Banks, il Guardiano tra i guardiani d’Albione

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«Bank saves your Money! Banks saves England!». Così c’era scritto su un muro poco distante dal vecchio Victoria Ground, ovvero lo stadio dello Stoke City, prima di trasferirsi al più moderno Britannia, al di là della Queensway. Adesso però immaginate un uomo le cui mani sembrano fatte di velluto ma che, al tempo stesso, possiedono la fermezza di un metallo temprato dal destino. Gordon Banks – non un semplice portiere, bensì il guardiano di un regno di sogni e aspettative che sfidano il tempo – si staglia nella storia del calcio britannico come un faro di eccellenza, un santuario di riflessi e di istinti che sembrano quasi trascendere le leggi della fisica.

Statisticamente, il suo curriculum è scritto con caratteri di rilievo: 679 partite con i club, rispettivamente Leicester City e Stoke City (intervallate da vari club della lega statunitense), 73 presenze con la maglia inglese, un impressionante 78% di clean sheets in competizioni internazionali e un ruolo cruciale nella vittoria dell’Inghilterra ai Mondiali del 1966. In quell’anno magico, Banks si ergeva come un baluardo, un pilastro inscalfibile che ha contribuito a scrivere il capitolo più glorioso della storia calcistica nazionale inglese. Bobby Moore, figura mitica di quella nazionale racconterà spesso «Non è che Gordon fosse il portiere più classico fra i vari presenti in quel periodo, però, sapeva dare i comandi alla linea difensiva come nessun altro e possedeva un istinto che non ho mai più rivisto in giro». La sua presenza tra i pali era come l’ombra rassicurante di un gigante silenzioso, sempre pronto a respingere con grazia e precisione le sfide che gli si ponevano innanzi.

Il momento culminante di quella cavalcata trionfale avvenne il 30 luglio 1966, nella finale del Wembley contro la Germania Ovest di Beckenbauer e Haller, un incontro che sembra ancora riecheggiare nelle cronache come un poema epico del calcio (in primis grazie alla storica rivalità fra le due Nazionali e poi per il famoso “Goal Fantasma” di Hurst). La sua performance si caricò di una pietra miliare: parate così epiche e pulite da essere scolpite nel marmo dei ricordi di ogni inglese , una prestazione di pura maestria che ha superato la gravità del semplice gesto tecnico. E, tuttavia, la vera gloria non risiede solo nella sua abilità, ma anche in quell’istante di pura poesia sportiva che ha reso immortale il “paradiso” di Banks. Ma per questo dobbiamo aspettare la bellezza di quattro anni e spostarsi in Messico…

Banks sorride e solleva la Coppa del mondo

Tra le molte meraviglie che il suo nome evoca, la più celebre rimane senza dubbio quella che i critici hanno ribattezzato come “La parata del secolo”, nel match Brasile-Inghilterra 1-0. Nel bel mezzo dell’estate messicana nel 1970, quello che ancora oggi per molti è definito come il “più grande di sempre” e cioè Edson Arantes Do Nascimento in arte Pelé danza nel cuore della difesa dei Tre Leoni, tentando di sfondare quella muraglia umana che il mitico Sir Alf Ramsey ha sapientemente orchestrato. Pelé, con il suo genio naturale e con una fisicità che non è quantificabile con nessun apparato linguistico conosciuto, si eleva su un cross dal fondo saltando e rimanendo in aria con una potenza devastante, colpisce la palla di testa angolandola perfettamente tanto che il goal pareva già segnato.

È qui che Banks, The Chinese One, come lo ribattezzano i tabloid, per via del suo taglio degli occhi un po’ orientale decide di compiere l’impossibile . Da coprire il primo palo sul cross si butta istintivamente sul secondo andando a prendere con una mano il colpo di testa di O Rei. Un gesto non solo di reattività, ma di intuizione, di sensibilità tattile che sembra sondare l’Infinito per trovare un’estensione alla propria volontà. La parata non è semplicemente un atto di abilità, ma un’opera di poesia in movimento, un preciso e ispirato atto di resistenza contro l’entropia.

La famosa parata di Gordon Banks su Pelé in Brasile-Inghilterra del Mondiale ’70

In quell’istante, Banks diventa più di un portiere: incarna l’essenza stessa del sacro, quella capacità sovrumana di fare l’impossibile apparire come un normale atto di destrezza. La sua figura si staglia come una statua di bronzo contro il panorama effimero degli eventi, un simbolo eterna di eccellenza.

Se si pensa alla sua eredità, è come sfogliare un libro aperto di narrativa sportiva: un’eredità fatta di numeri, ma anche di quella capacità di elevare il calcio a un’arte. Un uomo il cui sguardo e le cui mani hanno scolpito nel granito della storia sportiva un’immortalità che non conosce polvere né oblio.

Banks non fu solo un portiere: fu una leggenda in carne e ossa, un atleta silenzioso di quelli che “oggi con quel fisico non farebbe nemmeno il magazziniere”, dotato però sia di stile che di precisione. Un portiere che rientra sempre nella Top 10 delle varie classifiche “All Time”, un uomo che ha scritto il proprio poema nella “memoria collettiva britannica e non” regalando al mondo un esempio di come il talento, la dedizione e un pizzico di magia possano elevare un semplice gioco o un piccolo grande gesto, a un vero e proprio miracolo sportivo.

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